Ancora sui costi indeducibili ma effettivi attribuiti per presunzione ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria
Di Paola Coppola
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(commento a/notes to Cass., sent. 25 agosto 2022, n. 25322)
Abstract
Con la recente sentenza 25 agosto 2022, n. 25322 la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sulla presunzione della distribuzione ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria degli utili occulti ai fini IRPEF confermando altri precedenti, anche recenti (Cass., ord. 4 aprile 2022, n. 10679; Cass., 2 febbraio 2021, sent. 2224) per i quali vi sarebbe analogia tra i casi di maggior reddito imponibile IRES dovuto al recupero di costi inesistenti/fittizi con quelli in cui la rettifica sulla partecipata dipenda dal mero disconoscimento di costi certi, effettivi per ragioni legate al principio di competenza o inerenza o per violazioni di regole fiscali. L’interpretazione, per come viene prospettata, non è condivisibile perché intrisa di errate impostazioni teoriche e pratiche in materia contabile e nella determinazione del reddito d’impresa in dipendenza (derivazione) dal risultato (utile o perdita) del bilancio.
Again on non-deductible but actual costs attributed by presumption to shareholders of limited share-based companies. – With the recent sentence of 25 August 2022, n. 25322 the Supreme Court returned to rule on the presumption of distribution to shareholders of limited share capital companies of hidden profits for IRPEF purposes, confirming other precedents, including recent ones (Cass. Ord. N. 10679, 4 April 2022; Cass. Sent. n. 2224, February 2, 2021) for which there would be similarity between the cases of higher taxable IRES income due to the recovery of non-existent/fictitious costs with those in which the adjustment on the investee depends on the mere disavowal of certain, effective costs for reasons related to principle of competence, or inherence, or for violations of tax rules. The interpretation, as proposed, cannot be shared because it is imbued with incorrect theoretical and practical approaches to accounting and the determination of business income depending on (derivation) from the result (profit or loss) of the financial statements.
Sommario: 1. Il sistema di tassazione per esenzione e quello per trasparenza degli utili di partecipazione in società di capitali e di persone. – 2. La presunzione della distribuzione di utili occulti nei casi (possibili) di disconoscimento di costi fittizi o inesistenti. – 3. La presunzione della distribuzione di utili occulti nei casi (impossibili) del disconoscimento di costi effettivi e documentati per ragioni fiscali. – 4. I fraintendimenti della giurisprudenza di legittimità: l’analogia tra gli utili extracontabili da costi fittizi/ inesistenti e quelli da costi effettivi/esistenti della partecipata. – 5. Le ragioni del dissenso.
1. Come è noto, il parametro di riferimento per stabilire l’ambito soggettivo e oggettivo della presunzione di distribuzione degli utili occulti ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria è il regime di tassazione per esenzione (e non per imputazione) che, dal 2003 è quello che va applicato per assoggettare ad IRES il reddito prodotto dalla società di capitali (ed enti commerciali) che non hanno optato per il regime di trasparenza di cui agli artt. 115 e 116 TUIR. Per tassare gli utili da partecipazione in società ed enti soggetti ad IRES ex art. 44, comma 1, lett. e), TUIR vanno applicati e rispettati, i criteri di imponibilità per esenzione (limitata) in capo ai soci secondo le diverse percentuali di imponibilità stabilite in funzione della natura del socio partecipante (artt. 47 per le persone fisiche, e 89 per imprese e società del TUIR)[1].
Ciò per premettere che si incontra un primo errore tecnico allorquando gli Uffici nell’applicare la presunzione della distribuzione in capo ai soci di società a ristretta base azionaria dapprima tassano il maggior reddito accertato in capo alla società e di poi imputano “quel maggior reddito” – al lordo e non al netto dell’IRES accertata – sui soci pro-quota, come se si trattasse di un reddito tassabile per trasparenzaex art. 5 TUIR (o 115/116 TUIR) “dimenticando” di aver tassato a fini IRES (24%), il maggior reddito sulla partecipata.
Quando ciò avviene, l’errore provoca evidenti effetti distorsivi. Basti considerare che quando il regime degli utili da partecipazione è la trasparenza – per le società di persone (art. 5 TUIR) o le società di capitali che hanno optato per quel regime alternativo (artt. 115/116 TUIR) – il reddito d’impresa prodotto dalla partecipata e, così, quindi, anche il “maggior reddito” accertato, non viene tassato in alcuna misura sulla stessa, ma è (solo) imputato pro-quota in capo ai soci indipendentemente dalla percezione (e non quindi “anche” sulla società). Nel sistema di tassazione delle società di capitali (ed enti commerciali), la tassazione ricade sulla partecipata (e non suoi soci) anche se, per ragioni sistematiche, alla tassazione societaria si “aggiunge” il carico di imposta a fini personali dell’utile da partecipazione conseguito dal socio (a titolo di dividendo o di utili assimilati al dividendo, o di maggior valore/beni in caso di scioglimento del vincolo sociale limitatamente al socio, o di liquidazione anche concorsuale della società).
Ne consegue che nel regime di tassazione degli utili da partecipazione delle società di capitali (tutte, e non solo di quelle a ristretta base azionaria) la tassazione in capo al socio-impresa, o socio di una società di persone in base all’aliquota marginale “su una (buona) parte” dell’utile distribuito (del 58,14%, salvi i casi di socio-società di capitale in cui è del 5%) e/o l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% sul reddito percepito dal socio persona fisica, non è un’“agevolazione”, un “trattamento premiale” riconosciuto al percettore (come si legge, invece, in talune sentenze di legittimità)[2].
E’ solo il rimedio a dire il vero, imperfetto, contro la doppia imposizione economica che attualmente persiste nel sistema di tassazione delle società di capitali (ed enti commerciali) – in luogo del previgente sistema del credito d’imposta sui dividendi – anche se nella misura “mitigata”, scelta dal legislatore, rispetto al carico di imposte che grava sulla partecipata a fini IRES.
2. Tenendo a mente questa premessa, occorre chiedersi, nel rispetto del regime di tassazione per esenzione della società di capitali, quando può “verosimilmente” operare la presunzione che il maggior reddito occulto della società a ristretta base azionaria (in via extracontabile) sia stato trasferito “in nero” ai soci per escludere i casi in cui, all’opposto, la presunzione non può operare, in punto di fatto e di diritto.
La risposta è che ciò può avvenire, ragionevolmente, solo se la società partecipata ha occultato “ricavi” o ha dedotto “costi inesistenti/fittizi”, fermi i tanti interrogativi ed aspetti incerti sulla concerta applicazione della presunzione sui soci di minoranza o su quelli estranei alla gestione operativa della società[3]; sulla necessità che sussista un valido accertamento sulla partecipata prima di poter inferire la presunzione suoi soci[4]; e soprattutto, sui vincoli opposti dalla giurisprudenza alla prova contraria che il socio deve produrre in atti per superare la presunzione che gli “utili occulti” (da ricavi a nero o costi fittizi/indeducibili) siano effettivamente entrati nella sua disponibilità (e non di altri soci e/o di terzi, ad esempio l’amministratore non socio). Prova contraria che, per la Suprema Corte, consisterebbe (unicamente) nella dimostrazione da parte del socio che “i maggiori ricavi” (da utili occulti) o la contropartita dei “costi fittizi/inesistenti” siano stati «accantonati in bilancio dalla società ovvero da essa reinvestiti», come si legge anche nella sentenza in commento[5].
Ebbene, in molti lavori e commenti, anche della sottoscritta su questa rivista[6], si è avuto modo di osservare che proprio il vincolo apposto alla prova contraria basterebbe per dimostrare che ciò che viene richiesto al socio, di fatto, è una prova diabolica apparendo non solo inverosimile, ma tecnicamente impossibile, che la società partecipata, prima occulti utili extra – contabili (imponibili) e poi li “accantoni a riserva o li rinvesta nella società”. L’accantonamento di utili ai fini della costituzione di riserve (legale o statutaria ex artt. 2430 c.c. per le società per azioni, e 2463, c.c. per le società a responsabilità limitata) riguarda, infatti, solo gli utili di esercizio risultanti dal bilancio, ma non certo quelli “in nero” (per ricavi non dichiarati o costi fittizi). Del pari, il reinvestimento degli utili, non può che riguardare quelli regolarmente contabilizzati ma giammai gli utili “a nero” che, appunto, in quanto occulti, sono extra-contabili. Di qui, pretendere che il socio fornisca la prova dell’accantonamento/reinvestimento degli utili “extracontabili” significa, in sostanza, chiedere ai soci che hanno svolto attività di amministratori di autodenunciarsi, ed agli altri di denunciare gli amministratori, della formazione di “riserve occulte”, ovvero di fatti penalmente rilevanti ex art. 2621 c.c.
In sintesi, seguendo l’interpretazione di legittimità il socio, per superare la presunzione, dovrebbe fornire una prova “negativa” (di non distribuzione) che non può essere opposta secondo le regole contabili e principi di bilancio, posto che una società che occulti utili/proventi imponibili giammai potrebbe “accantonarli” in una riserva del patrimonio netto o “investirli” in cespiti patrimoniali senza impiegare, in via palese (e non occulta), la corrispondente contropartita di numerario (cassa/banca/crediti) – ovvero liquidità – in quella stessa annualità di controllo nella quale si determina, per via dell’accertamento operato dall’Ufficio, l’imputazione del maggiore imponibile (occulto) in via riflessa sul socio. La prova contraria “vincolata” dell’accantonamento o reinvestimento di utili extracontabili da parte del socio di s.r.l. a ristretta base azionaria, in definitiva, è un ossimoro con il quale si accostano termini di senso opposto, o in forte antitesi tra loro, che in definitiva, assume la connotazione di una prova diabolica, ovvero impossibile.
3. Ma, a ben vedere, la questione più spinosa ed inverosimile nell’applicazione della presunzione de quo è quella che si incontra nelle sentenze che si occupano, come quella in esame, dei casi in cui la rettifica del reddito societario dipenda dal disconoscimento di costi, effettivi, certi, documentati per ragioni legate alla sfasatura del periodo di competenza ex art. 109, commi 1 e 2, TUIR, o all’operare del principio di inerenza (art. 55 TUIR) oppure di violazioni di norme del TUIR.
Qui, come si comprenderà, non si dubita del fatto che la società partecipata abbia “impiegato” somme/risorse nell’acquisto/acquisizione dei beni o servizi per il sostenimento del costo che è confluito nel conto economico del bilancio dell’anno accertato per cui non può esservi, perché non v’è, alcuna “liquidità occulta” da intercettare; né – se si tiene a mente il sistema di derivazione (semplice) del reddito d’impresa dall’utile/perdita civilistica (ex art. 83 TUIR) – può dubitarsi del fatto che il costo indeducibile per ragioni di competenza e/o inerenza darebbe luogo – nell’accertamento – (solo) ad una variazione in aumento dell’utile/perdita civilistica (risultato ante imposte) e, quindi, (solo) all’aumento della base imponibile IRES senza che si possa, in alcun modo, “presumere” che le somme liquide (in definitiva, il danaro) investite/impiegate dalla società per sostenere i costi allocati nel conto economico (certi, effettivi, documentati) siano transitate nelle “tasche” dei soci[7]. Se si discute di somme impiegate dalla società per sostenere “quei costi”, stiamo parlando di somme che si sono dapprima generate “dentro la società” e, quindi, per definizione, di somme (liquide/danaro) e/o beni (in natura) non “fuoriusciti” dalla società ed “entrati” nella disponibilità dei soci.
Ebbene, se questa è la premessa del ragionamento sotteso all’applicazione della presunzione, come può ragionevolmente inferirsi che la società non abbia impegnato somme (liquide) in suo possesso per dotarsi di “quei costi” (esistenti) e le abbia “distolte” per distribuirle “in nero” ai soci? Si pensi, tra i tanti, al caso di un compenso all’amministratore dedotto per competenza, e non per cassa (ex art. 95, comma 5), oppure di costi sostenuti per l’acquisto di beni mobili/immobili dedotti in esercizio diverso da quello in cui si è verificata la consegna/spedizione (ex art. 109, comma 2, lett. a, TUIR), ecc. Quando ciò accade, è tecnicamente impossibile “presumere” che sia avvenuta una distribuzione/trasferimento ai soci del maggior reddito d’impresa accertato (provvisoriamente) nell’esercizio (n) in capo alla società in virtù del disconoscimento del costo dedotto nel periodo d’imposta “diverso” (n-1 o n+1).
Sostenere il contrario è un altro paradosso, inspiegabile ed incomprensibile.
Lo stesso accade quando le rettifiche del reddito d’impresa si fondano sul disconoscimento di costi sulla partecipata per questioni di inerenza. Anche qui, non si dubita dell’effettività del costo e, quindi, dell’impiego di risorse societarie, ma della non riconducibilità di quelli effettivamente sostenuti all’attività d’impresa della partecipata per cui il disconoscimento non può essere rappresentativo, verosimilmente, di una disponibilità finanziaria occulta (liquidità) “trasferita” e, quindi, “distribuita” ai soci. Se i costi sono stati sostenuti con risorse impiegate/investite dalla partecipata si esclude, in re ipsa, che si tratti di risorse distolte dall’impiego societario per essere trasferite (in nero) ai soci[8].
4. Ciò nonostante, talvolta queste basilari regole della determinazione del reddito d’impresa dei soggetti imprese/società non sono applicate dagli Uffici negli accertamenti operati sui soci, né più attentamente valutati dagli estensori delle sentenze di legittimità nella risoluzione dei casi concreti in cui accade di leggere, come avviene nella sentenza n. 25322/2022 in commento – che, al pari di quanto di verifica nei casi di utili extracontabili generatisi da costi indeducibili “fittizi/inesistenti” – si determinerebbe una «situazione analogaanche nel caso in cui il costo è indeducibile, per le più variegate ragioni (magari perchè è stato violato il principio di competenza D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 109, sicchè la somma doveva essere versata in altro esercizio, o per mancata inerenza o per violazione di norme fiscali, come il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 99), ma è stato effettivamente sostenuto, con somme erogate in concreto dalla società. Anche in tali casi la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta. In tali ipotesi, infatti, la società ha erogato tutte le somme presenti nel passivo del conto economico tra i costi, ma si tratta di costi indeducibili che vanno ad alterare il conto economico che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmente ricavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato. Anche in questo caso si genera un maggiore reddito che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione” (cfr. Cass. 2224/2021)» [sottolineature dell’Autrice]. Il che, pur con il dovuto rispetto alla Suprema Corte, non è condivisibile per una serie di ragioni tecniche.
5. Primo punto. Non v’è, perché non può esservi, alcuna analogia tra i casi di accertamento di utili occulti dovuti alla rettifica di costi inesistenti/fittizi, ovvero di quelli “non sostenuti” pur se dedotti, con i casi di maggior reddito IRES dovuto al mero disconoscimento di costi certi, effettivi e documentati per ragioni di competenza (ex 109 TUIR), inerenza (art. 55 TUIR) o per errori nell’applicazione di una (complessa) regola fiscale. Sono situazioni diametralmente opposte.
Nel primo caso, ovvero quando l’utile (civilistico) è interessato dalla deduzione di costi fittizi o inesistenti (oggettivamente, e nemmeno soggettivamente)[9], in via di principio, può operare la presunzione che si tratti di somme non sostenute/investite dalla società, imputate a conto economico al solo scopo di “ridurre” la base imponibile IRES e, quindi, di costi “creati” artatamente per generare “un minor imponibile” IRES (tassato) sulla partecipata di cui si sono avvantaggiati i soci (per i minori utili da partecipazione imponibili).
Nel secondo caso, ovvero quando l’utile civilistico è interessato dalla deduzione di costi effettivi/esistenti che, per “le più svariate ragioni” (quelle fiscali, e non anche civilistiche), possono essere disconosciuti dall’Ufficio perché ritenuti non di competenza dell’anno accertato (ma di anni precedenti/successivi), oppure non inerenti, o per altra violazione del TUIR rilevante, stiamo parlando di costi sostenuti con risorse societarie “prelevate” dalle disponibilità finanziarie (cassa/banca) presenti in società ed impiegate nell’acquisto di beni o servizi; somme che, quindi, in quanto trattenute ed impiegate dalla partecipata, non possono essere “entrate” nella diponibilità del socio.
Manca la “verosimiglianza” della presunzione contraria.
Secondo punto. Quando, usando le parole della sentenza n. 25322/2022 in commento, la società sostiene un costo con «somme erogate in concreto dalla società» (intendendo riferirsi, quindi, ad un costo effettivo/esistente) che, in sede di accertamento, dovesse essere ritenuto indeducibile per ragioni di competenza o inerenza, si genera certamente «un maggior reddito imponibile IRES» (rispetto a quello dichiarato in cui quel costo è stato dedotto) ma non può (non, può) scattare alcuna presunzione «di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta».
In tali ipotesi, infatti, la società: «se ha erogato tutte le somme presenti nel passivo (rectius: in dare) del conto economico tra i costi, nonsi tratta (non, si tratta) di “costi indeducibili che vanno ad alterare il conto economico che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmentericavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato» [sottolineature dell’Autrice].
I costi indeducibili (per ragioni fiscali) “restano” dove sono – ovvero nel conto economico (nel risultato ante imposte) – che, di conseguenza, resta “immutato” e non è “alterato”, venendo (solo) ripresi tra le variazioni in aumento in dichiarazione nella ri-determinazione/rettifica operata in sede di accertamento. La rettifica del reddito operata in sede di accertamento non comporta, infatti, alcuna modifica del bilancio depositato al registro imprese.
Terzo punto. Il “disconoscimento” di costi (effettivi/esistenti) per ragioni di competenza, inerenza, o eventuali altri errori commessi nell’applicazione delle regole del TUIR, fermo il fatto che non è “un errore che va emendato nel conto economico” come detto, e per tante altre ragioni (contabili/giuridiche) – genera sicuramente “un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato, ma non comporta (non, comporta)“inevitabilmente ricavi maggiori”, perché genera solo una variazione in aumento del risultato civilistico in dichiarazione, e di conseguenza non è (non, è) sintomatico di “un maggiore reddito che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione”.
Si tratta della sola conseguenza – tecnica – dell’applicazione del sistema di derivazione del reddito d’impresa dal risultato civilistico (ex art. 83 TUIR) che provoca, in caso di rettifica della dichiarazione per costi indeducibili, l’aumento del reddito imponibile IRES (oltre che IRAP o IVA) in capo alla società e non genera, quindi, “inevitabilmentemaggiori ricavi”, né un “maggior utile” (civilistico) che, come sappiamo, è il solo che potrebbe ritenersi, in via teorica, indebitamente “spartito” tra i soci. Ma allora, c’è davvero da chiedersi, che c’entrano i soci?
Di fronte agli interrogativi senza risposta, ed ai disorientamenti tecnici segnalati non resta che augurarsi che “la regola non scritta” della presunzione che ci occupa, se destinata ad operare, trovi al più presto una declinazione nella legge che indichi una soluzione univoca nell’applicazione, e nella risoluzione giudiziale dei casi concreti, per evitare gli attuali ingiustificabili ed illegittimi aggravi impositivi e sanzionatori sui soci.
[1] Si passa, com’è noto, dall’esenzione limitata al 95% – con imponibilità del 5% – se il socio è una società di capitali o ente commerciale soggetto ad IRES, all’esenzione limitata, oggi al 41,86% – con tassazione del 58,14% – (per gli utili posti in distribuzione a partire dal 1° gennaio 2008, ex L. n. 205/2017) se si tratta di socio di società di persone o persona fisica che detiene la partecipazione nell’esercizio di un’impresa, fino ad arrivare all’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% sugli utili deliberati se a percepire gli utili (dopo il 1° gennaio 2018) è una persona fisica che detiene la partecipazione, fuori dall’esercizio di una impresa, sia che si tratti di partecipazione qualificata, che non qualificata.
[3] Molte sentenze di merito, confermate in sede di legittimità, stanno disconoscendo la legittimità degli avvisi di accertamento sui soci di minoranza che non hanno alcun poter di indirizzo/controllo delle decisioni e/o quelli che non possono essere venuti a conoscenza dell’ammontare di ricavi/proventi occulti in una società di capitali (di recente, Cass., sez. VI, ord. 1° dicembre 2020, n. 27445).
[4] Tant’è che, come confermato anche di recente (Cass., sez. V, ord., 2 aprile 2021, n. 9137), per procedere all’imputazione al socio del reddito presumibilmente ricavato dalla società, il giudice ha l’onere di accertare che il maggior reddito societario è stato effettivamente prodotto (Cass., sez. V, sent. 22 aprile 2009. n. 9519; Id. 29 dicembre 2011, n. 29605).
[5] La configurazione di siffatta prova contraria “vincolata” è una costante nelle sentenze di legittimità. Tra le tante, solo per citare le più recenti, si vedano: Cass., sez. V, ord. 29 gennaio 2020, n. 1970; Cass., sez. VI, ord. 14 febbraio 2020, n. 3735; ord., 22 aprile 2021, n. 10732.
[7] Quando si applica il sistema di derivazione rafforzata per le società che adottano i principi contabili internazionali (IAS adopter) o nazionali (OIC adopter) non si applica, com’è noto, l’art. 109, commi 1 e 2, TUIR, ma si attua il rinvio ai “criteri di qualificazione, classificazione, imputazione temporale” previsti da detti principi contabili con applicazione, per i casi estranei a detti criteri e, quindi, per le valutazioni, ammortamenti, accantonamenti, rimanenze, delle regole stabilite dal TUIR ex art. 83 TUIR, come modificato dall’art.13-bis D.L. 30 dicembre 2016, n. 244. Ne segue che nelle rettifiche delle dichiarazioni dei redditi dichiarati dalle società a ristretta base azionaria che optano per il bilancio in forma ordinaria, a decorrere dai bilanci dal 2016, ed oggi anche se ad esercitare l’opzione sono le microimprese (ex D.L. n. 73/2022), l’applicazione della presunzione de quo dovrà fare i conti con il regime di derivazione rafforzata che non potrà vedere più rettifiche di costi per mere ragioni di competenza in sede di accertamento sulla società e, di riflesso, nemmeno sugli accertamenti sui soci.
[8] L’unico caso che potrebbe sollevare profili di incertezza potrebbe riguardare i costi non inerenti perché afferenti la sfera personale del socio/soci. Ma anche qui l’Ufficio potrebbe validamente recuperare in capo alla società l’IRES su quell’indebita deduzione, senza poter inferire, tuttavia, in automatico, che quel maggior reddito d’impresa sia stato trasferito (a nero) sui soci (pro-quota), visto che il recupero è legato al fatto che siamo di fronte ad un costo sostenuto con risorse pur “prelevate” (pur se indebitamente) dalla società, ma pur sempre “rimaste/trattenute” in società ed impiegate nell’acquisizione di bene/beni iscritti tra quelli dell’impresa, anziché essere sopportato (direttamente) dal socio con fonti di reddito personali, ma non certo di somme “trasferite” per presunzione ai soci (pro-quota).
[9] Ed infatti, la rettifica di costi soggettivamente inesistenti lascia impregiudicato, com’è noto, il diritto della società a dedurre i costi sostenuti correlati ai maggiori ricavi accertati anche in caso di consapevolezza del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo, valendo per il cessionario o committente solo il disconoscimento dell’IVA detratta (Cass., ord., 6 luglio 2021, n. 19169). Ciò per dire che in questi casi non vi sarebbe, in via di principio, un “maggior reddito” imponibile IRES da tassare sulla partecipata e, quindi, nemmeno quello tassabile per presunzione a fini IRPEF sui soci.
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Tutti i dati di cui al successivo punto 2 verranno conservati per il tempo necessario al fine di fornire servizi e comunque per il raggiungimento delle finalità per le quali i dati sono stati raccolti, e in ottemperanza a obblighi di legge. L’eventuale trattamento di dati sensibili da parte del Titolare si fonda sui presupposti di cui all’art. 9.2 lett. a) del GDPR.
Il consenso dell’utente potrà essere revocato in ogni momento senza pregiudicare la liceità dei trattamenti effettuati prima della revoca.
Tipologie di dati personali trattati
La Società può raccogliere i seguenti dati personali forniti volontariamente dall’utente:
nome e cognome dell’utente,
il suo indirizzo di domicilio o residenza,
il suo indirizzo email, il numero di telefono,
la sua data di nascita,
i dettagli dei servizi e/o prodotti acquistati.
La raccolta può avvenire quando l’utente acquista un nostro prodotto o servizio, quando l’utente contatta la Società per informazioni su servizi e/o prodotti, crea un account, partecipa ad un sondaggio/indagine. Qualora l’utente fornisse dati personali di terzi, l’utente dovrà fare quanto necessario perchè la comunicazione dei dati a Pacini Editore srl e il successivo trattamento per le finalità specificate nella presente Privacy Policy avvengano nel rispetto della normativa applicabile, (l’utente prima di dare i dati personali deve informare i terzi e deve ottenere il consenso al trattamento).
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La società utilizza i dati resi pubblici (ad esempio albi professionali) solo ed esclusivamente per informare e promuovere attività e prodotti/servizi strettamente inerenti ed attinenti alla professione degli utenti, garantendo sempre una forte affinità tra il messaggio e l’interesse dell’utente.
Trattamento dei dati
A fini di trasparenza e nel rispetto dei principi enucleati dall’art. 12 del GDPR, si ricorda che per “trattamento di dati personali” si intende qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione. Il trattamento dei dati personali potrà effettuarsi con o senza l’ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati e comprenderà, nel rispetto dei limiti e delle condizioni posti dal GDPR, anche la comunicazione nei confronti dei soggetti di cui al successivo punto 7.
Modalità del trattamento dei dati: I dati personali oggetto di trattamento sono:
trattati in modo lecito e secondo correttezza da soggetti autorizzati all’assolvimento di tali compiti, soggetti identificati e resi edotti dei vincoli imposti dal GDPR;
raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, e utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;
esatti e, se necessario, aggiornati;
pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o successivamente trattati;
conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati;
trattati con il supporto di mezzi cartacei, informatici o telematici e con l’impiego di misure di sicurezza atte a garantire la riservatezza del soggetto interessato cui i dati si riferiscono e ad evitare l’indebito accesso a soggetti terzi o a personale non autorizzato.
Natura del conferimento
Il conferimento di alcuni dati personali è necessario. In caso di mancato conferimento dei dati personali richiesti o in caso di opposizione al trattamento dei dati personali conferiti, potrebbe non essere possibile dar corso alla richiesta e/o alla gestione del servizio richiesto e/o alla la gestione del relativo contratto.
Comunicazione dei dati
I dati personali raccolti sono trattati dal personale incaricato che abbia necessità di averne conoscenza nell’espletamento delle proprie attività. I dati non verranno diffusi.
Diritti dell’interessato.
Ai sensi degli articoli 15-20 del GDPR l’utente potrà esercitare specifici diritti, tra cui quello di ottenere l’accesso ai dati personali in forma intelligibile, la rettifica, l’aggiornamento o la cancellazione degli stessi. L’utente avrà inoltre diritto ad ottenere dalla Società la limitazione del trattamento, potrà inoltre opporsi per motivi legittimi al trattamento dei dati. Nel caso in cui ritenga che i trattamenti che Lo riguardano violino le norme del GDPR, ha diritto a proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 77 del GDPR.
Titolare e Responsabile per la protezione dei dati personali (DPO)
Titolare del trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 4.1.7 del GDPR è Pacini Editore Srl., con sede legale in 56121 Pisa, Via A Gherardesca n. 1.
Per esercitare i diritti ai sensi del GDPR di cui al punto 6 della presente informativa l’utente potrà contattare il Titolare e potrà effettuare ogni richiesta di informazione in merito all’individuazione dei Responsabili del trattamento, Incaricati del trattamento agenti per conto del Titolare al seguente indirizzo di posta elettronica: privacy@pacinieditore.it. L’elenco completo dei Responsabili e le categorie di incaricati del trattamento sono disponibili su richiesta.
Ai sensi dell’art. 13 Decreto Legislativo 196/03 (di seguito D.Lgs.), si informano gli utenti del nostro sito in materia di trattamento dei dati personali.
Quanto sotto non è valido per altri siti web eventualmente consultabili attraverso i link presenti sul nostro sito.
Il Titolare del trattamento
Il Titolare del trattamento dei dati personali, relativi a persone identificate o identificabili trattati a seguito della consultazione del nostro sito, è Pacini Editore Srl, che ha sede legale in via Gherardesca 1, 56121 Pisa.
Luogo e finalità di trattamento dei dati
I trattamenti connessi ai servizi web di questo sito hanno luogo prevalentemente presso la predetta sede della Società e sono curati solo da dipendenti e collaboratori di Pacini Editore Srl nominati incaricati del trattamento al fine di espletare i servizi richiesti (fornitura di volumi, riviste, abbonamenti, ebook, ecc.).
I dati personali forniti dagli utenti che inoltrano richieste di servizi sono utilizzati al solo fine di eseguire il servizio o la prestazione richiesta.
L’inserimento dei dati personali dell’utente all’interno di eventuali maling list, al fine di invio di messaggi promozionali occasionali o periodici, avviene soltanto dietro esplicita accettazione e autorizzazione dell’utente stesso.
Comunicazione dei dati
I dati forniti dagli utenti non saranno comunicati a soggetti terzi salvo che la comunicazione sia imposta da obblighi di legge o sia strettamente necessario per l’adempimento delle richieste e di eventuali obblighi contrattuali.
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Nessun dato raccolto sul sito è oggetto di diffusione.
Tipi di dati trattati
Dati forniti volontariamente dagli utenti
L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati su questo sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva.
Facoltatività del conferimento dei dati
Salvo quanto specificato per i dati di navigazione, l’utente è libero di fornire i dati personali per richiedere i servizi offerti dalla società. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere il servizio richiesto.
Modalità di trattamento dei dati
I dati personali sono trattati con strumenti manuali e automatizzati, per il tempo necessario a conseguire lo scopo per il quale sono stati raccolti e, comunque per il periodo imposto da eventuali obblighi contrattuali o di legge.
I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 e adeguamenti al Regolamento UE GDPR 2016 (General Data Protection Regulation) a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl – Via A. Gherardesca 1 – 56121 Pisa. Per ulteriori approfondimenti fare riferimento al sito web http://www.pacinieditore.it/privacy/
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