Le clausole di garanzia nei contratti di cessione di partecipazioni nella determinazione del reddito di impresa

Di Elena Fiorina -

(nota a/notes to Risposta a interpello n. 132/2022)

 

 

Abstract

La Risposta a interpello n. 132/2022, recentemente pubblicata dall’Agenzia delle Entrate, ci consente di fare il punto sulla natura delle clausole di garanzia negoziate dalle parti in occasione del trasferimento di partecipazioni societarie e delle relative conseguenze in tema di determinazione del reddito di impresa.

The warranties clauses in case of participation transfer for business income tax purposes. – The ruling no. 132 of 2022 recently issued by the Italian Tax Authorities gives us the opportunity to make some comments about the nature of the representation and warranties clauses, negotiated by the parties in participation transfer agreements and the relevant tax treatment for business income tax purposes.

Sommario: 1. Il caso oggetto dell’interpello. – 2. Le clausole di garanzia nei contratti di compravendita di partecipazioni. – 3. Genesi delle clausole di garanzia e delle clausole di aggiustamento prezzo. – 4. Il trattamento fiscale delle clausole di garanzia nei contratti di cessione di partecipazioni. – 5. Conclusioni.

1. Il caso oggetto dell’interpello n. 132/2022 riguarda l’acquisto di una partecipazione totalitaria, effettuata dalla società Alfa (IAS/IFRS adopter), nella società Beta (e nelle relative partecipate, tra cui Delta), a seguito della quale quest’ultima società viene fusa per incorporazione nella propria partecipante. Detto questo, è importante notare, ai nostri fini, come il contratto di compravendita della partecipazione Beta comprendesse talune clausole di garanzia tese a vincolare il cedente alla corresponsione di un indennizzo al verificarsi di talune passività in capo a Beta e alle società da questa partecipate. A seguito di una verifica fiscale effettuata nei confronti di Delta, culminata in un processo verbale di constatazione, definito in sede procedimentale mediante l’istituto della pace fiscale, Alfa, atteso lo stato di liquidazione in cui versava il soggetto verificato, ha anticipato la provvista finanziaria per la predetta definizione e, conseguentemente, invocando l’applicazione delle sunnominate clausole contrattuali, ha preteso dal soggetto venditore la rifusione della somma anticipata.

Ciò posto, è stato chiesto all’Agenzia delle Entrate di pronunciarsi in relazione al trattamento ai fini IRES ed IRAP in capo ad Alfa: (i) della somma da essa incassata, proveniente dal soggetto dal quale aveva a suo tempo acquistato la partecipazione in Beta, contabilizzata a conto economico tra i componenti positivi, (ii) della provvista finanziaria corrisposta a Delta per la definizione del PVC, imputata a conto economico tra i componenti negativi.

A fronte dei suddetti quesiti, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che (i) poiché il versamento effettuato a favore di Alfa è «strettamente collegato alla riduzione del valore di scambio delle azioni originariamente individuato», esso costituisce una rettifica del costo di acquisto della partecipazione irrilevante ai fini della misurazione sia del reddito di impresa sia del valore della produzione netta ai fini IRAP (in relazione a quest’ultimo tributo, l’Agenzia ha ritenuto che il provento in questione non fosse da includere tra le voci rilevanti ai fini della quantificazione della relativa base imponibile); (ii) il costo sostenuto da Alfa per fornire la provvista finanziaria a Delta non può essere considerato ai sensi dell’art. 94, comma 6, TUIR, un versamento a fondo perduto del socio a favore della sua partecipata, come sostenuto dall’istante, bensì un costo non deducibile ai fini IRES in quanto «non riconducibile ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi» ai sensi dell’art. 109, comma 5, TUIR. Ai fini IRAP, l’Agenzia ribadisce, anche in questo caso, l’irrilevanza del costo in quanto confluito in una voce non inclusa nella base imponibile del tributo regionale.

2. Nei contratti di vendita di partecipazioni è prassi consolidata la previsione di clausole di garanzia, generalmente definite come “representations and warranties”, in base alle quali il soggetto cedente dichiara e garantisce a quello acquirente le consistenze patrimoniali della società trasferita, nonché la precedente “buona gestione”. In caso di difformità tra quanto dichiarato nel contratto e la realtà dei fatti accaduti dopo la conclusione di questo, il compratore ha titolo per attuare i rimedi garantiti da tali clausole e consistenti generalmente nel pagamento di una somma di denaro dal venditore al compratore. Le clausole in questione potrebbero, ad esempio, avere ad oggetto l’impegno dell’alienante in base al quale, ove entro un determinato periodo di tempo si verifichino sopravvenienze passive fiscali, esso è tenuto ad indennizzare l’acquirente (o la target) per l’importo concordato qualora si tratti di debiti tributari riferibili a fatti realizzatesi nel periodo di tempo antecedente la cessione della partecipazione e, pertanto, riconducibili al “vecchio socio”. La determinazione del trattamento tributario, ai fini delle imposte sul reddito, della predetta somma riguarda, intuitivamente, sia il soggetto acquirente sia quello venditore. Tuttavia, prima di definire il regime fiscale delle somme in esame, bisogna interrogarsi sulla natura giuridica delle clausole contrattuali cui si è fatto cenno sopra. In maggiore dettaglio, poiché ci si muove nel territorio della libertà negoziale delle parti, si tratta di identificare la natura delle previsioni contrattuali così come concordate e formulate dalla volontà delle parti stesse, rammentando che «è insegnamento costante, infatti, quello secondo cui è proprio dell’autonomia privata costituire, modificare o estinguere i rapporti giuridici, mentre esula dalla stessa il potere di disporre in ordine alla qualificazione giuridica dei rapporti costituiti, modificati o estinti» (cfr. Fransoni G., Note in tema di compravendita di partecipazioni e regime fiscale delle somme corrisposte per la violazione delle clausole di garanzia, in Dir. prat. trib., 2012, 5, I, 1055).

In altre parole, la qualificazione giuridica di una clausola negoziale prende necessariamente le mosse, salvo casi patologici di simulazione oggettiva relativa, dalla modalità con cui essa è prevista dalle parti in base alle finalità economico-sostanziali da esse perseguite. Infatti, a parere di scrive, l’interpretazione di un contratto muove necessariamente dalla comprensione della volontà delle parti per poi classificare tale “volontà” nel mondo giuridico-formale. Se ciò è vero, è ancora più vero che la volontà contrattuale, espressa dalle parti nell’ambito di contratti aventi ad oggetto operazioni commerciali o comunque attinenti l’attività d’impresa, dovrebbe seguire e rispondere a finalità economico-sostanziali volte a rappresentare gli interessi dei soggetti coinvolti. In maggiore dettaglio, la qualificazione giuridica degli atti negoziali impone due distinte operazioni: la prima consiste nella identificazione degli elementi costitutivi dell’attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti; la seconda, nell’attribuzione del nomen juris, previa interpretazione sul piano giuridico, degli elementi di fatto precedentemente accertati. Di tali operazioni, mentre la seconda è soggetta al sindacato di legittimità, la prima ne è sottratta, se correttamente motivata, giacché si risolve in un apprezzamento di mero fatto, in quanto risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli artt. 1362 c.c. ss. «Come più volte ribadito dalla giurisprudenza, esiste una molteplicità di forme in cui l’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c. può potenzialmente esprimersi e, in tale contesto, anche ai fini della individuazione della materia imponibile, occorre fare riferimento alla c.d. causa concreta del contratto ovvero lo scopo pratico del negozio inteso, al di là del modello astratto utilizzato, come funzione individuale della singola e specifica negoziazione» (così, Capolupo S., Transfer pricing interno: all’elusione subentra l’antieconomicità, in il fisco, 2020, 20, 1907). In altre parole, il processo interpretativo di un contratto, anche in materia tributaria, è regolato da criteri legali previsti dal legislatore ed è finalizzato a “indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti”, non limitandosi al senso letterale delle parole (art. 1362, comma 1, c.c.). Come premesso, il momento interpretativo va distinto da quello della qualificazione del contratto che costituisce un passaggio successivo volto alla riconduzione del singolo contratto nel tipo legale, inteso quale modello normativo, al quale l’ordinamento ricollega una particolare disciplina. In particolare, rileva la causa del contratto ovvero lo scopo pratico del negozio che sintetizza gli interessi delle parti al di là del modello astratto utilizzato e costituisce espressione di un concreto interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento (cfr. De Petris G., Imposta di registro: non riqualificabile un contratto atipico di affitto come diritto reale di superficie, in GT – Riv. giur. trib., 2022, 1, 67; Bianca C.M., Diritto civile, Il contratto, Milano, 2019, 410).

Su tale premessa, è possibile individuare, nell’alveo delle clausole di garanzia relative alle cessioni di partecipazioni, due categorie di clausole: quelle aventi natura indennitaria-risarcitoria, tese a tenere indenne l’acquirente da una certa passività, e quelle con natura di aggiustamento prezzo, volte a riequilibrare il sinallagma contrattuale tra le parti.

La distinzione, del tutto evidente in linea teorica e da un punto di vista economico, risulta complessa da un punto di vista giuridico-fattuale, trattandosi in entrambi i casi di clausole che si risolvono nel pagamento di una somma di denaro a fronte di una passività di qualsivoglia natura.

Parte della dottrina ha osservato che quello che differenzia le due tipologie di clausole è il titolo da cui discende il relativo pagamento: gli indennizzi rappresentano rimedi contro la violazione di clausole di garanzia, gli aggiustamenti prezzi costituiscono invece un aggiornamento dei parametri in base al quale il prezzo è stato determinato (cfr. Bonelli F., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del venditore, Milano, 2007, 315). Da altra parte della dottrina è stato anche sostenuto che le clausole di aggiustamento prezzo prevedono una modifica del prezzo di acquisto di una partecipazione «in funzione di parametri economici e finanziari» della società target e attengono alla fase «fisiologica del rapporto negoziale perché stabiliscono incrementi o decrementi di prezzo in considerazione di risultati futuri della società o della variazione fisiologica dei parametri assunti dalle parti», diversamente dalle clausole che garantiscono «la passata buona gestione della società» e che «attengono alla fase patologica del rapporto e si riferiscono a perdite o passività derivanti da eventi precedenti il trasferimento ma che si manifestano dopo lo stesso» (cfr. Silvestri A., La fiscalità delle garanzie del venditore nelle cessioni di partecipazioni, in Riv. dir. trib., 2017, 2, I, 193 ss.).

La Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. V, 13 agosto 2020, n. 17011) ha distinto le clausole aventi la funzione di assicurare al compratore la passata “buona gestione” della società target e l’insussistenza di passività ulteriori rispetto a quelle già contabilizzate dalle clausole di “rettifica di prezzo”, le quali correlano il corrispettivo della compravendita a determinati eventi futuri legati all’andamento finanziario della società target (c.d. clausole di price adjustment) o a variazioni dei parametri patrimoniali ed economici assunti dalle parti in data anteriore a quella del trasferimento delle partecipazioni (c.d. clausole di earn-out), predeterminando un’eventuale rettifica, in aumento o in diminuzione, del prezzo di cessione delle partecipazioni.

Da quanto premesso appare evidente che il diverso significato economico, nonché la diversa qualificazione giuridica, delle clausole in esame ha riflessi sul relativo trattamento tributario, in base al quale mette conto riconoscere effetti sul piano reddituale alle clausole indennitarie-risarcitorie, le quali rappresentano, per l’acquirente la partecipazione, sopravvenienze attive improprie ai sensi dell’art. 88, comma 3, lett. a), TUIR (e per il cedente, specularmente, sopravvenienze passive ex art. 101 TUIR), mentre occorre attribuire una rilevanza non immediatamente reddituale, ma solo patrimoniale, a quelle clausole atte, invece, a rettificare il prezzo di cessione della partecipazione per il cessionario (nonché la plusvalenza o minusvalenza realizzata dal cedente).

Anticipando la conclusione cui s’intende giungere, si nota che le posizioni dottrinali e giurisprudenziali sopra menzionate nel proseguo saranno oggetto di una lettura diversa che, partendo dalla correttezza della distinzione tra clausole assicurative/indennitarie e clausole di rettifica prezzo, provvederà a inquadrare giuridicamente (e quindi redditualmente) nell’alveo delle seconde le garanzie di cui alle c.d. representation & warranties.

Questa impostazione muove dalla premessa che le clausole di garanzia incluse in contratti di cessione di partecipazioni hanno la loro genesi nella creazione di uno strumento volto ad agevolare la conclusione del relativo accordo tra le parti in relazione all’elemento principale del contratto in parola, ovvero la determinazione del prezzo di cessione, postergando la determinazione effettiva del corrispettivo a un momento successivo al closing. Nel caso di cessione di partecipazioni tale postergazione non è dovuta a un disaccordo delle parti circa il valore della cosa ceduta ma bensì alla necessità di aggiornare i dati economico-patrimoniali sui quali l’acquirente ha basato la sua valutazione alla data del closing. A tal proposito, si potrebbe addirittura ipotizzare una distinzione logica tra clausole di determinazione differita del prezzo e clausole di earn-out, in quanto «le prime regolerebbero il solo calcolo, secondo principi contrattuali concordati, dell’esatto ammontare del prezzo, mentre le seconde costituirebbero una componente aggiuntiva del prezzo collegata ad un evento incerto e futuro» (cfr. Penzo G., Earn-out e dintorni, in Le Società, 2019, 7, 822). In tale logica, la funzione delle clausole di garanzia è proprio quella di mantenere indenne l’acquirente da future passività della società target che (è di immediata evidenza) se fossero state conosciute prima del closing avrebbero inciso direttamente sulla determinazione di un minor prezzo (cfr. Sangiovanni V., Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, in Notariato, 2012, 2, 203).

3. In una sentenza del 2014, concernente il termine di prescrizione di clausole di garanzia recate da contratti di cessione di partecipazioni, i giudici della Corte di Cassazione (sez. II, sent. 27 luglio 2014, n. 16963) hanno formulato un ragionamento utile al caso qui trattato e sintetizzabile come segue.

La Corte muove dalla considerazione secondo cui, in ipotesi di cessione di azioni o di quote sociali, oggetto della vendita sono tali ultimi beni e non quelli facenti parte del patrimonio della società partecipata oggetto di cessione. Quest’ultimo è, infatti, ascrivibile alla sfera giuridico soggettiva della società e non a quella dei soci partecipanti, i quali non sono titolari di un diritto reale sui beni sociali e subiscono, per effetto delle perdite del capitale sociale, soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione del valore della loro partecipazione. Pertanto, le clausole di “garanzia” non riguardano l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligazione di trasferimento delle quote sociali (oggetto del contratto), ma attengono all’indennizzo dovuto dal cedente nella misura in cui «la consistenza patrimoniale [n.d.r. della società target] si riveli diversa da quella considerata dalle parti con il contratto di cessione». Infatti, «con le clausole in esame le parti, al fine di assicurare che il prezzo pattuito corrisponda al valore della società di cui siano trasferite le quote di partecipazione, prevedono prestazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del contratto che sono volte a garantire l’esito economico dell’operazione» in base all’attuazione del relativo sinallagma funzionale.

A questo punto la Cassazione, per chiarire il concetto, afferma che queste clausole vanno distinte dai casi in cui, ad esempio, il compratore si trovi nella situazione della mancanza di autorizzazioni per l’esercizio dell’attività di impresa della target: in questo caso chiaramente si può parlare di inadempimento del venditore e di un obbligo risarcitorio, mentre le pattuizioni con cui il venditore si impegna a corrispondere all’acquirente un indennizzo a fronte di perdite o sopravvenienze passive hanno per oggetto «obbligazioni accessorie assunte dal venditore in relazione al successivo eventuale manifestarsi» di taluni accadimenti che incrinano il rapporto sinallagmatico originario (valore quote vs prezzo di cessione).

Da tale ragionamento pare potersi evincere quanto segue: le clausole di garanzia attengono (sempre) al valore economico-patrimoniale della società, le cui quote partecipative rappresentano l’oggetto “mediato” del trasferimento, perché questa è la natura economico-sostanziale delle clausole di cui si discorre che semplicemente rideterminano, a posteriori, il valore economico della società acquisita. Diversamente, le clausole indennitarie/risarcitorie hanno la funzione di rifondere perdite derivanti da inadempimenti o violazioni contrattuali imputabili o commesse al/dal soggetto venditore.

Questa conclusione deve necessariamente fare i conti con il ragionamento formulato sempre dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 17011/2020 (cit.). In tale sede, come notato, la Corte si è pronunciata in merito al trattamento fiscale degli importi corrisposti in virtù delle clausole di garanzia nei contratti di compravendita di partecipazioni (le representations and warranties di cui si discorre). In particolare, discostandosi da quell’orientamento giurisprudenziale e dottrinale che attribuisce rilevanza esclusivamente patrimoniale a detti pagamenti, i giudici di legittimità hanno ritenuto che gli stessi, a prescindere dalla relativa rappresentazione contabile e dal regime di deducibilità della sottostante passività coperta da garanzia, costituiscono per l’acquirente dei componenti positivi di reddito imponibili ai fini IRES. Nelle motivazioni i giudici sottolineano la distinzione tra le clausole qui in esame e quelle di “rettifica di prezzo”, le quali correlano il corrispettivo della compravendita a determinati eventi futuri (legati alle performances finanziarie della società target) o a variazioni dei parametri economico-patrimoniali utilizzati dalle parti nella determinazione del prezzo.

Infatti, poiché l’obbligo di indennizzo è oggetto di una pattuizione autonoma delle parti, la relativa erogazione deve essere tenuta distinta dal corrispettivo di vendita delle partecipazioni e non può rappresentare un suo aggiustamento “postumo”. Alle garanzie contrattuali viene ricondotta in specie una funzione di tipo assicurativo, diversa da quella svolta dalle clausole di aggiustamento del prezzo, con le quali «si correla il corrispettivo dell’acquisizione, o parte di esso, a determinati eventi futuri legati all’andamento economico-finanziario della società oggetto di acquisizione, predeterminando un’eventuale rettifica, in aumento o in diminuzione, del prezzo di cessione della partecipazione» (cfr. Miele L., Clausole di garanzia nel trasferimento di partecipazioni: la causa giuridica prevale sugli aspetti sostanziali, in Corr. trib., 2021, 1, 31).

Tuttavia, da un punto di vista funzionale, si può ragionevolmente sostenere (in linea con la citata sentenza della Cassazione del 2014 poc’anzi menzionata) che questa distinzione non pare dirimente: infatti, se si registra dopo la cessione della partecipazione un debito, ad esempio tributario, riferito a fatti verificatesi prima del trasferimento delle quote o azioni, la relativa iscrizione in bilancio “vale ora per allora”, determinando una passività che necessariamente incide sul valore della società già al momento della cessione. A parere di chi scrive, la passività fiscale potenziale era già contemplata nella clausola di garanzia, ma viene ad essere quantificabile quando (e se) l’evento si realizza.

In tale ipotesi non pare esserci alcun intento assicurativo-risarcitorio del compratore, come sostenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame, ma semplicemente la ricostruzione dei parametri di valutazione del prezzo, considerando semplicemente un minor valore della partecipazione gravata da una maggior passività che al momento della cessione non era quantificabile nell’ammontare ma bensì prevista dalla clausola di garanzia.

Infatti, dal punto di vista funzionale «tanto i pagamenti di garanzia, quanto le rettifiche di prezzo possono, a determinate condizioni, assolvere la medesima finalità economico/sostanziale di riequilibrare i rapporti economici tra acquirente e venditore a fronte del verificarsi di eventi» successivi alla data della compravendita. È di assoluta evidenza che se tali eventi fossero stati conosciuti al momento del trasferimento ne avrebbero condizionato il prezzo originariamente pattuito. Basti pensare che le clausole di garanzia (come ad esempio quelle volte a coprire passività fiscali potenziali) comportano indennizzi sempre pari alle passività sopravvenute in capo alla target (diversamente da come, invece, sarebbe legittimo attendersi nel caso di clausole di risarcimento danni) e ciò perché hanno la funzione di ripristinare il valore effettivo delle partecipazioni cedute. «Non dovrebbero, quindi, essere considerate aprioristicamente in modo isolato, alla stregua di clausole di un contratto di assicurazione autonomo, ma dovrebbero essere lette in collegamento con tutte le altre parti del contratto di compravendita nel quale sono inserite ed alla luce della funzione che concretamente assolvono» (cfr. Piantavigna P. – Bazzoni L., Cessione di partecipazioni: indennizzi imponibili pagamenti da dichiarazioni di garanzia – regime tributario delle dichiarazioni di garanzia pattuite nell’ambito di contratti di compravendita di partecipazioni, in GT – Riv. Giur. trib., 2021, 3, 241). Del resto oggetto delle clausole di garanzia sono «passività latenti ignote al momento della stipula del contratto di acquisizione, che le parti concordano (ove mai dovessero emergere) di far gravare economicamente sul venditore». Quando il venditore si obbliga a tenere indenne l’acquirente, impegnandosi a versare un indennizzo in relazione all’emergere di passività riferibili alla pregressa gestione della società target, dal punto di vista economico-sostanziale sembra ragionevole inquadrare le somme versate dal venditore come una rettifica-prezzo, corrispondente ad una rideterminazione a posteriori del valore economico della società target (Stevanato D., Acquisizioni di società e obblighi del venditore per le passività sopravvenute: la qualifica fiscale dell’indennizzo come “differenza prezzo”, in Dialoghi trib., 2011, 4, 387).

Infatti, nel contratto di acquisizione l’acquirente cerca di assicurarsi contro i rischi conseguenti all’acquisto della partecipazione e a tal fine vengono inserite nel contratto delle apposite garanzie che tutelano da passività emergenti a seguito del verificarsi di determinati eventi rispetto ai quali l’acquirente è legittimato a chiedere un indennizzo. Dal punto di vista economico un indennizzo pagato dal venditore al compratore dopo il perfezionamento dell’operazione di acquisizione equivale a una successiva riduzione del prezzo di acquisto. Si immagini che il prezzo sia stato pattuito in 1 milione di euro, ma – poco dopo il closing – l’acquirente attivi una garanzia e ottenga 100.000 euro di risarcimento dal venditore: si può affermare, in una prospettiva economica, che il reale prezzo pagato sia stato di 900.000 euro. I titoli dei versamenti sono diversi (il primo è pagamento del prezzo, il secondo è risarcimento del danno), ma – sotto il profilo economico – l’indennizzo altro non è che una riduzione del prezzo (cfr. Sangiovanni V., Contratto di cessione di partecipazione sociale e clausole sul prezzo, in I Contratti, 2011, 12, 1161).

Volendo trarre qualche conclusione in relazione a quanto sinora osservato, si ritiene di poter affermare che la distinzione, all’interno dei contratti di cessione di partecipazione, deve avvenire nell’ambito delle clausole di garanzia e segnatamente tra (i) clausole risarcitorie-indennitarie (con valenza assicurativa) e (ii) clausole di aggiustamento prezzo alle quali le c.d. rep&warranties appartengono funzionalmente, salvo diversa volontà delle parti.

4. Dalla precedente qualificazione giuridica delle clausole in esame discende il relativo trattamento tributario ai fini delle imposte reddituali. In particolare, le clausole con natura risarcitoria/indennitaria sono da qualificarsi alla stregua di sopravvenienze attive di cui all’art. 88, comma 3, lett. a), TUIR, mentre le clausole volte a rettificare il valore economico-patrimoniale della società, di cui le quote cedute rappresentano l’oggetto “mediato” della cessione, hanno valenza meramente patrimoniale.

Su tali basi emerge che la qualifica giuridica della clausola ne determina il diverso trattamento fiscale (in proposito si veda, inter alia, Beghin M., Diritto tributario, Milano, 2020, 81, secondo il quale una data operazione economica deve essere “qualificata” ossia «inquadrata nel suo proprio regime giuridico e da qui entrare nel circuito applicativo del tributo») e tale qualificazione trova la sua giustificazione nella volontà delle parti le quali, da un punto di vista operativo e di tecnica contrattuale, è opportuno chiariscano la funzione economico-sostanziale della pattuizione che prevede un determinato pagamento per passività della società target venute ad esistenza post cessione ma relative a fatti risalenti al periodo ante cessione.

Di tale volontà in sede di verifica deve tenerne conto anche l’Amministrazione finanziaria la quale non può prescindere dalla valutazione dello strumento giuridico utilizzato dal contribuente e, se legittimamente e non abusivamente attivato, non si ritiene possano trovare spazio contestazioni di carattere abusivo. In tal senso si esprime anche la giurisprudenza di merito ove ha osservato, in relazione a una controversia avente ad oggetto il trattamento tributario di clausole di garanzia recate da un contratto di vendita di partecipazioni, che «in assenza di disposizioni di legge che esplicitamente fanno riferimento al caso in questione, debba darsi prevalenza alla volontà delle parti, fatta salva l’ipotesi in cui detta volontà si appalesi come elusiva» e, nel caso di specie, le parti avevano chiaramente qualificato i rimborsi delle sopravvenienze passive dovuti dal venditore in termini di restituzione del prezzo della partecipazione. Infatti, continuano i giudici, «non può ritenersi che la formula contrattuale prescelta dalle parti avesse scopi elusivi in ipotesi di futuri ristorni» ma semplicemente era la formula che «aveva indubbiamente la funzione di costituire per l’acquirente la maggior garanzia dalle eventuali passività emergenti della società compravenduta, sicchè non può ritenersi che la scelta sia stata eseguita in funzione di elusione fiscale». Infine, notano i giudici, che l’utilizzo di uno strumento assicurativo avrebbe certamente implicato un diverso trattamento fiscale ma, anche, una diversa impostazione giuridico-economica (cfr. Comm. trib. prov. Mantova, sez. I, sent. 22 novembre 2017, n. 171). Anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che l’Amministrazione finanziaria nell’interpretare i contratti deve valutare non tanto la «formale sovrapposizione del singolo schema causale al tipo contrattuale scelto dalle parti», ma bensì la «funzione economica che il contratto doveva svolgere» (cfr. Cass., sez. V, 14 maggio 2003, n. 7457; Cavalieri A., Brevi note sui poteri interpretativi dell’Amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., 2004, 3, II, 549).

Del resto su questa linea si pongono i più recenti chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, difformi dalla posizione della Corte di Cassazione contenuta nella citata sentenza n. 17011/2020, secondo cui clausole del tenore «fatte salve le condizioni e i limiti stabiliti nel presente Contratto, i Venditori si impegnano a sollevare e tenere indenne l’Acquirente da ogni e qualsiasi Perdita subita dall’Acquirente in conseguenza di qualsiasi violazione di disposizioni, obblighi, patti, impegni o qualsiasi altra delle Garanzie dei Venditori contenute nel presente Contratto» sono da qualificare come clausole di rettifica prezzo piuttosto che «forme di ristoro per danni e perdite subite dall’acquirente». Sul punto infatti viene affermato che «in tema di cessione delle partecipazioni sociali, le clausole con le quali il venditore assume l’impegno di tenere indenne l’acquirente dal rischio connesso al verificarsi, successivamente alla conclusione del contratto, di perdite o di sopravvenienze passive della società hanno ad oggetto obbligazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del contratto, che sono volte a garantire l’esito economico dell’operazione. La medesima sentenza [n.d.r. Cassazione 2014, citata] specifica che con le clausole in esame le parti perseguono il fine di assicurare che il prezzo pattuito corrisponda al valore della società di cui siano trasferite le quote di partecipazione».

Nella risposta all’interpello viene chiaramente affermato che «lo scopo essenziale delle clausole in precedenza citate è quello di adeguare il valore economico della partecipazione e, di conseguenza, il corrispettivo di vendita».

Ed ancora, il versamento in denaro effettuato dal cedente la partecipazione a favore del cessionario è «strettamente collegato alla riduzione del valore di scambio delle azioni originariamente individuato e, di conseguenza» lo stesso rappresenta «il venir meno di parte del costo sostenuto per l’acquisizione delle partecipazioni».

Tale qualificazione conduce l’Agenzia alla conclusione che il componente positivo conseguito dall’acquirente della partecipazione non rientra nella definizione di sopravvenienza attiva di cui all’art. 88, comma 3, lett. a), TUIR, e, pertanto, anche alla luce della ris. 13 luglio 2009, n. 184/E è assoggettato alla medesima disciplina fiscale che ha regolato il concorso alla formazione del reddito del componente che lo stesso va a rettificare (cfr. Risposta n. 110 del 14 marzo 2022, oltre alla n. 132/2022 qui in commento; cfr. anche Albano G., Rettifica in diminuzione del prezzo di acquisto di partecipazioni per effetto di clausole di indennizzo, in il fisco, 2022, 16, 1520).

Sul punto la giurisprudenza di merito ha anche avuto modo di sottolineare come l’earn out è «una posta che non ha valenza reddituale» indipendentemente dalla contabilizzazione, nel caso di specie infatti la rettifica era stata imputata a conto economico (cfr. Comm. trib. reg. Lombardia-Milano, sez. IV, sent. 13 luglio 2021, n. 2729).

A supporto di quanto affermato vi è, infine, anche un argomento interpretativo letterale dell’art. 88, comma 3, lett. a), TUIR. Infatti tale disposizione prevede il concorso alla formazione del reddito ai fini IRES, come sopravvenienze attive, delle indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni diverse da quelle che costituiscono plusvalenze (art. 86, comma 1, TUIR) o risarcimenti per la perdita di beni che generano ricavi (art. 85, comma 1, lett. f, TUIR). Ebbene, tale disposizione si ritiene debba essere letta nel senso di mantenere una correlazione soggettiva tra il fatto oggetto di indennizzo e l’indennizzo stesso. Infatti, il risarcimento di un danno è solitamente corrisposto al soggetto che subisce l’evento dannoso e che necessita del relativo ristoro. Nelle clausole di garanzia in oggetto l’indennizzo è generalmente corrisposto all’acquirente la target e non alla target stessa. Anzi, si potrebbe sostenere che quando beneficiario del pagamento dell’indennizzo è la target l’intento risarcitorio-assicurativo è evidente, infatti danno e risarcimento, perdita e indennizzo si manifestano come eventi reddituali corrispondenti a livello del medesimo soggetto. Diversamente quando beneficiario del pagamento dell’indennizzo è l’acquirente della target la passività trova accoglimento nella sfera giuridica (ed economica) della target e l’indennizzo nella sfera giuridica (e patrimoniale) dell’acquirente.

5. La volontà delle parti è l’ago della bilancia per l’inquadramento nel mondo giuridico-formale e poi fiscale delle clausole di garanzie comprese in contratti di cessione di partecipazioni: infatti, è questa a definire la funzione economico-sostanziale dell’indennizzo che il compratore più frequentemente riceve per essere ristorato o di un danno subito ovvero di una passività. Da tale volontà pattizia e dal relativo inquadramento che ne fa l’interprete nel mondo giuridico-formale discende poi il relativo trattamento tributario. In tale ottica si pongono anche talune pronunce della giurisprudenza di legittimità ove è stato evidenziato il principio in base al quale l’Amministrazione finanziaria può interpretare i negozi posti in essere dai privati alla luce della funzione economica perseguita, con riflessi sul piano dell’imponibilità delle operazioni considerate (cfr. Cass., sez. V, n. 7457/2003, cit.).

In particolare, le clausole di garanzia recate da contratti di cessione delle partecipazioni possono avere finalità indennitaria-risarcitoria ovvero di aggiustamento prezzo. Ciò posto, si ritiene che le c.d. representation&warranties, ovvero quelle clausole volte a garantire la passata buona gestione della società target abbiano in re ipsa la natura di rettifiche/aggiustamento prezzo, andando a modificare “ora per allora” i valori patrimoniali della target posti alla base della determinazione del prezzo di cessione della partecipazione. Tutto ciò salvo diversa (e chiara) volontà delle parti.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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