IL PUNTO SU… La residenza fiscale dei trust opachi alla luce della recente circolare

Di Stefano Morri e Francesco Nicolosi -

A. Com’è noto, il trust è annoverato tra i soggetti IRES ai sensi dell’art. 73 TUIR e, come tale, se residente in Italia è assoggettato a tassazione per i redditi ovunque prodotti; se non residente, è assoggettato a tassazione solo con riferimento ai redditi prodotti in Italia.

I redditi distribuiti da trust opachi non residenti, non commerciali e non soggetti ad una tassazione congrua sono imponibili in capo al beneficiario italiano, ai sensi dell’art. 44 TUIR. Il livello di tassazione rilevante è determinato in base ad un rinvio all’art. 47-bis TUIR. In base a tale rinvio, dovrebbero assumere rilievo i redditi distribuiti da trust soggetti ad un livello di tassazione nominale inferiore alla metà di quello applicata in Italia (cfr. circ. n. 34/E/2022). Fatte salve le precisazioni che si effettueranno nel prosieguo, non dovrebbero essere rilevanti i proventi distribuiti da trust residenti nell’Unione Europea/Spazio Economico Europeo (“UE”).

In base all’attuale assetto normativo, la determinazione della residenza del trust rileva ai fini:

  • dell’individuazione dei trust residenti in Italia o all’estero;
  • dell’individuazione dello Stato estero di residenza del trust, al fine di determinare l’aliquota nominale applicata, nell’ottica di stabilire se le distribuzioni nei confronti di beneficiari italiani siano o meno imponibili.

Nel prosieguo si esaminano le tematiche connesse all’applicazione in concreto dei criteri dettati per la residenza fiscale del trust, valutando le soluzioni adottate dall’Agenzia delle Entrate nella recente circ. n. 34/E/2022, limitatamente ai trust opachi non commerciali: salve alcune differenze, le osservazioni svolte valgono, in quanto compatibili, anche per i trust trasparenti e i trust opachi commerciali che non formano oggetto specifico di indagine.

B. Dei tre criteri di collegamento previsti dall’art. 73, comma 3, TUIR, che notoriamente sono alternativi fra di loro, il primo della sede legale trova difficilmente applicazione con riferimento ai trust. Si tratta di un criterio piuttosto applicabile agli enti societari.

Nella maggioranza dei casi, la residenza del trust verrà determinata in base alla sede dell’amministrazione o all’oggetto principale dell’attività, come riconosce anche la stessa Agenzia delle Entrate nelle circ. n. 48/E/2007 e n. 34/E/2022.

La sede dell’amministrazione coincide, normalmente, con il luogo di residenza del trustee. E’ in linea di principio da tale luogo che promanano gli impulsi volitivi attinenti alla gestione del trust. Laddove il trustee operi come tale in uno Stato diverso da quello di residenza, assumerà rilievo tale secondo Stato.

Nei casi di doppia residenza del trustee dovranno applicarsi le ordinarie tie breaker rules previste dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia. Ad oggi, l’unica Convenzione che espressamente comprende i trust tra le persone cui si applica la Convenzione stessa è quella con gli Stati Uniti d’America.

Ad ogni modo, poiché è annoverato tra i soggetti passivi IRES, ai fini convenzionali, quantomeno nell’ottica italiana, il trust deve essere considerato come “persona” (“una persona diversa da una persona fisica” di cui all’art. 4, comma 3, Modello OCSE di Convenzione), anche se non menzionato nelle singole Convenzioni: questa soluzione è accolta anche dall’Agenzia delle Entrate (cfr. circ. n. 48/E/2007 e n. 34/E/2022).

 

C. L’oggetto principale ai sensi dell’art. 73 va determinato in base all’attività concretamente svolta, circostanza, questa, che è fonte di notevoli incertezze.

Particolarmente problematica è la determinazione dell’oggetto principale ove il trust fund sia localizzato in luogo diverso da quello dove il trust svolge la propria attività di gestione dei relativi beni.

La questione è quantomai vasta e travalica la tematica del trust, riguardando piuttosto le società in generale. Da sempre, ad esempio, ci si chiede se possa essere considerata residente in Italia una holding estera che detiene solo beni immobili o partecipazioni in Italia.

Riassumendo un dibattito estremamente articolato, si può dire che, come regola generale, non dovrebbe assumere rilievo decisivo il luogo di ubicazione dei beni, quanto lo svolgimento dell’attività gestionale propria dell’Ente.

A tal fine, occorre avere riguardo ai rapporti economici intrattenuti dall’Ente, nonché al complesso delle attività esercitate (cfr. Assonime, circolare n. 67 del 31 ottobre 2007, par. 2.2.; Stevanato D., Holding di partecipazioni e presunzione di residenza, in Corr. trib., 2008, 1, 70 ss.; Baggio R., Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009; Rossi L., La residenza fiscale delle holding di partecipazione, in Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Milano, 2014; Melis G., Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e stabile organizzazione: problemi ancora aperti e possibili soluzioni, in Dir. prat. trib., 2014, 1, I, 29 ss.; Grilli S., Residenza delle società, in Avolio D., a cura di, Fiscalità Internazionale e dei gruppi, Milano, 2021, 9 ss.; si veda, inoltre, Cass. n. 1439/1990; n. 12113/2002; n. 13579/2007; n. 7739/2011). Di particolare interesse sono al riguardo le considerazioni contenute nella sentenza Cass. n. 11709/2022, la quale chiarisce che il luogo di svolgimento dell’oggetto sociale «non integra tanto un criterio a sé stante e contrapposto a quello del place of effective management, ma contribuisce ad identificare quest’ultimo, come sede di direzione effettiva». In altre parole, il criterio dell’oggetto principale si sovrapporrebbe, sotto certi profili, con il luogo di sede dell’amministrazione. Naturalmente, il luogo di principale localizzazione dei beni detenuti dalla società non sarà totalmente irrilevante, rappresentando comunque un utile indizio al fine di desumere il luogo di svolgimento dell’attività. Ciò è particolarmente vero nelle società di mera gestione c.d. “statica” immobiliare o finanziaria, per le quali, nella maggioranza dei casi, il luogo di svolgimento dell’attività tenderà a coincidere con il luogo di localizzazione dei beni.

Le considerazioni sopra esposte trovano applicazione anche con riferimento ai trust.

Al riguardo, nella circ. n. 48/E/2007 e n. 34/E/2022, l’Agenzia delle Entrate precisa che con riferimento ai trust immobiliari occorre avere riguardo al luogo di prevalente localizzazione degli immobili, mentre con riferimento ai trust mobiliari occorre avere riguardo all’effettiva attività esercitata.

Si tratta di conclusioni condivisibili e in linea con il dibattito sul tema.

Ci si limita a precisare che il luogo di ubicazione degli immobili potrebbe, come detto, non essere decisivo nel caso (invero piuttosto raro nel caso di trust) di gestione attiva dell’immobile. Interessante è poi il riferimento all’attività esercitata, che sembrerebbe rappresentare un’indiretta conferma da parte dell’Agenzia delle Entrate del fatto che la localizzazione in Italia delle partecipazioni detenute non determina, in quanto tale, l’attrazione della residenza in Italia del possessore. Sembra possibile, dunque, fare riferimento al luogo dove il trustee svolge la propria attività.

D. Analogamente a quanto si verifica in tema di società, il trust può essere considerato residente in più Stati, ad esempio, aventi aliquote nominali diverse.

Ciò potrebbe in primo luogo accadere in caso di due co-trustee residenti in Stati diversi.

In tal caso, si determinerebbe un conflitto di residenza per risolvere il quale è di ausilio il par. 24 del Commentario all’art. 4, in cui l’OCSE attribuisce rilievo al luogo a) del “day to day management” della persona giuridica; b) dell’headquarter della persona giuridica; c) a cui si riferisce la legislazione applicabile alla persone giuridica; d) in cui è tenuta la contabilità; e) in cui si riuniscono i membri del CdA; f) in cui il CEO normalmente svolge le proprie funzioni.

Si tratta di una serie di criteri esemplificativi che impongono l’effettuazione di una comparazione al fine di elaborare una valutazione sintetica. Tali criteri possono essere di difficile applicazione con riferimento al trust, essendo dettati in linea di principio per soggetti di natura societaria. Ad ogni modo, in base a tali criteri, nella maggioranza dei casi, si potrà avere riguardo al luogo dove i due co-trustee si riuniscono per assumere gli impulsi volitivi.

Un secondo esempio di conflitto di residenza si verifica nei casi in cui la sede dell’amministrazione sia localizzata all’estero e l’oggetto principale in Italia: ad esempio, gli immobili potrebbero essere localizzati in Italia ed il trustee all’estero (difficilmente si verificherà la situazione opposta in quanto raramente l’oggetto principale assume rilievo per l’attrazione della residenza da parte degli ordinamenti esteri).

Nel primo caso, il conflitto di residenza dovrebbe ragionevolmente essere risolto sulla base della sede dell’amministrazione.

Più delicato è il caso in cui il conflitto di residenza coinvolga l’Italia, perché, come noto, l’Italia, nella soluzione dei conflitti di doppia residenza continua di fatto ad applicare anche il criterio dell’oggetto principale (per un esame della questione, cfr. Grilli S., op. cit.). L’applicazione di tale riserva nella soluzione dei conflitti di residenza potrebbe determinare una soluzione di stallo. Ciò in quanto la c.d. tie breaker rule rappresentata dalla sede dell’amministrazione potrebbe non essere sufficiente a risolvere il conflitto laddove l’oggetto principale fosse ritenuto localizzato in uno Stato diverso (cfr. Melis G., op. cit.).

Tale stallo dovrebbe essere risolvibile sulla base del fatto che, come detto, l’oggetto principale non deve essere ritenuto coincidente con la localizzazione dei beni, ma deve essere identificato con il luogo dove viene effettuata la gestione (venendo in tal modo a sovrapporsi con la sede dell’amministrazione). In caso di trust mobiliari, dunque, in linea di principio dovrà aversi riguardo al luogo dove il trustee svolge la propria attività. Più delicata è la questione con riferimento ai trust immobiliari, in quanto l’Agenzia delle Entrate sembra considerarli, come visto, a priori residenti in Italia ove aventi ad oggetto immobili localizzati in Italia.

E. Nell’ambito dell’art. 73 TUIR, il legislatore ha anche introdotto due presunzioni legali di residenza del trust. In base a tali presunzioni si considerano residenti in Italia i trust istituiti in Stati black list:

  • quando almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato;
  • quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.

Quanto alla prima, la residenza del disponente o del beneficiario non si devono necessariamente riscontrare nello stesso periodo di imposta. La regola si applica anche se la residenza in Italia del disponente o del beneficiario viene acquisita in momenti successivi. Essa ad ogni modo non dovrebbe applicarsi laddove in un dato periodo di imposta si perda ogni collegamento (residenza in Italia del disponente o del beneficiario) con lo Stato italiano.

Quanto alla seconda, il soggetto apportante non deve necessariamente coincidere con disponente. Eventuali successivi mutamenti di residenza dell’apportante sono irrilevanti: la presunzione si applica anche nel caso in cui l’apportante perda la residenza fiscale in Italia successivamente all’apporto. Come chiarito dalla circ. n. 48/E/2007, ai fini dell’attivazione della presunzione gli immobili devono essere localizzati in Italia.

La citata circolare chiarisce che si tratta di una presunzione relativa e, dunque, laddove applicata, il trustee potrà fornire la prova contraria dimostrando la non residenza in Italia in base ai criteri ordinari esposti nei paragrafi precedenti.

In particolare, si presumono residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in Stati diversi da quelli di cui alla white list emanata ai sensi dell’art. 168-bis TUIR. Tale white list non è mai stata emanata e, nel 2015, è stato abrogato anche l’art. 168-bis, TUIR. Tale abrogazione determina alcuni problemi di coordinamento

Sembra ragionevole ritenere che la presunzione di residenza dei trust di cui all’art. 73, comma 3, TUIR debba continuare ad essere applicata con riferimento alla white list di cui al D.M. 4 settembre 1996 (per un esame della questione, sia consentito rinviare a Nicolosi F., Distribuzioni da trust opachi non residenti: questioni problematiche e problemi irrisolti, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 2, 879 ss.).

F. Alcune riflessioni paiono opportune con riferimento al momento in cui va accertata la residenza fiscale del trust. Il problema si pone, naturalmente, per individuare i trust che sono da considerarsi a regime fiscale privilegiato, in quanto soggetti ad un’aliquota nominale inferiore alla metà rispetto a quella italiana.

L’art. 44 TUIR fa riferimento alle attribuzioni effettuate da trust “stabiliti” in Stati a regime fiscale privilegiato: in questo senso, l’aliquota nominale applicata dovrebbe essere valutata al momento della distribuzione.

La circ. n. 34/E/2022 precisa che «occorre confrontare il livello nominale di tassazione del reddito prodotto dal trust nell’ordinamento fiscale nel quale il trust è stabilito, al momento di produzione del reddito, con l’aliquota Ires vigente nel medesimo periodo d’imposta, indipendentemente dalla natura commerciale o meno del trust». Ma in un ulteriore passaggio chiarisce che «(p)er quanto concerne il termine “stabiliti” utilizzato dal legislatore, si rileva che, in generale, lo stesso deve essere inteso con riferimento alla giurisdizione di residenza del trust in base alle relative regole, quale risultante al momento della “attribuzione” al beneficiario residente, fermo restando che il reddito distribuito sia stato tassato in capo al trust, al momento della produzione, nel rispetto del livello minimo di tassazione previsto dal citato articolo 47-bis del Tuir».

Dai due passaggi sopra riportati sembrerebbe che, ai fini della disapplicazione della regola, l’Agenzia delle Entrate richieda la verifica di un’aliquota nominale superiore a quella italiana sia nel momento di distribuzione che nel momento di produzione. Ai fini del confronto rileva l’aliquota vigente in Italia nei due momenti considerati. Si tratta di una regola sotto certi profili simile, pur con alcune distinzioni, a quella prevista per i dividendi dalla circ. n. 35/E/2016.

G. Un’altra questione di estremo interesse è rappresentata dall’imponibilità delle distribuzioni da parte di trust UE/SEE, laddove soggetti ad un’aliquota nominale inferiore alla metà di quella italiana.

In effetti, come detto, ai sensi dell’art. 44 TUIR sono imponibili le sole distribuzioni effettuate da trust istituiti in Stati a regime fiscale privilegiato ai sensi dell’art. 47-bis TUIR. Tale norma esclude dalla nozione di Stato a fiscalità privilegiata gli Stati UE/SEE. Ne dovrebbe derivare la non imponibilità delle distribuzioni dei trust UE/SEE.

La circolare sembra in effetti avallare tale interpretazione, pur argomentando a contrariis. Essa precisa, infatti, che: (i) «lo stabilimento (rectius, residenza) in uno Stato membro dell’Unione europea o aderente allo SEE, individuato nella prospettiva italiana sulla base dei criteri di cui all’articolo 73 del Tuir, non è in grado di disattivare l’applicazione della lettera g-sexies), nella ipotesi in cui il trust, in virtù della norma interna di tale Stato oppure della eventuale convenzione per evitare le doppie imposizioni da esso sottoscritta con uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata, risulti residente in quest’ultimo Stato»; (ii) «Nel caso in cui il trust non sia considerato fiscalmente residente in uno Stato, secondo la legislazione di detto Stato, nonostante l’attività di amministrazione del trust sia ivi prevalentemente effettuata, ai fini dell’applicazione della norma in oggetto, il trust deve comunque considerarsi “stabilito” in quel Paese (ad es. i trust “resident but not domiciled”) qualora i redditi prodotti dal trust non subiscano in tale Paese alcuna imposizione né in capo al trust né in capo agli eventuali beneficiari residenti Italia. (…) Analoghe considerazioni valgono anche nel caso in cui il trust sia considerato stabilito in uno Stato UE o SEE, se beneficia di un regime fiscale (di esenzione) previsto per i trust offshore (es. i trust stabiliti a Cipro)».

In sintesi, le distribuzioni effettuate da un trust opaco UE soggetto ad aliquota nominale inferiore alla metà di quella italiana non saranno imponibili laddove:

  • l’applicazione di eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni non comporti la residenza del trust al di fuori dell’UE;
  • il trust non benefici, ad esempio, di regimi di esenzione specifici previsti per i trust offshore.

La prima circostanza non pone particolari problemi.

Alla luce di essa deve essere interpretato il passaggio della circ. n. 34/E/2022, invero un po’ oscuro, in base al quale «per il caso di più trustee, localizzati in Stati diversi, di cui uno UE/SEE e l’altro a fiscalità privilegiata, la Circolare precisa che il trust si considererà localizzato nello Stato ove è effettivamente assoggettato a imposizione». Tale precisazione dovrebbe significare, semplicemente, che, per essere qualificato come UE, il trust deve essere considerato come residente in base alla Convenzione applicabile; non sembra corretto ritenere necessario un effettivo assoggettamento ad imposizione. Una diversa interpretazione, infatti, si porrebbe in contrasto con il diritto unionale, come si evidenzierà infra.

Maggiori riflessioni merita la la seconda circostanza.

In base al diritto unionale, uno Stato non può limitare il diritto del contribuente a stabilirsi all’interno dell’UE, prevedendo le società UE un regime più gravoso di quello previsto per le società italiane. Il medesimo principio previsto per le società si applica ai trust (cfr. causa C-196/04, 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes; C-646/15 del 14 settembre 2017). Sono ammesse, tuttavia, restrizioni volte a colpire le costruzioni di puro artificio.

Dal momento che, ai sensi dell’art. 44 TUIR, sono imponibili le sole distribuzioni effettuate da trust esteri, senza contemplare quelli italiani, tale norma, in linea di principio, determina una violazione della libertà di stabilimento laddove applicata a trust UE, che sarebbe tollerabile solo in presenza di costruzioni di puro artificio.

A tale riguardo, secondo la Corte di Giustizia UE, «la constatazione dell’esistenza di una tale costruzione richiede, infatti, oltre ad un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale, elementi oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento, quale esposto ai punti 54 e 55 della presente sentenza, non è stato raggiunto» (v., in tal senso, sentenze 14 dicembre 2000, causa C-110/99, Emsland-Stärke, Racc. I-11569, punti 52 e 53, e 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., Racc. I-1609, punti 74 e 75). In particolare, «tale costituzione deve corrispondere a un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento». A tal fine, «questa constatazione deve poggiare su elementi oggettivi e verificabili da parte terzi, relativi, in particolare, al livello di presenza fìsica della SEC in termini di locali, di personale e di attrezzature». Ciò in quanto «la libertà di stabilimento intende, a tal fine, permettere a un cittadino comunitario di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio (sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 25)». I medesimi principi sono accolti anche dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 18/E/2021, in tema di disciplina c.d. “CFC”, ex art. 167 TUIR.

H. Alla luce di ciò, eventuali limitazioni alla libertà di stabilimento non possono trovare applicazione con riferimento a trust che costituiscono insediamenti reali, svolgono attività economiche effettive e sono dotati di una struttura idonea in termini di personale, attrezzature, attivi e locali È necessario che il trust sia compenetrato alla vita economica dello Stato di costituzione.

Si tratta di appurare che la soluzione dell’Agenzia delle Entrate sia coerente con tale impostazione.

Al riguardo ci si limita ad alcune considerazioni generali, essendo necessaria una valutazione caso per caso.

I trust c.d. “offshore” sono accomunati in generale dal fatto di essere costituiti da disponenti non residenti a favore di beneficiari non residenti per la gestione di attività estere (cfr. sez. 2 della International trust law di Cipro): l’unico criterio di collegamento con lo Stato di stabilimento è, normalmente, rappresentato dalla residenza del trustee.

Tale fattispecie non sembra qualificabile come costruzione di puro artificio nell’ipotesi in cui il trustee eserciti la propria attività mediante una struttura all’uopo dedicata.

L’operatività c.d. “estero su estero”, in quanto tale non preclude la configurazione di un’attività economica effettiva (cfr. circ. n. 18/E/2021, p. 87). In tale contesto, un family office dedicato, residente a Cipro, non dovrebbe costituire una costruzione di puro artificio. Sennonché, nella quasi totalità dei casi il trustee è una figura professionale che opera per una pluralità di trust. Si tratta di un fenomeno sotto certi profili assimilabile a quello che nelle società prende il nome di outsourcing delle funzioni.

La domanda è, dunque, se l’attività di un trustee professionale, e come tale non svolta in esclusiva, possa rappresentare ai fini del diritto unionale un’attività economica effettiva.

Non risultano allo stato attuale chiarimenti sul punto. Alcune utili indicazioni possono tuttavia rinvenirsi nella recente proposta di Direttiva in tema di c.d. “shell companies”.

La futura Direttiva dovrebbe fornire dei criteri per individuare le strutture artificiose come tali non legittimate a fruire dei benefici del diritto unionale. Sebbene i principi della CGUE in tema di “costruzioni di puro artificio” non vengano espressamente citati, la Direttiva in esame sembra applicare i medesimi principi. Per quanto di rilievo, in base alla proposta di Direttiva sembra che i benefici del diritto unionale non possano essere negati laddove si possa dimostrare che, pur in assenza di una struttura dedicata, quantomeno il processo decisionale sia localizzato nel territorio di stabilimento (per un approfondimento sul tema, sia consentito il rinvio a Morri S. – Nicolosi F., Proposta di direttiva sulle shell companies per prevenire l’uso improprio di società di comodo, in il fisco, 2022, 21, 2053 ss.).

Se questo è il quadro, i benefici previsti per i trust UE non dovrebbero essere negati in tutte le ipotesi in cui, nonostante l’operatività estero su estero, si possa dimostrare che il trustee sia effettivamente localizzato in uno Stato UE gestendo in maniera attiva il processo decisionale.

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