EDITORIALE – C’è un giudice a Roma, al palazzo della Consulta: ma perché non sempre anche a Piazza Cavour?
Di Francesco Farri
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I. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209 del 2022, ha posto fine a una flagrante ingiustizia perpetrata nei confronti dei contribuenti sposati, ai quali per il sol fatto del matrimonio veniva preclusa la fruizione dell’esenzione IMU sull’abitazione principale tutte le volte in cui si trovassero a dovere effettivamente risiedere in Comuni diversi, ad esempio per ragioni lavorative, quando invece se non fossero stati sposati avrebbero potuto godere dell’esenzione IMU sulle abitazioni in cui risiedevano.
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II. Si tratta di una sentenza storica, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, essa costituisce pietra miliare per orientare l’ordinamento in materia di fiscalità della famiglia, escludendo in modo reciso l’ammissibilità di sistemi, più o meno larvati, di discriminazione fiscale delle famiglie e consegnando un serio monito sulla necessità di attuare l’art. 31 Cost., che il sostegno fiscale alle famiglie richiede. I prossimi istituti a dover cadere, in questa prospettiva, sembrano essere la scala d’equivalenza ingiustificatamente penalizzante per le famiglie posta a base dell’ISEE e le norme del TUIR che allo stato attuale producono discriminazioni tra famiglie aventi diversa distribuzione reddituale al loro interno. Si è detto che la sentenza costituisce pietra miliare per orientare l’ordinamento, e non semplicemente il legislatore, non solo perché alcuni istituti come l’ISEE sono sostanzialmente privi di base di legislativa e, quindi, il compito di dichiararne l’illegittimità spetterà al giudice amministrativo anziché direttamente alla Corte Costituzionale, ma anche perché il problema di cui la Corte è stata interessata non deriva direttamente da una disposizione legislativa, ma dal modo in cui essa è stata interpretata dalla Corte di Cassazione. Come si è già evidenziato in altre sedi, sarebbe stata ben possibile un’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011 (poi comma 741 della l. n. 160/2019), ma la giurisprudenza ha voluto negare il problema e tirar dritto verso l’incostituzionalità.
In secondo luogo, la sentenza sfata in modo definitivo il “mito” secondo cui le agevolazioni fiscali dovrebbero essere applicate in modo restrittivo. Come ogni altra norma, esse devono essere interpretate in senso costituzionalmente conforme e sistematico.
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III. Non che non vi fossero precedenti, nella giustizia costituzionale, che abbiano valorizzato i due predetti aspetti; ma il modo e la chiarezza con cui la sentenza 209 del 2022 lo ha fatto valgono a stagliarla come vero punto di riferimento in materia.
Tale constatazione suscita alcune riflessioni sui presupposti tramite i quali si è giunti a questa storica decisione, che denotano la crisi in cui versa il principio dell’interpretazione conforme a costituzione in materia tributaria.
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IV. Desta preoccupazione la circostanza che la Suprema Corte non si sia resa conto che l’interpretazione che stava offrendo di una norma, peraltro forzandone la lettera, dava corso a un sesquipedale contrasto con la Costituzione. Non avrebbe dovuto rendersi necessario l’intervento della Corte Costituzionale in un caso, francamente macroscopico, come questo. Occorre recuperare il senso dell’interpretazione costituzionalmente conforme e farlo non soltanto quando essa gioca a vantaggio dell’interesse fiscale (come non ricordare, al riguardo, le dirompenti sentenze 30055 e seguenti del dicembre 2008 in materia di rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto come pretesa diretta conseguenza dell’art. 53 Cost., oppure la puntigliosa battaglia inscenata sull’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986), ma anche quando gioca a vantaggio del contribuente.
In questa prospettiva, e solo per rimanere a temi di bruciante attualità, non si può non guardare con preoccupazione alla facilità con cui le Sezioni Unite n. 26283/2022 hanno liquidato la valutazione di costituzionalità dell’art. 3-bis del d.l. n. 146/2021 in relazione all’art. 113 Cost.. E non si può non guardare con preoccupazione alla cavillosità con cui, ad esempio, si forza la lettera dell’art. 25 del d.P.R. n. 602/1973 per affermare che essa varrebbe a considerare impedita la decadenza nei confronti di tutti i coobbligati anche nel caso di notifica della cartella di pagamento a uno soltanto: nonostante i richiami della dottrina, si dimentica che proprio così si riproduce, per i coobbligati nei confronti dei quali non si è proceduto alla notifica tempestiva della cartella, la stessa identica situazione che la Corte Costituzionale ha già dichiarato incostituzionale con sent. n. 280/2005. Poiché tale sentenza, diversamente da quanto riportato ad esempio nel par. 11 della sentenza n. 27713/2022 della Cassazione, non si limita ad affermare che è incostituzionale semplicemente “lasciare il contribuente assoggettato all’azione del fisco per un tempo indeterminato”, ma aggiunge anche “e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo e irragionevole”. Tale inciso era stato sottolineato dalla dottrina, le cui riserve la sentenza afferma di poter superare in modo “agevole”, eppure misteriosamente “scompare” nella “lettura selettiva” che la Cassazione offre della decisione della Corte Costituzionale. Così, la circostanza che una sentenza come quella appena segnalata si compiaccia che, con la propria interpretazione, “il tempo non è affatto indeterminato, ma contenuto entro il termine di prescrizione”, vale proprio a conclamare l’incostituzionalità della soluzione stessa. Perché forzare la lettera di una disposizione per interpretarla in modo contrario ai principi sanciti dalla Corte Costituzionale, pur di dar prevalenza a tutti i costi all’interesse fiscale?
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V. Desta preoccupazione, più in generale, il rigido automatismo con cui si tende ad applicare lo pseudo-principio per cui le agevolazioni dovrebbero essere interpretate in senso restrittivo. Mai come in questi casi si concretizza lo spettro che Cicerone ha così icasticamente sintetizzato nel brocardo “summum ius, summa iniuria”. Perché non prendere finalmente atto che una norma, in quanto tale, va interpretata secondo canoni obiettivi, senza guardare a chi giova o non giova una certa interpretazione per “aggiustarla” in modo da non giovar troppo a una certa categoria soggettiva? La sapienza classica raffigurava la giustizia come dea bendata proprio per rappresentare la necessità di evitare questo. Le agevolazioni fiscali sono norme come le altre e, come tali, esse meritano di essere interpretate in modo costituzionalmente conforme e sistematico come tutte le altre norme dell’ordinamento.
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VI. Infine, desta preoccupazione il contegno di passività con cui l’orientamento della Cassazione è stato per lo più recepito dal corpo sociale. Non solo troppi Comuni ne hanno approfittato per correre a rastrellare qualche soldo, che fa sempre gola (a parti invertite, è motore analogo a quello che muove chi non paga le imposte dovute), ma troppi contribuenti hanno accettato passivamente l’angheria che veniva loro propinata, accontentandosi magari della benevola “concessione” della non applicazione delle sanzioni o accogliendo come un favore la novella legislativa dell’art. 5-decies del d.l. n. 164/2021 (soltanto in pochissimi, prima della Corte Costituzionale, avevamo segnalato che la nuova norma era se mai possibile ancor più incostituzionale della precedente, poiché a differenza della prima non consentiva interpretazioni conformi). Il non accorgersi che una regola, da chiunque sia fissata, e ancor più una prassi che regola generale non è, come un precedente giurisprudenziale, si pone in conclamato contrasto con i principi costituzionali e la supina accondiscendenza a essa è segno di un preoccupante assopimento del corpo sociale e di una preoccupante carenza di autocoscienza dei propri diritti e delle proprie libertà da parte dei cittadini. Il rispetto delle regole è dovere e virtù del cittadino, ma altrettanto lo è la reazione a una norma o prassi obiettivamente e manifestamente ingiusta utilizzando tutti i mezzi che l’ordinamento, grazie a Dio, pone a disposizione.
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VII. Questa sentenza della Corte Costituzionale, oltre a sanare una intollerabile ingiustizia nel trattamento fiscale della famiglia, deve valere più in generale a rinvigorire lo spirito critico del corpo sociale e la fiducia nelle garanzie di giustizia espresse dalla nostra Costituzione. Anche in Italia, direbbe il commissario Montalbano, “na ‘nticchia di giustizia c’è. Na ‘nticchia, ma c’è”.
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