Sull’applicazione della misura del sequestro preventivo nei reati tributari in punto di onere motivazionale e “periculum in mora”

Di Giovanna Petrillo -

(commento a/notes to Cass., 6 ottobre 2022, n. 37727)

 

Abstract

Con sentenza del 6 ottobre 2022, n. 37727, la Corte di Cassazione ha statuito che, in materia di reati tributari, nel disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, il giudice deve sempre circostanziare la sussistenza del periculum in mora rapportandosi alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio. Nel richiamare l’ordinanza a Sezioni Unite, 26 novembre 2021, n. 36959, la Suprema Corte ha affermato che tale obbligo di motivazione è funzionale all’esigenza di tutela del diritto di proprietà oltre che di rispetto della presunzione di non colpevolezza e del principio di proporzionalità nell’applicazione delle misure cautelari. La pronuncia si apprezza per l’espresso riconoscimento della valenza “trasversale” del principio di diritto affermato prestandosi, in ragione di tanto, ad una più ampia riflessione in ordine all’onere, gravante sul giudice della cautela, di motivare riguardo al periculum in mora il provvedimento applicativo del sequestro preventivo finalizzato alle ipotesi di confisca disciplinate dal D.Lgs. n. 74/2000.

On the application of the preventive seizure in tax crimes in terms of motivational charge and “periculum in mora”. – With the decision no. 37727 of 6 October 2022, the Supreme Court ruled that, in the matter of tax crimes, in ordering the preventive seizure aimed at confiscation, the Judge must always give details of the existence of the periculum in mora indicating the reasons why the asset could be modified, lost, damaged, used or disposed of before the definition of the judgment. In recalling the ordinance no. 36959 of 26 November 2021, the Supreme Court affirmed that this obligation of motivation is, in particular, functional to the need to protect the right of property, as well as to respect the presumption of innocence and the principle of proportionality in the application of precautionary measures. The ruling is appreciated for the express recognition of the “transversal” value of the principle of law affirmed, lending itself, for so much reason, to a broader reflection on the burden, imposed on the judge of caution, to justify with regard to the periculum in the application provision of the preventive seizure aimed at the hypothesis of confiscation governed by the D.Lgs. n. 74/2000.

 

 

Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. La trama argomentativa della pronuncia in commento. – 3. Il riconoscimento della natura trasversale dei principi di diritto espressi in rapporto al disposto dell’art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000. – 4. Una riflessione sulle potenzialità espansive delle argomentazioni addotte dalla Suprema Corte.

1. Per poter procedere ad una corretta delimitazione del decisum della Corte, appare opportuno un sintetico richiamo, per quanto di interesse ai fini della presente trattazione, alla vicenda processuale di riferimento. Nel procedimento posto al vaglio della Suprema Corte era stato ordinato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per i reati di dichiarazione fraudolenta (art. 2 DLgs. n. 74/2000) e di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. n. 74/2000); in merito, i ricorrenti lamentavano l’omessa o comunque apparente motivazione in ordine al periculum in mora.

Il Supremo Giudice ha evidenziato la necessità che il provvedimento che dispone la misura cautelare reale dia contezza di specifiche condotte concrete di depauperamento o, comunque, di disposizione dei propri beni poste in essere dagli indagati nelle more del procedimento e, quindi, ha affermato l’esigenza di argomentare sufficientemente non soltanto sul fumus commissi delicti ma anche in ordine al periculum in mora.

Diversamente, la Procura aveva seguito un orientamento sostanzialmente informato ad un automatismo fra confiscabilità del bene e pericolosità. Nell’ambito di detta impostazione, pertanto, nel caso di confisca obbligatoria come quella prevista dall’art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000 per i reati tributari, non andava richiesta alcuna prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità delle cose oggetto di sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) in quanto queste, proprio perché confiscabili, erano da considerarsi di per sé oggettivamente pericolose.

2. Il pronunciamento della Suprema Corte muove dalla ricostruzione effettuata dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 36959/2021, in merito alla questione riguardante l’onere, gravante sul giudice della cautela, di motivare il provvedimento applicativo del sequestro preventivo finalizzato alla confisca con riferimento al periculum in mora.

La tematiche involge, su un piano più generale, il corretto inquadramento della misura ablativa prevista nel secondo comma dell’art. 321 c.p.p. rispetto all’ipotesi affine disciplinata dal primo comma del medesimo articolo. Come è noto, l’art. 321 c.p.p. conferisce al giudice il potere di adottare, nelle more del procedimento penale, un decreto di sequestro preventivo con il quale apporre un vincolo di indisponibilità su una determinata res a fini cautelari.

In riferimento al primo comma dell’art. 321 c.p.p., l’applicazione del vincolo è volta a scongiurare il rischio che la permanenza di una cosa pertinente al reato nella disponibilità del soggetto possa aggravarne o protrarne le conseguenze, ovvero agevolare la commissione di ulteriori illeciti penali. Ai sensi del secondo comma dell’art. 321 c.p.p., invece, la misura cautelare si applica con funzione servente rispetto all’eventuale successiva confisca della quale è possibile, in tal modo, garantire l’efficacia anticipando il vincolo di indisponibilità sul bene già ad una fase anteriore alla condanna.

Secondo l’interpretazione tradizionalmente accolta, la differente ratio posta a fondamento delle due richiamate previsioni normative determinerebbe una diversa modulazione dell’onere motivazionale gravante sul giudice della cautela. Alla luce di ciò, il decreto di sequestro impeditivo, di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p., dovrebbe necessariamente precisare le ragioni per le quali il permanere di un rapporto di prossimità tra l’indagato e la res potrebbe incoraggiare la prosecuzione o la reiterazione dell’attività criminosa; in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, invece, il giudice cautelare potrebbe limitarsi ad attestare la confiscabilità del bene, destinatario del vincolo, in considerazione del  presupposto che la cosa deve, per ciò stesso, considerarsi pericolosa senza necessità di alcuna prognosi ulteriore.

Sulla scorta di diverso orientamento esegetico, invece, l’esigenza di scongiurare ingiustificate compressioni dei diritti costituzionalmente garantiti di proprietà e di libertà di iniziativa economica imporrebbe al giudice l’onere di precisare, anche nell’ipotesi prevista dall’art. 321, comma 2, c.p.p., i profili di pericolosità sussistenti nel caso concreto.

Le Sezioni Unite, nel dirimere il rappresentato contrasto interpretativo, hanno affermato la necessità che il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca indichi la motivazione, seppur concisa, del periculum in mora da rapportare alle ragioni che giustificano l’anticipazione degli effetti ablativi prima della definizione del giudizio. L’unica eccezione ammessa, che conferma la ragionevolezza delle argomentazioni offerte dalla Corte, è rappresentata dalle cose che, ai sensi dell’art. 240, comma 2, n. 2, c.p., devono sempre essere confiscate in quanto intrinsecamente pericolose.

Nel ragionamento seguito dal Giudice di legittimità, l’imprescindibilità della motivazione in punto di periculum in mora deriverebbe, anzitutto, dalla natura discrezionale del potere espropriativo di cui al secondo comma dell’art. 321 c.p.p. Proprio dalla richiamata natura del potere espropriativo discenderebbe, infatti, che vengano precisati i presupposti del suo esercizio individuati nel pericolo che, nelle more del giudizio, il bene venga modificato, disperso, deteriorato o alienato.

Seguendo quest’ordine di idee, non acquisisce alcun rilievo la circostanza che la confisca sia qualificata ex lege come facoltativa ovvero obbligatoria. E ciò in quanto la relativa distinzione dipende tendenzialmente dalla mera scelta del legislatore in merito alle categorie di reati cui ricollegarle. Il Giudice di legittimità rileva, sul punto, come sia proprio l’oggetto dell’onere di motivazione, richiesto in sede cautelare, a rendere indifferente la distinzione tra confisca facoltativa o obbligatoria, posto che l’assenza di discrezionalità per il giudice, chiamato ad apporre il vincolo di indisponibilità a seguito di condanna, non sarebbe comunque idonea a giustificare l’anticipazione di tale effetto ad una fase precedente di regola sempre meramente procedimentale (in questi termini v. Piergiovanni S., Sequestro preventivo finalizzato alla confisca: le Sezioni Unite impongono l’onere di motivare sul periculum in mora, in Sistema Penale, novembre 2021).

In linea con l’orientamento prospettato, viene, poi, richiamata la natura cautelare del sequestro preventivo e la sua attitudine intrinseca ad anticipare effetti limitativi dei diritti e delle libertà personali. In particolare si rileva che nel rispetto della presunzione di non colpevolezza di cui agli artt. 27, comma 2, Cost. e 6, par. 2, CEDU, qualsiasi provvedimento in grado di incidere sulla sfera giuridica dei privati prima che si sia concluso un giusto processo, deve fondarsi su una motivazione che espliciti i risultati del giudizio prognostico svolto sotto il profilo della sussistenza non solo del fatto contestato ma anche delle esigenze cautelari.

Il Collegio nella sua composizione più autorevole, per avallare ulteriormente la soluzione offerta, valorizza, in particolare, la necessità di osservare il principio di proporzionalità evidenziando la rilevanza di detto postulato con ampi richiami alle fonti sovranazionali di natura sia legislativa sia giurisprudenziale.

Tenuto conto dei rappresentati rilievi svolti dalle Sezioni Unite, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, giunge ad affermare che è il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di “patteggiamento”, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio.

Può essere utile evidenziare in merito che la mancanza di motivazione sul periculum quanto al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non può essere integrata dal Tribunale del riesame tenuto esclusivamente ad annullare il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento nonché degli elementi forniti dalla difesa (in tal senso, da ultimo, si veda Cass. pen., sez. III, sent. 27 maggio 2022, n. 970).

3. Il Supremo Collegio, in considerazione della valenza “trasversale” dei principi di diritto enunciati, afferma, come evidenziato, che la natura obbligatoria della confisca diretta o per equivalente di cui all’art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000 non esime il giudice della cautela dall’obbligo di dare conto delle ragioni dell’anticipata apprensione dei beni essendo, la natura obbligatoria, predicato della confisca pronunciata all’esito di sentenza di condanna ma non del sequestro che la precede.

In estrema sintesi, il ragionamento è volto a fare chiarezza in ordine al rapporto fra doverosità della misura finale e necessità di imporre il sequestro preventivo.

Sul punto occorre considerare che ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p., norma di carattere generale, il giudice “può” e quindi non “deve” adottare la misura cautelare, con la conseguenza che la natura “obbligatoria” della confisca non rende “obbligatorio” anche il sequestro.

Alla luce di tanto, ritenere che la motivazione del provvedimento di sequestro di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p. possa sempre meramente risolversi nel dare atto della confiscabilità della cosa, posto che già detta caratteristica sarebbe intrinsecamente indicativa di pericolosità oggettiva del bene, si tradurrebbe in effetti distorsivi duplici.

In primo luogo, considerato il polimorfismo della confisca, non si terrebbero in adeguato conto le diversità sostanziali che caratterizzano le ipotesi di confisca di beni peraltro, come osservato, non sempre incentrate sulla pericolosità del bene stesso; in secondo luogo, si rischierebbe di pervenire ad una irragionevole sovrapposizione fra misura cautelare e misura definitiva.

Dette argomentazioni sono particolarmente pertinenti se rapportate all’istituto della confisca per equivalente. La ratio della misura cautelare è, infatti,  come è noto, quella di preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che ove si attendesse l’esito del processo potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo (ampiamente circa lo scopo della confisca penale-tributaria ed in particolare della confisca per equivalente, v. Girelli G., Sequestro, confisca e pagamento dei tributi, in Riv. dir. trib., 2019, 5, 54). Tale ratio è comune anche al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente poiché lo scopo è sempre l’apprensione dei beni prima della condanna costituenti il profitto pur se per equivalente.

Il tratto qualificante della confisca per equivalente è, infatti, rappresentato dalla possibilità di disporre l’ablazione di beni di valore equivalente al provento del reato senza dover accertare la derivazione fattuale di tali beni dal crimine penalmente contestato (in tema, con particolare riferimento al restringimento dell’ambito di applicabilità dell’istituto ai soli tributi, v. Contrino A. – Marcheselli A., Sul perimetro oggettivo di applicazione della confisca per equivalente nei delitti penaltributari, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, VII, 376 ss.).

Venuto meno ogni rapporto di pertinenzialità con il reato e posta di conseguenza in secondo piano la logica della pericolosità dei beni oggetto di ablazione, la confisca per equivalente si caratterizza per effetti destinati a realizzare una funzione afflittiva e general preventiva del tutto diversa dal perseguimento delle finalità special preventive legate alla pericolosità oggettiva del bene confiscato (in tal senso, v. Colaianni F. – Monza M., Le confische nel diritto penale tributario: una pluralità di istituti ablatori a confronto, in Diritto penale contemporaneo, 2018, 11, 125 ss.). Invero questione estremamente dibattuta in dottrina – che non può affrontarsi in questa sede – riguarda la natura della confisca da inquadrarsi in termini di: misura di sicurezza, misura sanzionatoria, misura amministrativa equiparabile a quella di sicurezza, misura restitutoria o ripristinatoria (sulla individuazione della natura giuridica e del ruolo centrale dell’istituto nei moderni sistemi penali si vedano i lavori monografici di Nicosia E., La confisca. Le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Torino, 2012; Menditto F., Le misure di prevenzione e la confisca allargata, Milano, 2017; Trinchera T., Confiscare senza punire? Uno studio sullo stato di garanzia della confisca della ricchezza illecita, Torino, 2020).

La giurisprudenza ha ad oggi, con orientamento pressoché unanime, riconosciuto alla confisca per equivalente natura prevalentemente sanzionatorio – punitiva; non sono tuttavia mancate pronunce più recenti del Giudice di legittimità volte a rilevare come la confisca per equivalente non possa essere assimilata alla pena «in quanto non è definita in proporzione alla gravità della condotta ed alla colpevolezza del reo, e piuttosto che “affliggere”, mira a “ripristinare” la situazione patrimoniale preesistente alla consumazione del reato» (in questi termini, si vedano Cass. pen., sez. II, 27 novembre 2019 (dep. 3 marzo 2020), n. 8538; Cass. pen., sez. II, 2 aprile 2021, n. 19645).

A favore della natura sanzionatoria della misura ci si limita, tuttavia, a riportare quanto affermato dalla Corte costituzionale con l’ordinanza 22 aprile 2009, n. 97, nel senso che «la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente unitamente all’assenza di un rapporto di pertinenzialità (inteso come nesso, diretto attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva attribuendole così una natura eminentemente sanzionatoria che impedisce l’applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell’articolo 200 codice penale secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione e possono essere quindi retroattive».

L’orientamento seguito dal Giudice di legittimità, nella pronuncia in commento, volto a sancire l’obbligo di motivare riguardo al periculum in mora il provvedimento applicativo del sequestro preventivo finalizzato alle ipotesi di confisca ex art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000, appare, comunque, pienamente conferente qualunque sia la natura della confisca in vista della quale viene disposto il sequestro.

4. Il percorso esegetico seguito dal Giudice di legittimità merita piena condivisione in quanto orientato ad apprestare il maggior livello di tutela ai diritti individuali suscettibili di compressione al momento dell’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

Vero è, infatti, che un intervento giudiziario teso a comprimere in via anticipata diritti individuali si risolverebbe, se non supportato da una adeguata valutazione dei requisiti tanto del fumus quanto del periculum, in un potere svincolato dalla necessità di salvaguardare la fisiologia del giudizio principale e il conseguimento dei suoi risultati ledendo il legame strumentale tra mezzi di cautela e provvedimenti sul merito (in tal senso Scalfati A., L’ombra inquisitoria sul sequestro preventivo in funzione di confisca, in Processo Penale e giustizia, 2016, 3, 1 ss.). Pertanto, qualsiasi misura che comporta la limitazione di un diritto fondamentale dell’individuo e, dunque, anche la confisca che implica la privazione del diritto di proprietà tutelato a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. addiz. CEDU), necessita di una adeguato bilanciamento valoriale. In specie, l’onere di esplicitare in motivazione gli elementi posti alla base dell’esercizio anticipato del potere espropriativo è funzionale ad assicurare  un controllo più approfondito sulle scelte del giudice in vista dell’osservanza del principio di proporzionalità.

Detto principio, come è noto, contestualmente riferibile ad un congruo esercizio dei tre poteri dello Stato (come metodo di formulazione rivolto al legislatore; come metodo di interpretazione-applicazione rivolto al giudice; come metodo di interpretazione-attuazione rivolto all’Amministrazione), integra un criterio cardine, di matrice europea, di orientamento nell’esercizio dei pubblici poteri sostanziandosi nella ponderazione degli interessi contrapposti e nella preferenza dello strumento minimo ed idoneo a conseguire il risultato richiesto dall’ordinamento giuridico (sulla valenza del principio in parola quale categoria di teoria generale, in dottrina, cfr. Sandulli A., Proporzionalità, in Cassese S., a cura di, Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006; Scaccia G., Il principio di proporzionalità, in Ordinamento Europeo, l’esercizio delle competenze, Milano, 2006; Cognetti S., Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011; Galetta D.U., Il principio di proporzionalità fra diritto nazionale e diritto europeo [e con uno sguardo anche al di là dei confini dell’Unione Europea], in Giustizia amministrativa, 2020).

Dall’applicazione del postulato di proporzionalità discende, dunque, che la misura cautelare dovrebbe essere calibrata sulla qualità del rischio necessario da fronteggiare secondo il principio del “minimo sacrificio necessario”. Orbene, nell’ambito delle tutele delineate dal codice penale è previsto che la misura deve essere rapportata all’entità del fatto per cui si procede ed alla sanzione che è stata o si ritiene possa essere irrogata. Nell’esercizio del potere cautelare, personale o reale, l’autorità giudiziaria dovrà attenersi al canone ermeneutico in parola in modo da garantire sempre la necessaria corrispondenza tra le ragioni cautelari del caso concreto e la misura adottata (ampiamente in tema v. Tabasco G., Principio di proporzionalità e misure cautelari, Padova, 2017). In questo contesto, il  principio di proporzionalità trova affermazione in ordine ai criteri per l’adozione delle misure, ponendo, così, le basi per una discrezionalità vincolata del giudice nell’esercizio del potere cautelare.

Nell’ottica della declinazione dei criteri ermeneutici di adeguatezza e proporzionalità si colloca il portato, pienamente condivisibile, della sentenza annotata. Proprio nel solco dei richiamati principi a tutela di limitazioni sproporzionate all’esercizio di una libertà fondamentale la pronuncia si presta, altresì, ad una riflessione in ordine alla possibilità di applicare la soluzione accolta ad ulteriori ipotesi nelle quali si evidenzia progressivamente il superamento del nesso di pertinenza in termini di strumentalità o di derivazione tra i beni da confiscare e il singolo reato ed appare manifesto lo sbilanciamento fra chi avanza la pretesa e chi la subisce, quali, ad esempio, quelle suscettibili di confisca allargata.

Come è noto, infatti, per i reati commessi a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 124/2019, il GIP non solo potrà disporre il sequestro preventivo ai fini della confisca di cui all’art. 12-bis D.Lgs n. 74/2000, ma anche il sequestro finalizzato alla confisca allargata.

Ebbene, la confisca disciplinata dall’art. 12-ter D.Lgs. n. 74/2000 – istituto che, è parimenti noto, non si applica a tutti i reati tributari ma solo a fattispecie connotate da fraudolenza e dal superamento di determinate soglie – incrementa le sanzioni patrimoniali applicabili in sede di condanna o di patteggiamento nei confronti dell’imputato per i delitti tributari e la possibilità fin dalla fase delle indagini preliminari di “anticipare” tale sanzione con il sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p. (così, Varraso G., Le confische e i sequestri in materia di reati tributari dopo il “decreto fiscale” n. 124 del 2019, in Sistema penale, settembre 2020).

Si tratterebbe, dunque, di una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva profilo, quest’ultimo, che si fonde con la funzione di ostacolo preventivo teso ad evitare il proliferare di ricchezza di provenienza non giustificata immessa nel circuito di realtà economiche a forte influenza criminale (in tal senso ex multis Cass. pen., sez. V, 29 novembre 2017, n. 1012).

Come significativamente rilevato da Corte costituzionale 21 febbraio 2018, n. 33, la previsione dell’istituto si colloca nell’alveo delle forme moderne di confisca volte a superare «i limiti di efficacia della confisca penale classica: limiti legati all’esigenza di dimostrare l’esistenza di un nesso di pertinenza in termini di strumentalità o di derivazione tra i beni da confiscare e il singolo reato per cui è pronunciata condanna. Le difficoltà cui tale prova va incontro hanno fatto sì che la confisca tradizionale si rivelasse inidonea a contrastare in modo adeguato il fenomeno dell’accumulazione di ricchezze illecite da parte della criminalità in specie della criminalità organizzata».

Tale essendo la ratio della norma è evidente che la tenuta della stessa è duramente messa alla prova, considerando il profilo del rispetto dei principi di proporzionalità e di presunzione di non colpevolezza, a mano a mano che si ampli, come è avvenuto nel corso degli anni, l’orbita dei reati cui la stessa si riferisce.

Tanto vale, in particolare, se si considera che la commissione di un reato tributario, fra quelli contemplati dall’art. 12-ter D.Lgs. n. 74/2000, viene assunta ad indice di ulteriori evasioni fiscali all’origine della disponibilità di tutti i beni sproporzionati al reddito del reo acquisiti nell’ambito della cosiddetta “ragionevolezza temporale” (cfr. Corte cost. n. 33/2018 e Corte cost. 24 gennaio 2019, n. 24) senza che sia ammessa la possibilità di provare che tali beni non siano il frutto di evasione fiscale.

Si giunge in tal modo a presumere che il reo condannato per un reato tributario sia evasore seriale, negandogli, nel contempo, la possibilità di difendersi chiarendo che le ulteriori fattispecie diverse da quelle per cui è stato condannato non integravano gli estremi di reati (in questi termini si veda Lanzi A. – Aldovrandi P., Diritto penale tributario, Padova, 2020, 293; riguardo all’introduzione, per via giurisprudenziale della figura del contribuente “fiscalmente pericoloso” si vedano Marcheselli A. – Ronco S., L’evasore fiscalmente pericoloso:prevenzione patrimoniale e contrasto agli illeciti fiscali, in Corr. trib., 2018, 13, 1000).

Alla luce di tanto, la delicatezza della materia connessa alle pesanti ricadute applicative (prontamente evidenziate in dottrina da Contrino A. – Marcheselli A., Confisca c.d. “per sproporzione”: verso il “quater in idem” e la rivoluzione [non vista] di prassi e strategie tributarie, in www.dirittobancario.it, 27 novembre 2019) suggerisce una estensione del principio di diritto affermato nella pronuncia in commento anche nel caso di confisca “allargata” (o per sproporzione). Quantomeno a temperamento dei rischi di una applicazione sproporzionata della misura, si porrebbe, in effetti, l’affermazione dell’onere gravante sul giudice, in sede di adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata, di valutare in concreto la sussistenza del periculum in mora.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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