IL PUNTO SU… Variazioni IVA in diminuzione e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi
Di Adriana Salvati
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1. Con la Risposta ad interpello n. 216/2022, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 26 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con specifico riguardo alle variazioni in diminuzione IVA per operazioni venute meno a causa del mancato pagamento da parte del committente o cessionario, assoggettato a procedure concorsuali. Come noto, il meccanismo della rettifica è posto a presidio della neutralità dell’IVA, atteso che «la base imponibile dell’IVA che deve essere riscossa dalla autorità fiscali non può essere superiore al corrispettivo effettivamente pagato dal consumatore finale e sul quale è stata calcolata l’Iva dovuta in definitiva da tale consumatore» (Corte di Giustizia, sentenza 24 ottobre 1996, causa C-317/94). La norma in esame, tuttavia, è stata oggetto, nel tempo, di diverse interpretazioni restrittive da parte dell’Amministrazione finanziaria, tanto da rendere necessari numerosi interventi legislativi, anche al fine di adeguarsi alle indicazioni europee. Da ultimo, il legislatore è intervenuto con l’art. 18 D.L. 25 maggio 2021, n. 73 (c.d. decreto Sostegni-bis), che ha introdotto nell’art. 26 il comma 3-bis: tale disposizione consente di effettuare una nota di variazione in diminuzione e recuperare l’IVA applicata e non riscossa sin dalla data di avvio del fallimento, del concordato preventivo, della liquidazione coatta o dell’amministrazione straordinaria ovvero dalla data di emissione del decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero, ancora, dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano di risanamento attestato. E tanto proprio allo scopo dichiarato di non differire eccessivamente nel tempo il correttivo. Il decreto ha precisato poi, introducendo il comma 10-bis, che il debitore si considera assoggettato a una delle procedure concorsuali a partire rispettivamente dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento, del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa, del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Ebbene con la risposta citata, l’Agenzia è intervenuta con specifico riguardo all’ipotesi di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e ha chiarito che, per le procedure intraprese prima del 26 maggio 2021, si applica la previgente disciplina che subordinava l’emissione della nota di variazione all’infruttuosità della procedura. Con una norma di diritto transitorio (collocata nel comma 2 dell’art. 18 D.L. n. 73/2021), infatti, il legislatore ha limitato l’applicazione delle nuove disposizioni alle procedure concorsuali avviate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto. Sicché, nello specifico caso esaminato di conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, l’Agenzia ritiene che la suddetta conversione non realizzi l’avvio di una nuova procedura concorsuale, ma la continuazione della precedente. Essendo quest’ultima risalente nel tempo e posta in essere prima dell’entrata in vigore della norma, l’Amministrazione afferma che la disciplina applicabile è la pregressa, con la conseguenza che si potrà emettere la nota di variazione IVA in diminuzione solo a decorrere dalla definitività del provvedimento di chiusura della procedura fallimentare, nell’ipotesi di esito infruttuoso.
2. Come anticipato, la posizione dell’Agenzia in merito a tale tipologia di variazione è stata sovente restrittiva e tanto soprattutto con riferimento al caso dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Con la circ. 17 aprile 2000, n. 77/E, l’Amministrazione aveva affermato, in ragione della formulazione dell’art. 26, comma 2, del decreto IVA, vigente ratione temporis, che l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi non rientrasse nell’ambito applicativo della disposizione normativa. E tanto perché il testo vigente fino al 12 dicembre 2014, al comma 2, prevedeva la nota di variazione per mancato pagamento dovuto a procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose, laddove invece l’amministrazione straordinaria non poteva configurarsi come procedura concorsuale, essendo volta alla conservazione dell’impresa e non alla sua liquidazione. Siffatta interpretazione sollevava diverse perplessità, considerate anche le profonde innovazioni apportate dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese, che all’art. 1 definiva la procedura concorsuale quale procedura indicata per le «grandi imprese insolventi». Si ricorda poi che la procedura di amministrazione straordinaria è contemplata nell’Allegato A al Regolamento UE n. 2015/848 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza, tra le procedure concorsuali pubbliche (ivi comprese le procedure provvisorie). Tutte le procedure ivi previste presentano caratteri comuni tant’è che, a fini di salvataggio, ristrutturazione del debito, riorganizzazione o liquidazione, il debitore è spossessato, in tutto o in parte, del proprio patrimonio ed è nominato un amministratore delle procedure di insolvenza; i beni e gli affari di un debitore sono soggetti al controllo o alla sorveglianza di un giudice, oppure è concessa (da un giudice o per legge) una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali al fine di consentire le trattative tra il debitore e i suoi creditori. Già all’epoca della circ. n. 77/E/2000, la procedura poteva assumere diverse forme, con particolari risvolti liquidatori (art. 73, comma 3, D.Lgs. n. 270/1999) nella fase terminale della procedura stessa e/o esdebitatori (art. 78 D.Lgs. n. 270/1999). La conservazione e riattivazione dei comparti produttivi, infatti, poteva avvenire in diversi modi (art. 27 D.Lgs. n. 270/1999): attraverso la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno, o attraverso la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni. Inoltre, il programma di cessione dei complessi aziendali, una volta terminato, comportava la dichiarazione di cessazione dell’esercizio dell’impresa, sicché, a far data dal decreto previsto dal comma 1 del suddetto articolo, l’amministrazione straordinaria è considerata, ad ogni effetto, come procedura concorsuale liquidatoria. Ecco allora che l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi si delineava come una procedura concorsuale, con connessa possibile infruttuosità della stessa per i creditori e questo già quando l’Amministrazione finanziaria con la circolare n. 77/E/2000 negava tale natura, sicché l’orientamento restrittivo adottato dall’Amministrazione non sembrava avere fondamento.
3. Questa prima linea interpretativa è stata successivamente rivista dall’Agenzia, a seguito delle modifiche introdotte con dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, e questo perché il comma 2 dell’articolo 26, vigente dal 13 dicembre 2014 al 26 maggio 2021, aveva espressamente previsto la possibilità di operare variazioni in diminuzione, non solo «per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose» ma anche «a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis R.D. n. 267/1942, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67 terzo comma, lettera d), R.D. n. 267/1942». Tale formulazione legislativa deponeva chiaramente nel senso di non limitare la possibilità delle note di variazione in diminuzione alle sole procedure concorsuali stricto sensu intese, estendendola anche a procedure volte a mantenere in vita l’impresa in crisi e, quindi, anche alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, delineata dal D.Lgs. n. 270/1999. Con la circ. 29 dicembre 2021, n. 20/E, allora, l’Agenzia aveva chiarito che, tenuto conto delle intenzioni del legislatore, dovevano ritenersi superati i chiarimenti forniti con la citata circ. n. 77/E/2000, laddove escludeva l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi dall’ambito applicativo dell’art. 26 del decreto IVA. Sennonché, nonostante tale affermazione di principio, l’Amministrazione ha nuovamente limitato l’applicazione della norma, vigente medio termine, alle sole ipotesi in cui l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi viene condotta con una cessione prevalentemente liquidatoria delle attività. Come ribadito nella recente Risposta ad interpello n. 216/2022, l’Agenzia, riprendendo la precedente interpretazione che confinava le note di variazioni IVA alla casistica di procedure concorsuali di tipo fallimentare, distingue diversi tipi di procedure di amministrazione straordinaria: una realizzabile tramite la cessione dei complessi aziendali; l’altra, tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa. Solo nel primo caso, palesandosi la finalità liquidatoria della procedura, sarebbe applicabile la norma nel testo vigente dal 13 dicembre 2014 al 26 maggio 2021. E tanto anche se i commi 4 e 11 dell’art. 26 – introdotti dal comma 126 dell’articolo unico della L. 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016), successivamente abrogati, dall’art. 1, comma 567, lett. d), L. 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di Bilancio 2017), avevano già anticipato la possibilità di effettuare la nota di variazione al momento di apertura della procedura concorsuale, chiarendo che si consideravano assoggettati a procedure concorsuali anche i soggetti per i quali era stata disposta l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Nell’ottica amministrativa, invece, per le procedure aperte prima del 26 maggio 2021, non sarebbe possibile emettere la nota di variazione fino al momento in cui l’amministrazione straordinaria non assumesse forma liquidatoria, realizzando la certezza dell’irrecuperabilità del credito in tutto o in parte. Anche questa interpretazione sembra, ancora, confliggente con il dato normativo che, nella versione in esame, non subordinava ad alcuna condizione l’emissione della nota di variazione per lo specifico caso.
4. Per individuare il momento in cui si possa considerare maturata la certezza dell’infruttuosità della procedura, l’Amministrazione richiama diversi documenti di prassi (cfr. per tutti la già citata circ. n. 77/E/2000 e la circ. 7 aprile 2017, n. 8/E) che ricollegavano la condizione di infruttuosità della procedura concorsuale alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale oppure, in sua assenza, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura. Secondo l’Amministrazione, poi, nel caso di amministrazione straordinaria, la fisiologica continuità dell’attività aziendale comporta che, solo nel momento in cui il commissario straordinario presenta il programma previsto dall’art. 54 della “legge Prodi-bis ” e lo stesso è approvato dal Ministro dello Sviluppo Economico, può determinarsi se vi sarà una ristrutturazione economico – finanziaria o invece la cessione delle attività con finalità prevalentemente liquidatoria, con la conseguenza che si potrà emettere la nota di variazione IVA in diminuzione solo a decorrere dalla definitività del provvedimento di chiusura della procedura fallimentare, nell’ipotesi di esito infruttuoso. Questa soluzione interpretativa, che fa leva sulla disposizione transitoria, ha l’effetto di rendere incerto il dies a quo cui ricondurre l’infruttuosità della procedura (e quindi il termine per l’emissione della nota) e soprattutto di protrarre indefinitamente nel tempo la possibilità di emettere la nota di variazione, atteso che l’amministrazione straordinaria può protrassi a lungo prima di orientarsi effettivamente alla liquidazione. Sicché la limitazione normativa, che anticipa la possibilità di effettuare le variazioni solo alle nuove procedure, in uno alla interpretazione amministrativa che restringe ulteriormente il campo di applicazione della pregressa disciplina per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese, finisce per porsi inevitabilmente in contrasto con le indicazioni europee che avevano indotto il legislatore a riformare la norma. I giudici europei avevano affermato, infatti, che «uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni». Anche se l’art. 90 della Direttiva 2006/112/CE stabilisce che «1. In caso di (…) non pagamento totale o parziale (…) dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri. 2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1», la Corte di Giustizia UE ha censurato la nostra disposizione interna a causa dell’eccessiva durata delle procedure concorsuali, al cui esito infruttuoso era subordinato il diritto alla detrazione dell’imposta non incassata (cfr. sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16). La Corte, inoltre, ammette la variazione in diminuzione anche in presenza di una «ragionevole probabilità che il debito non sia saldato», rinviando alle Autorità nazionali il compito di stabilire, «nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del non pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità del diritto nazionale applicabile» (cfr. sentenza 11 giugno 2020, causa C-146/19). Occorre, allora, che questo momento sia individuato in modo ragionevole per le amministrazioni straordinarie intraprese prima della riforma per non posporre usque ad infinitum la possibilità di operare la variazione e questo perché la facoltà di deroga, concessa dal paragrafo 2 dell’art. 90, non può estendersi al di là di tale ragionevolezza e imporre la chiusura della procedura concorsuale per acquisire la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito. Ed infatti la disposizione legislativa del decreto Sostegni-bis ha anticipato il termine per l’emissione della nota di variazione all’inizio della procedura concorsuale proprio basandosi sul presupposto che il verificarsi dello stato di crisi, che apre le porte alle diverse procedure, costituisca ragionevole probabilità che il debito non verrà saldato, salvi i correttivi previsti per l’ipotesi di successivo adempimento parziale o totale. Pertanto, anche se la disposizione transitoria limita questa anticipazione alle nuove procedure, è necessario individuare un termine analogamente ragionevole per le procedure già avviate e che non finisca con l’identificarsi con il termine ultimo della ufficiale declaratoria di irrecuperabilità del credito al termine della liquidazione: tale termine potrebbe essere individuato già nella conversione dell’amministrazione straordinaria in procedura fallimentare. In effetti, ferma restando l’esigenza di opportune valutazioni da condursi caso per caso, come impone ogni criterio di ragionevolezza, potrebbe ritenersi altamente probabile la perdita del credito quando la procedura di amministrazione straordinaria, volta al risanamento dell’impresa, non ha dato frutti e si è trasformata in fallimento vero e proprio. Tale soluzione consentirebbe di ridurre i tempi di attesa (già notevolmente dilatati) per i creditori e sarebbe in linea con la nuova disposizione che anticipa già all’apertura della procedura l’emissione della nota. Diversamente le imprese italiane sopporterebbero un ingiustificato svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri, in violazione dei principi di neutralità e di proporzionalità su cui è incentrata l’IVA.
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