La disattivazione della derivazione rafforzata. Il caso dei beni gratuitamente devolvibili
Di Roberto Baboro
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Abstract
L’articolo in esame ha come oggetto la disamina delle implicazioni fiscali dell’IFRIC 12, in materia di accordi per servizi in concessione, con particolare riguardo ai suoi riflessi sulla nozione tributaria di beni gratuitamente devolvibili. Si dimostrerà così che le disposizioni introdotte con l’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 per coordinare i riflessi fiscali dell’IFRIC 12 si pongono in un rapporto problematico col principio di derivazione rafforzata, creando un vero e proprio cortocircuito con la nozione tributaria di beni gratuitamente devolvibili. Infine, sarà esaminato il rapporto fra IFRIC 12 e riallineamento del valore dei beni d’impresa, per determinare se tale relazione si ponga o meno in termini di compatibilità.
The deactivation of enhanced derivation. The case of gratuitously devolvable property. – The paper aims to examine the tax implications of IFRIC 12, concerning service concession arrangements, with particular regard to its repercussions on the tax notion of freely transferable assets. It will thus be shown that the provisions introduced with Article 8, Ministerial Decree of 8 June 2011 to coordinate the tax implications of IFRIC 12 are placed in a problematic relationship with the reinforced derivation principle, creating a short-circuit with the tax notion of freely transferable assets. Finally, the paper will analyse the relationship between IFRIC 12 and the realignment of business assets’ value, to determine whether they are compatible.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Un modello “poliedrico” di contabilizzazione degli accordi per servizi in concessione per i soggetti IAS/IFRS. – 3. Gli accordi per servizi in concessione nell’ottica impositiva. – 4. Interferenze sulla derivazione rafforzata e possibili cortocircuiti. – 5. (In)compatibilità col riallineamento tra valori civilistici e fiscali.
1. Nelle pagine che seguono esaminerò la tematica dei profili fiscali derivanti dall’applicazione dell’IFRIC 12 in materia di accordi per servizi in concessione. Come noto, si tratta delle interpretazioni pubblicate dall’International Financial Reporting Interpretations Committee, il quale svolge la funzione di commissione tecnica per lo International Accounting Standards Board (IASB), ossia lo standard setter dei principi IAS/IFRS. Le interpretazioni approvate dall’IFRIC hanno lo stesso valore degli IAS/IFRS. L’IFRIC 12 è stato, in particolare, pubblicato il 30 novembre 2006 e successivamente omologato con Regolamento (CE) n. 254/2009 del 25 marzo 2009. Si tratta di una questione rispetto alla quale il dibattito in dottrina è ancora in uno stato embrionale (sugli aspetti fiscali si veda Marchese S., Profili fiscali delle attività immateriali, in Zizzo G., a cura di, La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano, 2018, 588 ss.; Ciappina B. – Petrangeli P., Il trattamento fiscale degli accordi per i servizi in concessione contabilizzati secondo l’IFRIC 12, in Corr. trib., 2011, 30, 2463 ss.; Vacca I. – Garcea A., Questioni aperte in tema di costruzione e gestione di immobili, in Corr. trib., 2010, 44, 3660 ss.), pur presentando molteplici problematiche di indubbio interesse e dalle soluzioni ancora oggi incerte. Anticipando quanto si dirà a breve, infatti, l’IFRIC 12 disegna un modello di contabilizzazione assai peculiare, disponendo per il concessionario che le infrastrutture oggetto dell’accordo vengano rilevate, anziché come singoli beni materiali, come accade nella prospettiva nazionale, come un’unica attività finanziaria o, in alternativa, immateriale.
Va allora anticipato sin d’ora che, in questa sede, mi soffermerò proprio sulla modalità di contabilizzazione come attività immateriale delle infrastrutture, essendo quella che solleva i maggiori interrogativi sul piano tributario. Peraltro, tali incertezze non possono dirsi nemmeno oggi completamente superate, nonostante l’avvenuto intervento ministeriale ad opera dell’art. 8 D.M. 8 giugno 2011. Come vedremo, si tratta di una previsione dalla non facile lettura, soprattutto in quanto determina alcune incertezze in ordine all’applicazione del principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi, “TUIR”).
Per effetto dell’art. 8 del decreto, la diversa rappresentazione contabile non determina differenze negli imponibili dei soggetti OIC rispetto a quelli IAS adopter: alle attività immateriali iscritte secondo l’impostazione internazionale, infatti, si applica, come preciserò, il regime fiscale dei beni gratuitamente devolvibili previsto dal Testo Unico, con la conseguente applicazione della disciplina dell’ammortamento finanziario nonché del regime di deducibilità degli accantonamenti a fronte delle spese di ripristino o di sostituzione degli stessi. Vengono in rilievo, più nello specifico, le disposizioni contenute nell’art. 104 del Testo Unico nonché nell’art. 107, comma 2, TUIR (sulla radicale modifica della disciplina dell’ammortamento finanziario che fu introdotta ad opera del D.L. 31 dicembre 1996, n. 689, convertito nella L. 28 febbraio 1997, n. 30, e sulle questioni di rilevanza costituzionale che tale modifica poneva, cfr. Marongiu G., Dubbi di legittimità costituzionale sulla nuova disciplina fiscale degli ammortamenti finanziari dei beni gratuitamente devolvibili, in Dir. prat. trib., 2000, 1, I, 3 ss.).
2. Ciò premesso, per l’analisi che svolgerò nel paragrafo che segue occorre muovere da una sintetica analisi dei caratteri salienti della contabilizzazione prevista dall’IFRIC 12 degli accordi per servizi in concessione, con l’avvertenza che ovviamente non sarà possibile offrire una disamina completa di tale profilo in questo lavoro. Piuttosto, in questa sede mi concentrerò esclusivamente sugli aspetti dell’IFRIC 12 dalla maggiore rilevanza ai fini tributari, con particolare riferimento al c.d. modello dell’attività immateriale, facendo rinvio a lavori più specifici sul tema per una disamina completa dei profili specificatamente contabili (per tutti cfr. Campra M., Ifric 12 – Accordi per servizi in concessione, in Dezzani F. – Busso D. – BIANCONE P.P., a cura di, IAS/IFRS, Milano, 2022, 2776 ss.; Russo V. – Musumeci M., IFRIC 12: slalom tra attività “materiali”, “finanziarie” e “immateriali”, in Bilancio e revisione, 2022, 8, 16 ss.).
Fatta questa premessa, la cifra più significativa della contabilizzazione preposta dall’IFRIC 12 va rinvenuta nel fatto che il concessionario non deve rilevare in bilancio le singole infrastrutture oggetto di concessione come immobilizzazioni materiali, bensì un’attività finanziaria o, alternativamente, un’attività immateriale.
È interessante, per i fini prefissati, soffermarsi anzitutto più da vicino sulle motivazioni che hanno portato l’IFRIC a delineare questo particolare assetto contabile. Occorre allora osservare, in primo luogo, come l’IFRIC 12 abbia costituito una sorta di “apripista” per l’impostazione che sarebbe stata poi adottata, ad esempio, dall’IFRS 15, incentrata sulla valorizzazione del “controllo” come elemento cardine dell’impostazione contabile.
In particolare, come si evince dalle Motivazioni per le conclusioni dell’IFRIC 12, ha assunto rilievo fondamentale l’assenza di controllo da parte del concessionario sulle infrastrutture oggetto dell’accordo, che rimane in capo al concedente. Come vedremo a breve, l’IFRIC si preoccupa di verificare la “distribuzione” del controllo come requisito per l’applicazione del modello di contabilizzazione che stiamo esaminando.
La rilevanza concettuale del controllo nei principi contabili internazionali si rinviene, ancora più a monte, nel Conceptual Framework for Financial Reporting, modificato da ultimo il 29 marzo 2018.
In via preliminare, è il caso di ricordare brevemente che il Framework – nelle sue varie elaborazioni (schematizzando, al Framework for the preparation and presentation of financial statements, adottato nel 2001 dallo IASB, ha fatto seguito il successivo Conceptual Framework for Financial Reporting del 2010, a sua volta in parte modificato nel 2018) – non costituisce un principio contabile in senso stretto e dunque non è di per sé vincolante, oltre a non essere sottoposto al processo di endorsement da parte dell’Unione Europea. Nonostante ciò, il Framework costituisce, in primis, la fonte per i concetti basilari per la redazione del bilancio secondo i principi IAS/IFRS; inoltre, e soprattutto, acquista vis normativa in virtù del rinvio operato dai singoli principi, con particolare riferimento a quello recato dagli IAS 1 e 8 e, conseguentemente, anche in ambito tributario, atteso il rinvio di cui all’art. 83, comma 1, TUIR.
Ciò premesso, il Framework 2018 definisce asset (ossia l’attività) come «a present economic resource controlled by the entity as a result of past events» (par. 4.3), per poi precisare che «[a]n economic resource is a right that has the potential to produce economic benefits» (par. 4.4). In questa sede occorre limitarsi a evidenziare la rilevanza del controllo, la cui nozione è, in larga parte, subordinata alla «ability to enforce legal rights» (par. 4.22).
Sulla scorta della rilevanza di tale concetto per ritenere sussistente un’attività, nel senso proprio del Framework, deriva, come anticipato, che nel caso delle concessioni il soggetto privato non può iscrivere in bilancio le infrastrutture sulle quali non esercita il controllo, ma si atteggia, piuttosto, alla stregua di un fornitore di servizi, che in tale qualità può realizzare e/o migliorare l’infrastruttura necessaria alla fornitura del servizio pubblico oppure, ancora, limitarsi a gestirla (cfr. Motivazioni per le conclusioni, par. BC 25). Ciò significa anche, specularmente, che il concessionario iscrive in bilancio un’attività che è costituita dai corrispettivi per il servizio reso (costruzione, miglioramento e/o gestione dell’infrastruttura), piuttosto che il valore dell’infrastruttura stessa (cfr. Motivazioni per le conclusioni, par. BC 25). Questo sostrato concettuale si riflette, come dicevamo, sulle condizioni di applicazione dell’IFRIC 12.
Procedendo in via di semplificazione, l’IFRIC 12 si applica esclusivamente a rapporti “da pubblico a privato” (par. 4) e sia alle infrastrutture realizzate e/o acquistate dal concessionario, sia a quelle già esistenti in epoca precedente all’accordo (par. 7). L’Interpretazione si sofferma altresì sul già citato concetto di controllo. In particolare, l’IFRIC 12 si applica soltanto qualora il concedente controlli o regolamenti (a) quali «servizi il concessionario deve fornire con l’infrastruttura, a chi li deve fornire e a quale prezzo», nonché (b) mantenga il controllo – a titolo di proprietà, titolo a benefici o altro modo – di «qualsiasi interessenza residua significativa nell’infrastruttura alla scadenza dell’accordo» (par. 5) (tale controllo deve estendersi anche alle sostituzioni di singoli componenti dell’infrastruttura, per tutta la sua vita economica – AG6).
Soffermandoci in estrema sintesi su tali concetti, l’Appendice A all’IFRIC 12 evidenzia che il controllo o la regolamentazione degli elementi di cui alla lett. a) potrebbe realizzarsi non solo per contratto, ma anche tramite un’Autorità di regolamentazione (AG2): pertanto, com’è stato già sottolineato, i servizi di public utilities dovrebbero in linea di principio rientrare nel requisito in esame (sul punto si veda Campra M., Ifric 12 – Accordi per servizi in concessione, cit., 2778).
L’altra condizione, sub b), si riferisce al controllo su qualsiasi interessenza residua, intesa come «il valore corrente stimato dell’infrastruttura come se avesse già l’anzianità e fosse nella condizione prevista alla data di scadenza dell’accordo» (AG4). In questo caso il controllo s’intende presente quando il concedente concede al concessionario soltanto un “diritto continuativo di utilizzo”, restringendo invece la possibilità pratica per il concessionario stesso di cedere a terzi l’infrastruttura (AG4).
A tal proposito, assumono particolare interesse in questa sede i chiarimenti resi dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) in merito all’IFRIC 12 OIC (Serie: Applicazioni IFRS, IFRIC 12, Applicazione n. 3 – “Accordi per servizi in concessione”, luglio 2010), ove si legge che, fra le ipotesi in cui traspare il controllo sull’interessenza residua dell’infrastruttura da parte del concedente, rientra anche il caso in cui il concessionario è «obbligato, al termine della concessione, a restituire o vendere al concedente o ad un terzo (designato dal concedente) l’infrastruttura stessa», anche su opzione del concedente stesso (par. 9).
Tornando ora al regime di contabilizzazione dell’accordo, una volta valutata la ricorrenza delle condizioni sopra esposte, l’IFRIC 12 parte, come dicevamo, dal presupposto secondo il quale il concessionario agisce come prestatore di servizi. Pertanto, l’IFRIC 12 dispone che il concessionario debba rilevare e valutare i ricavi «per i servizi che presta conformemente all’IFRS 15» (par. 13). In sintesi, ciò significa che in caso di corrispettivo in denaro da parte del concedente, il concessionario dovrà rilevare il fair value dei differenti servizi forniti (costruzione, gestione, ecc.) se identificabili autonomamente; inoltre, per quanto concerne i servizi di costruzione, i ricavi e i costi andranno rilevati a seconda dell’andamento dei lavori. Viceversa, nel caso in cui al concessionario sia conferito un “diritto di tariffazione” – che nell’ottica dell’IFRIC 12 costituisce un’attività immateriale – quest’ultimo dovrà applicare le disposizioni dell’IFRS 15 destinate alle permute di sevizi di diversa natura (Campra M., Ifric 12 – Accordi per servizi in concessione, cit., 2786).
La contropartita patrimoniale di un siffatto corrispettivo è speculare alle differenti modalità di contabilizzazione dei ricavi che ho appena menzionato: infatti, come anticipato, l’IFRIC 12 contempla due distinti modelli, quello dell’attività finanziaria e quello dell’attività immateriale (l’IFRIC 12 ammette, inoltre, anche una rilevazione “mista”. Infatti, «[s]e il concessionario è pagato per i servizi di costruzione in parte con un’attività finanziaria e in parte con un’attività immateriale, è necessario contabilizzare separatamente ciascuna componente del corrispettivo del concessionario», [par. 18]). In questa sede mi soffermerò esclusivamente sul modello dell’attività immateriale, atteso che è quest’ultima modalità di contabilizzazione a presentare profili di maggiore interesse sul piano tributario.
In estrema sintesi, il modello dell’attività immateriale trova applicazione qualora il concessionario ottenga «il diritto (licenza) di far pagare gli utenti del servizio pubblico» (par. 17); in tali ipotesi, infatti, secondo l’IFRIC 12 è il concessionario che si accolla il rischio della domanda, atteso che la licenza non costituisce un diritto incondizionato a ricevere disponibilità liquide, visto che «gli importi dipendono dalla misura in cui il pubblico utilizza il servizio» (par. 17). L’IFRIC 12 dispone che l’attività immateriale vada contabilizzata secondo lo IAS 38, con specifico riferimento ai paragrafi 45-47 di tale principio contabile (par. 26). Pertanto, qualora ricorrano i requisiti previsti dallo IAS 38 (ossia quando l’attività ha sostanza commerciale, secondo lo IAS 38, par. 46, e il suo fair value è stimabile in modo attendibile secondo lo IAS 38, par. 47), il costo di tale attività immateriale andrà valutato secondo il suo fair value.
3. Le numerose problematiche fiscali dell’IFRIC 12 non hanno, come anticipato, determinato un ampio dibattito. Il più generale contesto nel quale l’interprete si muove è quello, ormai familiare, della derivazione rafforzata (sul principio di derivazione rafforzata, cfr., senza pretesa di esaustività, Zizzo G., a cura di, La fiscalità delle società IAS/IFRS, cit.; Grandinetti M., Il principio di derivazione nell’Ires, Padova, 2016; Crovato F., a cura di, La fiscalità degli IAS, Milano, 2011; Beghin M., IAS, aggregazioni e imposizione reddituale, in Corr. trib., 2008, 39, 3193 ss.; Fransoni G., L’imputazione a periodo nel reddito d’impresa dei soggetti IAS/IFRS, in Corr. trib., 2008, 39, 3145 ss.; Stevanato D., Profili tributari delle classificazioni di bilancio, in Corr. trib., 2008, 39, 3155 ss.; Zizzo G., Criteri di qualificazione IAS/IFRS nella determinazione dell’imponibile IRES, in Corr. trib., 2008, 39, 3137 ss.; Salvini L., Gli IAS/IFRS e il principio fiscale di derivazione, in Aa.Vv., IAS/IFRS. La modernizzazione del diritto contabile in Italia, Quaderni di Giurisprudenza commerciale, Milano, 2007, 193 ss. Sulla tematica, mi sia consentito di rinviare anche a Baboro R., Il principio di derivazione e la frammentazione dell’imponibile, Torino, 2021): come noto, secondo quanto previsto dall’art. 83, comma 1, ultimo periodo, TUIR ai fini della determinazione del reddito d’impresa dei soggetti IAS adopter «valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti», da detti principi contabili.
Basti qui ricordare che il legislatore ha “attivato” anche ai fini tributari i criteri previsti dai principi contabili internazionali in punto di qualificazione, imputazione temporale e classificazione (c.d. “Qu.I.C.”) dei fatti aziendali recependo, in altre parole, le modalità di loro rappresentazione secondo regole “sostanzialistiche” tipiche dei principi IAS/IFRS, così superando l’impostazione giuridico-formale propria del Testo Unico. Il “rafforzamento” del generale principio di derivazione sta dunque proprio nella prevalenza dei criteri di Qu.I.C. rispetto ai criteri ordinari previsti dall’ordinamento tributario, collocandosi la regola de qua quale “deroga alla deroga” (così. Zizzo G., La «questione fiscale» delle società IAS/IFRS, in Zizzo G., a cura di, La fiscalità delle società IAS/IFRS, cit., 3 ss.) rispetto all’ordinario meccanismo delle variazioni in aumento e diminuzione. Meccanismo che viene, in queste ipotesi, disattivato dalla derivazione rafforzata.
Al contempo, la scelta del legislatore non è stata, evidentemente, quella di attribuire una derivazione “piena” del reddito imponibile dal risultato economico dei soggetti IAS adopter, avendone circoscritto l’efficacia soltanto alle regole previste dai principi contabili internazionali in tema di qualificazione, classificazione e imputazione temporale delle operazioni. In sostanza, nella determinazione del reddito imponibile si delineano due livelli distinti: un primo livello per il quale assumono rilievo i criteri stabiliti dai principi contabili internazionali anche in deroga alle disposizioni del Testo Unico altrimenti applicabili e un secondo che, muovendo dal primo, è determinato dalle restanti regole del TUIR che non attengono ai criteri di qualificazione, classificazione e imputazione temporale.
Nel contesto della derivazione rafforzata, allora, e tenuto conto delle modalità di contabilizzazione di cui ho brevemente dato conto, anche sul piano fiscale dovrà analizzarsi il trattamento delle attività finanziarie e delle attività immateriali iscritte in contropartita dei ricavi contabilizzati ai sensi dell’IFRS 15. In questo senso, il modello contabile dell’IFRIC 12, nella parte in cui esclude la rilevazione delle singole componenti facenti parte delle infrastrutture come immobilizzazioni immateriali, imporrebbe, in linea teorica, di recepire le qualificazioni e classificazioni in derivazione rafforzata delle attività finanziare e immateriali.
Di particolare interesse, in merito, è il trattamento fiscale delle attività immateriali rilevate conformemente all’IFRIC 12, sul quale si registra anche l’intervento del legislatore “fiscale” – nelle modalità di cui dirò a breve – mentre è più immediato risolvere la questione circa la rilevanza tributaria delle attività finanziarie. In quest’ultima ipotesi, atteso che, come detto, lo stesso IFRIC 12 richiama le disposizioni degli IFRS 7 e 9 e dello IAS 32, l’attività finanziaria assumerà rilevanza (anche) fiscale quale strumento finanziario, con tutto ciò che ne consegue circa la disciplina applicabile.
Per quanto riguarda, invece, il caso in cui vada rilevata, secondo l’IFRIC 12, un’attività immateriale, come dicevo lo stesso legislatore fiscale è intervenuto con le disposizioni di cui all’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 (c.d. decreto di endorsement fiscale), emanato sulla base della previsione dell’art. 7-quater, D.Lgs. n. 38/2005 (introdotto dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni nella L. 26 febbraio 2011, n. 10. Sul filtro fiscale introdotto da tale ultimo provvedimento si veda Crovato F., I filtri agli effetti civilistico-fiscali degli IAS, in Crovato F., a cura di, La fiscalità degli IAS, cit., 15 ss.).
Come si evince dalla Relazione illustrativa al D.M., l’intervento del legislatore parte dal presupposto di dover coordinare il particolare modello dell’attività immateriale disciplinato dall’IFRIC 12 con gli artt. 104 e 107, comma 2, TUIR, rispettivamente dedicati all’ammortamento finanziario e agli accantonamenti relativi a beni gratuitamente devolvibili.
Prima dell’intervento del legislatore, infatti, era controverso se potessero o meno trovare applicazione tali disposizioni atteso che tanto l’art. 104, quanto l’art. 107, comma 2, del Testo Unico fanno espressamente riferimento ai beni gratuitamente devolvibili oggetto di concessione i quali, come detto, nell’impostazione contabile dell’IFRIC 12 non vengono rilevati dal concessionario.
La Relazione precisa, del resto, che la rappresentazione contabile disposta dall’IFRIC 12 «non consente la rilevazione dei ‘beni gratuitamente devolvibili oggetto di concessione’ a titolo di immobilizzazioni materiali», prevedendo «la contabilizzazione di un’immobilizzazione immateriale o di un’attività finanziaria». Pertanto, l’art. 8, comma 1, D.M. 8 giugno 2011 dispone che «[l]e attività immateriali iscritte in bilancio ai sensi di quanto disposto dall’IFRIC 12 rientrano tra i beni gratuitamente devolvibili di cui agli articoli 104 e 107, comma 2, del testo unico».
L’intervento del legislatore è quindi mirato ad “includere per assimilazione” fra i beni gratuitamente devolvibili di cui agli artt. 104 e 107, comma 2 del Testo Unico l’attività immateriale rilevata in bilancio secondo l’IFRIC 12. In altri termini, come conferma anche la Relazione illustrativa, all’attività immateriale si applicano tout court le disposizioni di cui all’art. 104 TUIR, incluso il fatto che il metodo dell’ammortamento finanziario è alternativo, come precisato dal comma 1, rispetto a quello di cui all’art. 103 TUIR dedicato ai beni immateriali (del resto, come vedremo a breve, l’art. 103 del Testo Unico avrebbe costituito la naturale disposizione da applicare, in derivazione rafforzata, all’attività immateriale iscritta secondo l’IFRIC 12).
Specularmente, un altro profilo dubbio era inerente al regime fiscale degli obblighi contrattuali per il ripristino della funzionalità dell’infrastruttura che, come già detto, nell’ottica dell’IFRIC 12 vanno rilevati in conformità allo IAS 37, ossia iscrivendo un fondo a ripristino e rinnovo degli impianti imputato a bilancio. Anche questo caso, prima dell’intervento del legislatore era dubbio se fosse applicabile alle somme imputate al predetto fondo la disposizione di cui all’art. 107, comma 2, TUIR la quale, come noto, prevede, per le imprese concessionarie della costruzione e dell’esercizio di opere pubbliche, la deducibilità degli accantonamenti imputati per le «spese di ripristino o di sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili allo scadere della concessione», nella misura del 5% del costo per ciascun bene, deducibilità che non è più ammessa quando il fondo ha raggiunto l’ammontare complessivo delle spese relative al bene medesimo sostenute negli ultimi due esercizi.
Il dubbio, evidentemente, nasceva ancora una volta dal fatto che la disposizione in esame si riferiva all’accantonamento per spese riferite al bene costruito mentre, come sappiamo, l’IFRIC 12 contempla esclusivamente la rilevazione dell’intangible. Ciò vale a dire che, nell’ottica dell’IFRIC 12, anche gli obblighi di manutenzione non comportano, per il concessionario, la sostituzione di un proprio bene – atteso che, come detto, l’infrastruttura rimane sotto il controllo del concessionario – bensì semplicemente un ulteriore servizio al quale esso è tenuto.
In questo caso, il comma 2 dell’art. 8 dispone che «[p]er le imprese concessionarie della costruzione e dell’esercizio di opere pubbliche e le imprese subconcessionarie che adottano gli IAS, i componenti negativi rilevati ai sensi del paragrafo 21 dell’IFRIC 12 si considerano accantonamenti ai fondi di ripristino o di sostituzione di cui al comma 2 dell’art. 107 del Testo unico». Pertanto, la disposizione provvede ad assimilare – per utilizzare la terminologia della Relazione illustrativa – i componenti rilevati secondo il paragrafo 21 dell’IFRIC 12 (secondo il par. 21, gli obblighi contrattuali a mantenere o ripristinare l’infrastruttura devono essere rilevati e valutati conformemente allo IAS 37, ovvero alla migliore stima dei costi che sarebbero necessari per assolvere l’obbligazione attuale alla data del bilancio) agli accantonamenti relativi a beni gratuitamente devolvibili oggetto dell’art. 107, comma 2 del Testo Unico.
Problematica similare è costituita dal trattamento fiscale delle eventuali migliorie o ampliamenti dell’infrastruttura che il concessionario deve realizzare secondo l’accordo. In questi casi, occorre in primo luogo distinguere a seconda che il concessionario riceva o meno dei benefici economici specifici aggiuntivi rispetto a quelli iniziali. La suddetta distinzione, in realtà, non si rinviene direttamente nell’IFRIC 12, ma è stata delineata dall’OIC nei suoi chiarimenti (OIC, Serie: Applicazioni IFRS, IFRIC 12, Applicazione n. 3 – “Accordi per servizi in concessione”, cit., parr. 28-32).
Ciò chiarito, nel caso di accordi con benefici aggiuntivi (sono ad esempio tali, secondo l’OIC, quei miglioramenti che siano tali da comportare l’incremento del numero di utenti e dunque i ricavi futuri, o ancora appositi incrementi tariffari), secondo l’OIC ciò comporta che, a fronte dei miglioramenti da rilevare contabilmente quali lavori su ordinazione – quindi, oggi, secondo le indicazioni fornite dall’IFRS 15 relativamente alle obbligazioni adempiute over the time – il concessionario debba provvedere alla «rilevazione di un incremento dell’attività immateriale man mano che i servizi di costruzione sono prestati» (par. 29).
Sul punto, pure nel silenzio del D.M. 8 giugno 2011, pare corretto concludere che, vista la natura di contropartita a ricavi tassati, anche l’incremento dell’attività immateriale dovrebbe assumere rilevanza fiscale come, del resto, già sancito per l’intangible stesso dall’art. 8, comma 1, D.M. 8 giugno 2011. In sostanza, si ritiene che la rappresentazione IAS, determinando l’incremento del valore dell’immobilizzazioni immateriale, fa sì che i costi per migliorie concorrano a formare il costo del bene rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina dell’ammortamento finanziario.
Quanto all’ipotesi di migliorie senza benefici aggiuntivi, secondo l’OIC, «l’obbligazione a fornire in futuro il servizio di costruzione dovrebbe essere considerata come parte del corrispettivo dell’accordo, che l’impresa è disposta a sostenere per ricevere un maggior diritto a far pagare, fin da subito, gli utenti che si servono dell’infrastruttura», trattandosi di un’obbligazione legale o implicita, da rilevare come passività se ricorrono i requisiti previsti dallo IAS 37 (par. 30).
Anche in questo caso, come contropartita di tale passività, da iscrivere al momento della rilevazione iniziale «al valore attuale dell’esborso previsto per i servizi di costruzione da rendere in futuro», sarà necessario rilevare una componente aggiuntiva dell’attività immateriale da ammortizzare contestualmente (par. 30). Inoltre, secondo l’OIC, per la valutazione di tale passività e della corrispondente attività troverà applicazione l’IFRIC 1, Cambiamenti nelle passività iscritte per smantellamenti, ripristini e passività similari (par. 31) (per esemplificare, pertanto, le modifiche al valore della passività andranno rilevate a incremento o riduzione della relativa attività immateriale e, se un’eventuale riduzione dovesse eccedere il valore contabile dell’attività, tale eccedenza andrà rilevata a conto economico).
Sul piano tributario, a mio sommesso avviso, occorre anzitutto distinguere – come si evince, seppure implicitamente, dai chiarimenti resi dall’OIC – a seconda della ricorrenza o meno dei requisiti di cui allo IAS 37. Orbene, secondo il par. 10 dello IAS 37, l’accantonamento è una passività di scadenza o ammontare incerto. Ai sensi del par. 14, un accantonamento deve essere rilevato quando: a) un’entità ha un’obbligazione in corso (“legale” o implicita) quale risultato di un evento passato; b) è probabile che sarà necessario l’impiego di risorse atte a produrre benefici economici per adempiere l’obbligazione; e c) può essere effettuata una stima attendibile dell’ammontare dell’obbligazione. Se queste condizioni non vengono soddisfatte, non deve essere rilevato alcun accantonamento.
Dunque, il concessionario sarà tenuto a valutare, caso per caso, la ricorrenza dei suddetti elementi. In buona sostanza, sarà necessario appurare dall’esame dell’accordo se l’impegno di migliorare l’infrastruttura possa considerarsi alla stregua di un vero e proprio debito – dunque determinato sia nell’an che nel quantum – o, piuttosto, di un fondo che presenti requisiti di incertezza tali da essere considerato come accantonamento nel significato dello IAS 37.
In questo secondo caso ci si deve interrogare sulla rilevanza tributaria dell’incremento di valore dell’immobilizzazione, considerato che la contropartita contabile di tale incremento è costituita da un fondo disciplinato dallo IAS 37. Più in particolare, la sussistenza di una passività che presenti i requisiti di cui al par. 14 dello IAS 37 determina la necessità di valutare l’eventuale deducibilità del componente negativo iscritto in contabilità non a titolo di accantonamento.
Orbene, anche su tale questione è intervenuto il D.M. 8 giugno 2011. In particolare, l’art. 9 incide nelle ipotesi in cui le regole di contabilizzazione contenute negli standard internazionali prevedono che in contropartita delle passività di scadenza o ammontare incerti di cui allo IAS 37, siano iscritti componenti negativi di reddito classificati sulla base della natura delle spese che generano le predette passività (e non a titolo di accantonamenti). Esso dispone, infatti, che «[s]i considerano accantonamenti i componenti reddituali iscritti in contropartita di passività di scadenza o ammontare incerti che presentano i requisiti di cui allo IAS 37, ancorché disciplinate da uno IAS/IFRS diverso rispetto allo stesso IAS 37»; inoltre, come chiarito dal comma 3 del citato art. 9, «[g]li accantonamenti di cui ai commi precedenti sono deducibili se rientranti tra quelli di cui all’art. 107, commi da 1 a 3, del testo unico».
Ciò sta a significare che con tale disposizione sono attratte al regime di indeducibilità degli accantonamenti previsto dall’art. 107, comma 4, TUIR anche fattispecie disciplinate, oltreché dallo IAS 37, anche da altri principi contabili.
Orbene, mi pare che si possa sostenere che la rappresentazione contabile delle spese di miglioria, laddove non fossero sussistenti benefici aggiuntivi non potrebbe che assumere rilevanza ai fini tributari – pur non essendo tale ipotesi specificatamente disciplinata dall’IFRIC 12, il che potrebbe giustificare, in una prospettiva tuttavia eccessivamente formalistica e semplicistica, la tesi dell’inefficacia della derivazione rafforzata. Si è al cospetto, infatti, al pari dei costi di smantellamento e di rimozione di un’immobilizzazione materiale e di bonifica del sito su cui la stessa insiste, di un componente negativo, la cui qualificazione/classificazione come quota di ammortamento deriva dalla qualificazione dell’attività immateriale alla stregua di un bene gratuitamente devolvibile. La Relazione al D.M. n. 48/2009 aveva evidenziato come la collocazione dei fondi di ripristino e di bonifica che «gli IAS impongono di contabilizzare in contropartita di un costo integrativo dell’investimento che concorre, come tale, a formare il valore ammortizzabile del bene[…]esprima una regola di qualificazione che deve rilevare anche ai fini fiscali». In effetti, la contropartita del fondo non è costituita, stricto sensu, da un componente negativo di reddito, bensì da una posta patrimoniale, espressiva dell’incremento del costo dell’immobilizzazione materiale. In tal senso, dunque, la capitalizzazione dei costi in esame costituisce una regola di qualificazione che determina l’inapplicabilità della previsione contenuta nell’art. 9, comma 1, del decreto. Ulteriori conferme a quanto appena sostenuto possono trarsi anche dalla Relazione illustrativa al D.M. 5 agosto 2019, in tema di leasing. In essa infatti si legge, coerentemente con la Relazione al D.M. del 2009, che «assume rilevanza fiscale l’incremento del valore contabile del ROU derivante dall’inclusione in esso dei costi che il locatario dovrà sostenere per lo smantellamento e la rimozione dell’attività sottostante e per il ripristino del sito in cui essa è ubicata o per il ripristino dell’attività sottostante nelle condizioni previste dai termini e dalle condizioni del leasing».
Infine, il terzo ed ultimo comma dell’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 dispone che, in deroga al comma 1, gli ammortamenti dell’attività immateriale di concessioni relative ad attività regolate si considerano deducibili ai sensi dell’art. 102-bis del Testo Unico – relativo, come noto, ai beni materiali strumentali per l’esercizio di talune attività regolate.
4. Tirando ora le fila del nostro ragionamento, è necessario interrogarsi sul legame fra le disposizioni dell’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 e la derivazione rafforzata e, in particolare, se tale intervento si ponga o meno in un rapporto di “disattivazione” con tale criterio.
Secondo una prima tesi l’art. 8, cit. si limiterebbe a precisare che, nonostante l’IFRIC 12 imponga di “accorpare” i beni oggetto di concessione in un’unica attività immateriale, tale intangible rientri comunque a pieno titolo nel novero dei beni gratuitamente devolvibili oggetto degli artt. 104 e 107, comma 2 del Testo Unico. Dunque, l’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 non introdurrebbe una “innovazione” a pieno titolo rispetto all’assetto previgente, come confermato anche dal fatto che, prima dell’intervento del legislatore, già si era ritenuto che all’intangible potessero applicarsi, autonomamente, gli artt. 104 e 107, comma 2 del Testo Unico (cfr. Vacca I. – Garcea A., Questioni aperte in tema di costruzione e gestione di immobili, cit.).
Ritengo che si possa accedere ad una soluzione diversa, anzi diametralmente opposta, per le ragioni che mi accingo ad esporre.
Mentre l’art. 104 del Testo Unico implica necessariamente che il concessionario rilevi in bilancio il bene che sarà poi ad esso devoluto, come detto l’IFRIC 12 presuppone esattamente il contrario, ossia la mancata rilevazione dell’infrastruttura e, al suo posto, un bene immateriale rappresentato da una sorta di licenza, costituita dal diritto «di far pagare gli utenti del servizio pubblico» (IFRIC 12, par. 17).
Tale differenziazione è assai rilevante visto che il modello dell’IFRIC 12 è radicalmente incompatibile con i presupposti dell’art. 104 del Testo Unico: la stessa Relazione illustrativa, come già detto, è palese evidenza in tal senso (secondo la Relazione la rappresentazione contabile disposta dall’IFRIC 12 «non consente la rilevazione dei ‘beni gratuitamente devolvibili oggetto di concessione’ a titolo di immobilizzazioni materiali», nella misura in cui contempla «la contabilizzazione di un’immobilizzazione immateriale o di un’attività finanziaria»). Pertanto, già tali ragioni portano a ritenere che l’art. 8, comma 1, cit. (lo stesso vale, chiaramente, per i commi 2 e 3 dell’art. 8. In merito al comma 3, ciò è ancor più evidente se si considera che l’art. 102-bis del Testo Unico si riferisce unicamente all’ammortamento dei “beni materiali” strumentali) finisca per “disattivare” la qualificazione e classificazione imposta in derivazione rafforzata dall’IFRIC 12 dell’intangible – che avrebbero dovuto condurre all’applicabilità, in linea teorica, del solo art. 103 TUIR – assimilandolo alla nozione di beni gratuitamente racchiusa come presupposto di applicabilità dell’art. 104 del Testo Unico.
Quanto al comma 3 dell’art. 8, cit., tale disposizione non pare “trasformare” o “scorporare” l’intangible nei beni materiali strumentali di cui all’art. 102-bis ma, più semplicemente, disporre che, ferma restando la qualificazione dell’attività immateriale come bene gratuitamente devolvibile, stabilita dal primo comma della disposizione, a essa si applichi il limite di deducibilità indicato dal legislatore per le attività regolamentate. In sostanza, la previsione del comma 3 si appoggia a quella contenuta nel primo comma, disponendo, in deroga al primo comma, che le quote di ammortamento dei beni immateriali, iscritti ai sensi dell’IFRIC 12, si considerano deducibili ai sensi dell’art. 102-bis del Testo Unico.
La deroga, dunque, riguarda, a mio avviso, la rilevanza, ai fini tributari, delle quote di ammortamento delle attività immateriali iscritte ai sensi dell’IFRIC 12 che, per effetto del comma 1, rientrano tra i beni gratuitamente devolvibili. In questo caso, ai fini della deducibilità delle quote di ammortamento si rende applicabile la previsione contenuta nell’art. 102-bis del Testo Unico. Depone, in tal senso, anche la Relazione al D.M., ove si legge che «[l]’ultimo comma dell’articolo in esame, infine, chiarisce la disciplina degli ammortamenti effettuati dai soggetti IAS adopter che in conformità all’IFRIC 12 rappresentano come attività immateriali i beni oggetto di concessioni che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività regolate. In particolare, si precisa che, in deroga al primo comma, per tali soggetti trova applicazione la norma fiscale prevista all’art. 102-bis del T.U.I.R. che prevede di considerare quale vita utile dei cespiti in oggetto quella determinata, ai fini tariffari e per singole categorie omogenee degli stessi, dall’AEEG».
Se così è, l’intervento di cui all’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 sembra in primo luogo esorbitante rispetto al già citato disposto dell’art. 7-quater, D.Lgs. n. 38/2005, che costituisce come detto la base giuridica dei decreti di coordinamento. Facendo rinvio ad altra sede per un esame più specifico del tema (sul punto mi permetto di fare un richiamo a Baboro R., Il principio di derivazione e la frammentazione dell’imponibile, cit., 149 ss.), basti qui evidenziare come tali decreti (successivamente sono stati emanati i due D.M. pubblicati il 10 gennaio 2018, relativi all’IFRS 15 e all’IFRS 9, e il D.M. 5 agosto 2019 relativo all’IFRS 16) dovrebbero concretizzarsi in una mera attività di coordinamento fra l’adozione di nuovi principi contabili internazionali (ovvero la modifica di quelli già esistenti) e le disposizioni tributarie. Non potrebbero – sotto un piano formale – disattivare la derivazione rafforzata, e dunque incidere sui criteri di qualificazione, classificazione e imputazione temporale. Infatti, la delega conferita al Governo all’emanazione di decreti senza l’indicazione di criteri direttivi precisi, se non quello di un coordinamento che in realtà si rivela essere, in diversi casi, una vera e propria attività di deroga di altre (e soprattutto) sovraordinate fonti, costituisce un modus operandi che finisce per sovvertire il sistema della gerarchia delle fonti e che, peraltro, mette in forte crisi il principio di riserva di legge relativa che caratterizza la materia tributaria. L’illegittimità di tale attività è altresì ulteriormente enfatizzata dal fatto che l’emanazione di tali decreti, ad eccezione del Regolamento n. 48/2009, non è neppure avvenuta nelle forme di cui all’art. 17, comma 3, L. 23 agosto 1988, n. 400 e, dunque, nelle forme degli atti normativi a contenuto regolamentare (su tali questioni cfr. Fransoni G., I decreti ministeriali di coordinamento della disciplina IRES e IRAP con i principi contabili internazionali: profili di illegittimità, in Riv. tel. dir. trib., 2018, 1, VII, 105 ss.).
Il margine di intervento di tale coordinamento, dunque, sarebbe costituito dai fenomeni meramente valutativi, con l’ulteriore caveat di dover escludere, anche in questo caso, la possibilità di disattivare valutazioni che derivano direttamente da attività di qualificazione o classificazione. Evidentemente non è questo il caso dell’art. 8, comma 1, D.M. 8 giugno 2011, il quale come detto dispone una vera e propria assimilazione “in bianco” dell’attività immateriale ai beni gratuitamente devolvibili con la conseguente applicazione degli artt. 104 e 107, comma 2, TUIR, ossia una deroga alla qualificazione e classificazione dell’intangible secondo l’IFRIC 12.
Non solo. Occorre ora riflettere proprio su tale ultimo punto, ossia sulla “assimilazione” dell’intangible disposta dall’art. 8, comma 1, D.M. 8 giugno 2011 alla nozione di beni gratuitamente devolvibili.
La prima notazione riguarda il fatto che tale assimilazione sembrerebbe avere un carattere pressoché assoluto: l’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 non contempla condizioni di alcun genere affinché l’attività immateriale iscritta secondo l’IFRIC 12 possa essere assimilata ai beni gratuitamente devolvibili, e dunque dovrebbe concludersi che tale equivalenza operi de plano.
In altri termini, sembrerebbe che sia precluso, per l’interprete, valutare nel merito il carattere di bene gratuitamente devolvibile delle infrastrutture oggetto della concessione. Si tratta, peraltro, di un esame che non è sempre immediato. Il caso emblematico a tal proposito è quello – che sovente è riscontrabile nelle concessioni – di eventuali indennizzi che il concedente è tenuto a riconoscere al gestore al momento della devoluzione nel caso in cui i beni da restituire non siano stati completamente ammortizzati. Sul punto, occorre registrare ad esempio la posizione del Consiglio di Stato, secondo cui l’indennizzo «rimediando ad una possibile perdita del gestore, non in grado di esaurire il processo di ammortamento […] non contraddice affatto la gratuità essenziale della devoluzione, ma corregge solo un pregiudizio certo, lesivo dell’equilibrio sul quale si regge l’affidamento» (Consiglio di Stato, 3 settembre 2001, sent. n. 4586).
Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che, come chiarito dall’OIC, «non è motivo di esclusione dall’ambito di applicazione dell’IFRIC 12 il fatto che il concedente debba acquistare l’infrastruttura al fair value, laddove l’obbligo di acquisto del concedente impedisce al concessionario di disporre/vendere l’infrastruttura durante il periodo della concessione e al termine della stessa» (par. 9). O, ancora, l’IFRIC 12 trova applicazione anche quando il concessionario ha il diritto di designare un soggetto terzo come destinatario della vendita dei beni (par. 9).
Da quanto sopra discende da un lato che, contabilmente, l’IFRIC 12 opera anche in assenza di una devoluzione gratuita (a ben vedere, l’IFRIC 12 non si interessa a tale profilo ma, piuttosto, al controllo del gestore sul “destino” dei beni oggetto di concessione), ma che, dall’altro, anche in tali casi l’attività immateriale viene assimilata dall’art. 8, comma 1, D.M. 8 giugno 2011 ai beni gratuitamente devolvibili di cui all’art. 104 del Testo Unico. Sotto un’ulteriore prospettiva, l’assimilazione posta in essere dall’art. 8 dovrebbe anche precludere all’Amministrazione finanziaria la possibilità di contestare, nel merito, la sussistenza della gratuità della devoluzione nel caso di soggetti IAS/IFRS (in generale, sul tema della sindacabilità del bilancio dei soggetti IAS/IFRS, cfr. Grandinetti M., Il principio di derivazione nell’Ires, cit., 195 ss.).
Se si tiene conto di quanto sopra, tuttavia, emerge una distorsione derivante dall’applicazione congiunta dell’IFRIC 12 e degli artt. 104 del Testo Unico e 8 D.M. 8 giugno 2011, nella misura in cui tale plesso di norme porta all’applicazione di disposizioni destinate a beni gratuitamente devolvibili a fattispecie che prescindono dalla gratuità o meno della devoluzione.
Per meglio evidenziare tale circostanza occorre soffermarsi sulla ratio dell’art. 104 del Testo Unico che, come noto, dispone un particolare regime di ammortamento finanziario per i beni gratuitamente devolvibili oggetto di concessione (in merito cfr. Beghin M., L’ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili nel quadro del “nuovo” art. 104 del Tuir, in Rass. trib., 2004, 5, 1579 ss.).
L’art. 104 TUIR permette, in estrema sintesi, la deducibilità delle quote di ammortamento dei beni costruiti in regime di concessione che, alla scadenza di questa, sono devoluti gratuitamente all’ente concedente. È proprio in ragione di tale gratuita devoluzione che la norma consente il calcolo delle quote di ammortamento in base alla durata della concessione, in luogo dei criteri di calcolo previsti all’art. 102 del Testo Unico.
In altri termini, si tratta di un procedimento che consente di garantire l’esaurimento del procedimento di ammortamento nell’arco temporale nel quale si attua il rapporto con il concedente; ciò a prescindere evidentemente dalla vita utile del bene, che può essere superiore o inferiore rispetto alla durata di tale rapporto. La disciplina così ricostruita risponde all’esigenza di ripartire i costi sostenuti dal concessionario per l’acquisto o la costruzione dei beni – e dunque le risorse finanziarie investite – i quali dovranno essere gratuitamente devoluti al termine del rapporto concessorio.
La ratio dell’ammortamento finanziario, come chiarito da autorevole dottrina, è quella di porre il concessionario nelle condizioni di assorbire al meglio la perdita connessa alla devoluzione gratuita dei beni alla stregua di un accantonamento (Beghin M., L’ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili nel quadro del “nuovo” art. 104 del Tuir, cit., 1579 ss.), o ancora similmente alla logica della riserva di utili, piuttosto che alla ripartizione di un costo secondo la vita utile del bene come l’ammortamento tecnico (così, seppure con riferimento al cumulo dell’ammortamento tecnico con quello finanziario, Falsitta G., Problemi di valutazione in tema di “immobilizzazioni” e di beni gratuitamente devolvibili, in Rass. trib., 1984, I, 219 ss.).
Da quanto sopra discende chiaramente che la logica dell’art. 104 del Testo Unico si muove su un binario del tutto differente da quello dell’IFRIC 12, che, come detto, non si interessa alla gratuità della devoluzione. Pertanto, l’art. 8 D.M. 8 giugno 2011 potrebbe causare evidenti effetti distorsivi nei casi in cui, a fronte dell’ammortamento finanziario, il concessionario ritrae comunque un corrispettivo per la devoluzione dei beni. Di talché, a meno di non tentare una diversa interpretazione dell’art. 8 – ossia nel senso di consentire un giudizio sulla gratuità della devoluzione come requisito per l’applicazione dell’art. 104 del Testo Unico – sarebbe opportuno un intervento di disciplina più puntuale da parte del legislatore.
5. Infine, l’ultimo profilo sul quale intendo brevemente soffermarmi è quello costituito dai rapporti fra IFRIC 12 e riallineamento fra il valore civilistico e quello fiscale dei beni di cui, da ultimo, all’art. 110 D.L. n. 104/2020.
Pur non potendomi addentrare in questa sede su tale disciplina, per introdurre la problematica qui in esame giova premettere che, come noto, con la predetta disposizione il legislatore ha consentito ai contribuenti (secondo l’art. 110, comma 8, tale riallineamento era disponibile anche per i soggetti IAS/IFRS) di riconoscere anche fiscalmente il maggiore costo civilistico-contabile dei beni d’impresa risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2019, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva (pari al 3% della differenza tra il valore civile e il valore fiscale di ciascun bene). Fra le caratteristiche distintive del riallineamento ex art. 110 D.L. n. 104/2020 vi era, fra l’altro, anche il fatto che, per la prima volta, l’ambito oggettivo della disposizione era stato esteso anche all’avviamento e ai beni immateriali, ai sensi del comma 8-bis del citato articolo.
Ciò chiarito, era sorto un problema – in realtà tuttora controverso – circa l’applicabilità di tale disposizione ai soggetti che, secondo l’IFRIC 12, avessero contabilizzato quale bene immateriale il diritto d’uso derivante dalle concessioni. Sul punto, infatti, l’Amministrazione finanziaria, in due risposte ad interpelli non pubbliche, ha escluso la possibilità di fruire del riallineamento.
Da quanto è dato evincere, il ragionamento dell’Agenzia parte dall’applicazione, ai soggetti IAS/IFRS che operano in settori regolamentati, dell’art. 8, comma 3, D.M. 8 giugno 2011 il quale, come abbiamo già ricordato, richiama le regole dell’art. 102-bis del Testo Unico per la deducibilità degli ammortamenti dell’attività immateriale per le concessioni nei medesimi settori. Ora, secondo l’Agenzia, rispetto a tali soggetti l’art. 8, comma 3, D.M. 8 giugno 2011 comporterebbe una disattivazione integrale della derivazione rafforzata e, siccome l’art. 102-bis del Testo Unico si riferisce a beni materiali strumentali, l’intangible rilevato secondo l’IFRIC 12 non rientrerebbe nel comma 8-bis dell’art. 110, relativo come detto ai beni immateriali.
Tale conclusione è stata criticata secondo varie prospettive. Alcuni hanno infatti escluso che l’art. 8, comma 3 potesse comportare una deroga alla derivazione rafforzata e, conseguentemente, hanno ritenuto riallineabile l’intangible in quanto tale, o ancora che l’attività immateriale fosse riallineabile in quanto bene gratuitamente devolvibile, atteso che l’art. 8 comma 3 disporrebbe unicamente un limite di deducibilità all’ammortamento, piuttosto che una norma di qualificazione (cfr. Russo V., Il riallineamento per i soggetti IAS/IFRS in cerca di confini certi, in il fisco, 2021, 24, 2327 ss.). Quest’ultima posizione è stata assunta anche da Assonime (che ha esaminato la questione nella circolare n. 18 dell’8 giugno 2021. In realtà, la circolare si sofferma anche sulle conseguenze in materia di riallineamento della Fist Time Adoption dell’IFRIC 12, dalla quale deriva la riclassificazione come unico intangible dei beni prima contabilizzati nel regime OIC, problematica che non si è ritenuto opportuno analizzare in questa sede), ritenendo non soltanto che l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate si ponesse in contrasto con una corretta esegesi del comma 3 dell’art. 8, che si limiterebbe a disporre una regola di quantificazione, ma anche con la ratio e lo spirito dell’art. 110 D.L. n. 104/2020. Secondo Assonime, infatti, il riferimento alle attività immateriali di tale disposizione sarebbe la riprova del favor del legislatore proprio per ipotesi similari a quella qui in esame, trattandosi cioè di consentire il riallineamento anche con riferimento ad «attività immateriali non rivalutabili poiché non afferenti a beni giuridicamente tutelabili».
Chi scrive ritiene che la linea interpretativa dell’Amministrazione finanziaria non sia condivisibile. Come ho cercato di dimostrare, infatti, il comma 3 dell’art. 8 non costituisce affatto una sorta di ulteriore deroga alla derivazione rafforzata, ma opera, per i soggetti attivi nei settori regolamentati, sul piano della mera quantificazione dell’ammortamento deducibile. In altri termini, volendo schematizzare, il primo livello è quello dell’IFRIC 12, che qualifica le infrastrutture come un’unica attività immateriale, un secondo livello (art. 8, comma 1) “assimila” tale intangible ai beni gratuitamente devolvibili – ferma restando però la sua natura di bene immateriale – mentre un ultimo e terzo livello (art. 8, comma 3) si limita a specificare che, immutata la qualificazione avvenuta ai livelli precedenti, la deducibilità degli ammortamenti è sottoposta ai limiti di cui all’art. 102-bis del Testo Unico nel caso di attività regolamentata.
A mio avviso, la “piramide” interpretativa poc’anzi esposta è l’unica plausibile interpretazione del plesso di norme sinora analizzate. Ritenere, come fa l’Agenzia delle Entrate, che il comma 3 dell’art. 8 costituisca una sorta di “materializzazione” dell’intangible, costituirebbe un’ulteriore evidente deroga alla derivazione rafforzata che non soltanto è discutibile sul piano esegetico e dei presupposti dei decreti di endorsement, ma finirebbe anche per portare all’esclusione dalla fruizione di una disposizione di favore, come l’art. 110, che è invece espressamente mirata a racchiudere al suo interno un novero più vasto possibile di fattispecie, penalizzando irragionevolmente i soggetti IAS/IFRS che operano nei settori regolamentati di cui all’art. 102-bis: tali soggetti sarebbero discriminati non soltanto rispetto agli altri soggetti IAS, ma addirittura rispetto a soggetti OIC che operano nei medesimi settori regolamentati, i quali dovrebbero poter usufruire regolarmente del riallineamento.
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Trattamento dei dati
A fini di trasparenza e nel rispetto dei principi enucleati dall’art. 12 del GDPR, si ricorda che per “trattamento di dati personali” si intende qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione. Il trattamento dei dati personali potrà effettuarsi con o senza l’ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati e comprenderà, nel rispetto dei limiti e delle condizioni posti dal GDPR, anche la comunicazione nei confronti dei soggetti di cui al successivo punto 7.
Modalità del trattamento dei dati: I dati personali oggetto di trattamento sono:
trattati in modo lecito e secondo correttezza da soggetti autorizzati all’assolvimento di tali compiti, soggetti identificati e resi edotti dei vincoli imposti dal GDPR;
raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, e utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;
esatti e, se necessario, aggiornati;
pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o successivamente trattati;
conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati;
trattati con il supporto di mezzi cartacei, informatici o telematici e con l’impiego di misure di sicurezza atte a garantire la riservatezza del soggetto interessato cui i dati si riferiscono e ad evitare l’indebito accesso a soggetti terzi o a personale non autorizzato.
Natura del conferimento
Il conferimento di alcuni dati personali è necessario. In caso di mancato conferimento dei dati personali richiesti o in caso di opposizione al trattamento dei dati personali conferiti, potrebbe non essere possibile dar corso alla richiesta e/o alla gestione del servizio richiesto e/o alla la gestione del relativo contratto.
Comunicazione dei dati
I dati personali raccolti sono trattati dal personale incaricato che abbia necessità di averne conoscenza nell’espletamento delle proprie attività. I dati non verranno diffusi.
Diritti dell’interessato.
Ai sensi degli articoli 15-20 del GDPR l’utente potrà esercitare specifici diritti, tra cui quello di ottenere l’accesso ai dati personali in forma intelligibile, la rettifica, l’aggiornamento o la cancellazione degli stessi. L’utente avrà inoltre diritto ad ottenere dalla Società la limitazione del trattamento, potrà inoltre opporsi per motivi legittimi al trattamento dei dati. Nel caso in cui ritenga che i trattamenti che Lo riguardano violino le norme del GDPR, ha diritto a proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 77 del GDPR.
Titolare e Responsabile per la protezione dei dati personali (DPO)
Titolare del trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 4.1.7 del GDPR è Pacini Editore Srl., con sede legale in 56121 Pisa, Via A Gherardesca n. 1.
Per esercitare i diritti ai sensi del GDPR di cui al punto 6 della presente informativa l’utente potrà contattare il Titolare e potrà effettuare ogni richiesta di informazione in merito all’individuazione dei Responsabili del trattamento, Incaricati del trattamento agenti per conto del Titolare al seguente indirizzo di posta elettronica: privacy@pacinieditore.it. L’elenco completo dei Responsabili e le categorie di incaricati del trattamento sono disponibili su richiesta.
Ai sensi dell’art. 13 Decreto Legislativo 196/03 (di seguito D.Lgs.), si informano gli utenti del nostro sito in materia di trattamento dei dati personali.
Quanto sotto non è valido per altri siti web eventualmente consultabili attraverso i link presenti sul nostro sito.
Il Titolare del trattamento
Il Titolare del trattamento dei dati personali, relativi a persone identificate o identificabili trattati a seguito della consultazione del nostro sito, è Pacini Editore Srl, che ha sede legale in via Gherardesca 1, 56121 Pisa.
Luogo e finalità di trattamento dei dati
I trattamenti connessi ai servizi web di questo sito hanno luogo prevalentemente presso la predetta sede della Società e sono curati solo da dipendenti e collaboratori di Pacini Editore Srl nominati incaricati del trattamento al fine di espletare i servizi richiesti (fornitura di volumi, riviste, abbonamenti, ebook, ecc.).
I dati personali forniti dagli utenti che inoltrano richieste di servizi sono utilizzati al solo fine di eseguire il servizio o la prestazione richiesta.
L’inserimento dei dati personali dell’utente all’interno di eventuali maling list, al fine di invio di messaggi promozionali occasionali o periodici, avviene soltanto dietro esplicita accettazione e autorizzazione dell’utente stesso.
Comunicazione dei dati
I dati forniti dagli utenti non saranno comunicati a soggetti terzi salvo che la comunicazione sia imposta da obblighi di legge o sia strettamente necessario per l’adempimento delle richieste e di eventuali obblighi contrattuali.
Gli incaricati del trattamento che si occupano della gestione delle richieste, potranno venire a conoscenza dei suoi dati personali esclusivamente per le finalità sopra menzionate.
Nessun dato raccolto sul sito è oggetto di diffusione.
Tipi di dati trattati
Dati forniti volontariamente dagli utenti
L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati su questo sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva.
Facoltatività del conferimento dei dati
Salvo quanto specificato per i dati di navigazione, l’utente è libero di fornire i dati personali per richiedere i servizi offerti dalla società. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere il servizio richiesto.
Modalità di trattamento dei dati
I dati personali sono trattati con strumenti manuali e automatizzati, per il tempo necessario a conseguire lo scopo per il quale sono stati raccolti e, comunque per il periodo imposto da eventuali obblighi contrattuali o di legge.
I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
Dati degli abbonati
I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 e adeguamenti al Regolamento UE GDPR 2016 (General Data Protection Regulation) a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl – Via A. Gherardesca 1 – 56121 Pisa. Per ulteriori approfondimenti fare riferimento al sito web http://www.pacinieditore.it/privacy/
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