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Lo status del giudice nella riforma del processo tributario
Di Andrea Giovanardi -
Abstract (*)
L’articolo esamina le due proposte di riforma della giustizia tributaria avanzate dalla Commissione presieduta dal Prof. Giacinto della Cananea. Si evidenziano le ragioni e la genesi della diversità delle due proposte e si espongono le ragioni per la quale si ritiene preferibile la seconda proposta, di matrice accademico-professionale. Si risponde, correlativamente, alle critiche che ad essa sono state mosse e si formula l’auspicio che la prossima riforma della giustizia tributaria risponda al bisogno, ormai impellente, di garantire una professionalizzazione del giudice tributarie un suo reclutamento mediante concorso.
The status of the judge in the reform of the tax-justice. – The article examines the two tax-justice reform proposals put forth by the Commission chaired by Prof. Giacinto della Cananea. It highlights the reasons and the genesis of the diversities between the two and explains the reasons for which the second proposal, of academic-professional matrix, is considered preferable. Similarly, it responds to the criticisms that have been raised against it and it expresses the hope that the next tax-justice reform will respond to the now urgent need to make the tax-law judge a professional role and his recruitment happen through a public exam.
Sommario. 1. Le due proposte della Commissione della Cananea. – 2. Le critiche di ordine pratico, culturale e giuridico-costituzionale alla proposta della componente accademico-professionale della Commissione della Cananea. – 3. Considerazioni conclusive.
1. È cosa nota che la Commissione della Cananea ha chiuso i suoi lavori il 30 giugno 2021 consegnando ai Ministri due proposte molto diverse sulla decisiva questione dello status del giudice tributario[1]. Si tratta di esito che evidenzia plasticamente la spaccatura, un vero e proprio muro contro muro, tra la componente magistratuale e quella accademico-professionale della Commissione sul tema, centrale, della necessità (o meno) di imperniare il reclutamento dei nuovi giudici su un concorso per esami che, in forza della sua selettività, costituisca sufficiente garanzia di professionalità di chi è chiamato a giudicare. La decisione, conseguenza dell’insanabilità del contrasto, di rappresentare in modo trasparente il conflitto che ha caratterizzato i lavori ha reso più proficuo il successivo dibattito, costringendo tutti a prendere posizione per l’una o l’altra soluzione.
Ciò detto, soffermiamoci rapidamente sui contenuti delle due proposte.
La prima (la cosiddetta opzione 1) modifica marginalmente gli assetti ordinamentali del processo perché prevede:
nuove regole per l’accesso, concretizzantesi nell’introduzione di limiti di età minima e massima e, per i non appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa e contabile, nel requisito della laurea magistrale in giurisprudenza ovvero in economia e nel superamento dell’esame di stato di avvocato o di dottore commercialista ovvero nel conseguimento del titolo di dottore di ricerca in discipline giuridiche o economico-aziendali;
per il giudizio di appello, e solo per le cause di valore superiore a euro 25.000 e per quelle catastali, l’istituzione di un corpo di giudici (provenienti dalle magistrature ordinaria, amministrativa e contabile, dall’accademia o dalle fila degli avvocati e dei dottori commercialisti che abbiano svolto effettivamente più di 15 anni di esercizio della professione) che si dedichino in modo esclusivo o prevalente all’esercizio della funzione giurisdizionale.
L’opzione 2 invece:
istituisce il giudice tributario professionale da concorso, da scegliersi tra i laureati in giurisprudenza[2], il quale assumerà uno status analogo ai giudici ordinari anche per quel che riguarda la remunerazione;
individua le materie del concorso per esami (diritto tributario, diritto civile e commerciale, diritto amministrativo, diritto processuale civile e tributario, diritto dell’Unione europea, economia aziendale e una lingua straniera scelta dal candidato tra inglese, francese, spagnolo e tedesco);
prevede una riserva di posti a favore degli attuali giudici laureati in giurisprudenza o in economia che abbiano maturato almeno sei anni di esercizio della funzione giurisdizionale;
istituisce una magistratura onoraria a cui non possono partecipare gli attuali onorari togati che decida, in composizione monocratica, per le cause minori, quelle di valore fino a tremila euro, fatta salva la possibilità di ricondurre alla decisione collegiale le cause che si connettano ad altre che andrebbero comunque decise dal collegio;
stabilisce, si tratta di regime temporaneo assolutamente necessario per garantire il buon funzionamento della fase transitoria, che i giudici onorari togati con più di quattro anni di esercizio della funzione e con i requisiti per far parte delle commissioni di secondo grado, possano optare o per la definitiva assegnazione, mediante procedura di selezione, ai ruoli della magistratura tributaria con assegnazione alle Corti di Appello tributarie o, con la medesima destinazione, per la collocazione fuori ruolo per un periodo minimo di quattro anni, con conservazione delle progressioni di carriera secondo la disciplina dell’ordinamento di provenienza. (il concorso è previsto solo per il primo grado);
dispone che i magistrati che hanno vinto il concorso debbano essere destinati a collegi in composizione mista con gli attuali giudici tributari;
prevede, sull’assunto che sia non solo inutile ma anche controproducente tenere in vita commissioni che sono destinatarie di un flusso di ricorsi particolarmente esiguo, la revisione degli organici, con possibilità di accorpare commissioni tributarie (che diventeranno tribunali) della stessa regione;
introduce la possibilità per i nuovi giudici tributari di accedere ad una sezione specializzata della Cassazione, istituita dalla legge, il tutto previa valutazione positiva del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) in un contesto in cui sarà comunque garantita ai giudici di Cassazione, a tutela del principio dell’unicità della giurisdizione di legittimità, la maggioranza dei componenti e la possibilità di esprimere il presidente della sezione;
non dimentica la necessità di riformare il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (CPGT) avendo a riferimento le regole di funzionamento del CSM;
prevede la fissazione di criteri di produttività dei giudici da parte del CPGT, che andranno fatti rispettare dai presidenti, e l’obbligo di formazione continua.
Si tratta di progetto di riforma che si fonda sul seguente assunto: il livello qualitativo delle sentenze delle commissioni tributarie non è complessivamente adeguato in ragione delle carenze tecniche degli attuali giudici[3]. Tale inadeguatezza induce le parti all’impugnazione delle sentenze con conseguente accumulazione delle controversie di fronte alla Suprema Corte (cinquantamila circa oggi su un totale di centoventimila cause civili). Quest’ultima pertanto non riesce a svolgere al meglio la funzione nomofilattica, il che genera, in un loop perverso, disorientamenti e incertezze nei giudici di merito e dunque un ulteriore peggioramento della qualità delle pronunce (e un incremento dell’incentivo ad impugnarle), tanto da rendere periodicamente necessario il varo di provvedimenti definitori che non riescono, ovviamente, a interrompere il descritto circolo vizioso[4].
La riforma strutturale di cui abbisogna il processo è quindi quella del giudice perché solo in tal modo si può pensare di risolvere alla radice gli evidenziati problemi. Nella prospettiva della necessità del miglioramento della qualità delle sentenze non ci sono altre strade che quella di prevedere un concorso che verifichi, con rigore selettivo, la conoscenza della materia che quel giudice deve applicare dedicandosi alla funzione a tempo pieno e potendo contare su una remunerazione non determinata dal Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), come oggi accade[5] e analoga a quella dei magistrati ordinari (si sdrammatizza in questo modo la questione della dipendenza delle strutture organizzative degli organi giudicanti dall’anzidetto Ministero dell’economia e delle finanze)[6].
È tuttavia importante che quel giudice non si occupi delle cause minori anche perché, altrimenti, si finirebbe per svilirne il ruolo, oltretutto incrementando inutilmente il numero dei giudici necessari e quindi i costi della riforma.
Né un progetto di tale portata può essere messo in discussione sull’assunto che dando ad esso seguito non si valorizzerebbero le attuali professionalità, atteso che: i) agli attuali membri laici delle Commissioni tributarie saranno riservati, come si è visto, i giudizi aventi ad oggetto le cause minori; ii) i concorsi saranno inevitabilmente scaglionati del tempo, dovendo accompagnarsi il varo degli stessi al ripensamento degli organici; iii) i nuovi giudici dovranno lavorare in collegi misti; iv) per gli attuali giudici si è pensato a una riserva di posti nel concorso.
D’altra parte, non è sfuggita agli estensori della proposta la necessità di garantire fin da subito il miglioramento qualitativo del secondo grado di giudizio: di qui la previsione di un meccanismo transitorio [vd. supra, sub viii) dell’elenco dei punti salienti della proposta] assai simile a quello individuato, come unica modifica veramente di rilievo, dai sostenitori della prima opzione.
2. Pur avendo la cosiddetta opzione 2 riscosso un generale consenso[7], non sono mancate le critiche: è su di esse che occorre soffermarsi per vagliarne consistenza e fondatezza.
Le prime, di ordine pratico, si connettono alla prefigurata lentezza delle ipotizzate procedure concorsuali. La riscrittura delle regole si inserisce, quale riforma di sistema, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), sicché, si è sostenuto, non ci sarebbero i tempi per l’implementazione di un disegno riformatore così ambizioso e così difficile da realizzare[8].
Si tratta tuttavia di osservazioni facilmente smarcabili, in considerazione del fatto che gli evocati problemi possono essere risolti attraverso la previsione di una fase transitoria ben congegnata che consenta di contemperare le esigenze dell’urgenza con quelle collegate all’ineludibile necessità di addivenire ad una riforma strutturale del processo, che, come si è visto, dal ripensamento dello status del giudice non può prescindere[9].
Vi sono poi le critiche di ordine culturale.
Sotto un primo punto di vista si è evidenziato che la scelta professionalizzante esporrebbe il giudice alla «ghettizzazione», ne esalterebbe l’autoreferenzialità, lo indurrebbe alla separatezza corporativa. Si tratta di rischi che non si correrebbero utilizzando i togati che provengono dalle altre magistrature (soprattutto, quindi, gli ordinari), i quali, grazie alla sensibilità giuridica derivante dal «tempo e dalla temperie della esperienza giurisprudenziale e dalla correlata parallela attività di auto/etero formazione permanente», garantirebbero meglio di qualsiasi altro la capacità di padroneggiare una materia tipicamente di secondo grado come il diritto tributario, la quale richiede «un background costituito dalle altre materie giuridiche fondamentali (diritto amministrativo, diritto civile, diritto penale) e, per le principali imposte erariali, dalle discipline contabili»[10]. Categorico, a sostegno di questa prospettiva, Consolo: la seconda opzione, secondo l’illustre Autore, finirebbe «con il forgiarsi in termini non meramente specialistici quanto indesiderabilmente appartati e poco dialogici con il complessivo judicial process nazionale. Si darebbe quindi vita a un repentino e forse non qualificatissimo corpo di neofiti giudiziali, financo in appello»[11].
Si tratta di affermazioni sicuramente suggestive che, tuttavia, non possono essere condivise per le seguenti ragioni.
In primo luogo esse faticano a stare in piedi da un punto di vista logico, risolvendosi in un’evidente aporia, quella secondo la quale per migliorare un giudice speciale, quello tributario, che tale dovrebbe rimanere[12], andrebbero scelti o un giudice non speciale o un diverso giudice speciale[13]. Se si porta alle estreme conseguenze la tesi della «superiorità» dei giudici ordinari (o degli altri speciali professionali), si dovrebbe alla fine optare per un’altra soluzione, quella dell’assorbimento della giurisdizione tributaria in quella ordinaria o in altra speciale: visto che «il tempo e la temperie dell’esperienza giurisprudenziale» attribuiscono ai togati la capacità di decidere anche in una materia che, più di altre, è «poliedrica» e, proprio per questo, ontologicamente complessa[14], perché non optare decisamente per la creazione di sezioni specializzate tributarie all’interno delle altre magistrature che già esistono?
In secondo luogo, e con riferimento al rischio dell’autoreferenzialità del futuro giudice professionale tributario da concorso, non si può non rilevare: i) che tale rischio riguarda ogni giudice speciale (e, a ben vedere, la recente cronaca ne dà piena conferma, anche il giudice ordinario); ii) che «l’art. 111 Cost.» – lo ha evidenziato Gallo – «riconduce a identità il rapporto fra giudice speciale e giudice ordinario a livello di giudizio di legittimità, quando configura espressamente il ricorso per cassazione come un rimedio esperibile contro le decisioni di qualunque giudice, sia speciale che ordinario»[15].
In terzo luogo, l’aspetto forse decisivo. La tesi che si pone alla base della proposta più conservatrice rispetto agli assetti esistenti è il frutto della sottovalutazione, per certi versi clamorosa, della necessità, a fronte delle cause che abbiano ad oggetto i tributi, della cultura speciale della giurisdizione. Orientarsi nella obbligazione tributaria richiede, lo ha ben rilevato anche Marcheselli[16], un articolato complesso di conoscenze che sono completamente estranee alla formazione del giurista generalista, del civilista, dell’amministrativista, del cultore della contabilità di stato: è infatti necessaria, per decidere nella materia in modo adeguato, una conoscenza non superficiale delle discipline economico-aziendali e delle valutazioni di bilancio senza la quale la comprensione dei principi e delle regole disciplinanti la tassazione delle attività economiche è destinata a rimanere precaria e insufficiente[17].
Insomma, occorre prendere atto che il diritto tributario non si impara facendo, ma si apprende innanzitutto studiando, e che ciò vale anche per coloro che, immersi nell’esperienza giurisprudenziale, si ritengono più adatti a governare il profilo processuale di questo settore del diritto[18].
D’altra parte, quale valenza può attribuirsi alla vaghissima nozione di «cultura generale della giurisdizione» a fronte della necessità di decidere in merito alle regole civilistico-fiscali che disciplinano, per esempio, la variazione delle rimanenze nel reddito di impresa? L’esperienza giurisprudenziale in altri ambiti del diritto consente di capire, per continuare nell’esempio, il motivo per cui dall’accertata sopravvalutazione del magazzino non possono trarsi le stesse conseguenze in termini di calcolo dei ricavi sottratti a tassazione che si fanno derivare dalla sua sottovalutazione? Come si può spiegare una decisione[19] come quella che ha ritenuto operante la presunzione di distribuzione ai soci degli utili anche in presenza di costi non inerenti sostenuti dalla società? Il vero è che manca spesso nel giudice tributario, proprio per le modalità del reclutamento, quella cultura speciale che solo un concorso in cui bisogna dimostrare di conoscere il diritto tributario (anche sostanziale!) è in grado di garantire al meglio.
Le dotte disquisizioni dei sostenitori della prima opzione, le suggestioni, i «colpi d’ala» non riescono minimamente a scalfire l’assunto di fondo, tristemente ovvio (ma per certi versi la battaglia per il giudice tributario professionale è una battaglia per l’ovvio), da cui muovono i sostenitori della seconda opzione: il giudice deve conoscere la materia che è chiamato a giudicare[20].
Da ultimo quel che più dovrebbe rilevare e cioè a dire le obiezioni, per la verità timidissime, in merito alla costituzionalità del disegno riformatore.
Esse si fondano, per quel che concerne lo status dei giudici, sul divieto di snaturamento degli organi giudicanti promanante dall’art. 102, secondo comma, Cost., snaturamento a cui, in tesi, indubbiamente si assisterebbe a fronte di giudici selezionati non più per titoli ma a seguito di procedura concorsuale, giacché in tal modo si giungerebbe alla creazione di un nuovo ordine di magistrati che si affiancherebbe a quelli dei giudici amministrativi, contabili e militari, specificamente individuati nell’art. 103 Cost. così modificando, senza che ve ne siano gli spazi di ordine costituzionale, la complessiva architettura della giurisdizione[21].
Si tratta di interpretazione, abbiamo già avuto modo di evidenziarlo[22], frutto del fraintendimento dell’ordinanza n. 144 del 1998 del Giudice delle leggi, laddove la Corte costituzionale ha avuto modo di sostenere che «la modifica mediante ampliamento della competenza delle commissioni tributarie non vale a far ritenere nuovo il giudice tributario in modo tale da ravvisarsi un diverso giudice speciale, in quanto è rimasto non snaturato né il sistema di estrazione dei giudici (anzi migliorato dal punto di vista dei requisiti di idoneità e di qualificazione professionale e delle incompatibilità), né la giurisdizione nell’ambito delle controversie tributarie, anche se riconfigurata mediante una soluzione unitaria ed aggiornata con la previsione di imposte locali in aggiunta a quelle statali con l’adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile». Ed infatti, se è pacifico che il concorso per esami stravolgerebbe il sistema di reclutamento, è altrettanto indiscutibile che si tratta di scelta che lo migliorerebbe dal punto di vista dei ricordati requisiti di idoneità e qualificazione professionale: le modifiche incompatibili con la Costituzione sono altre, quali per esempio la decisione di consentire l’accesso alla magistratura tributaria ai diplomati o ai laureati in qualsiasi disciplina. A ciò si aggiunga che se si condivide la tesi della «incostituzionalità del concorso», si finisce per sostenere che dalla Carta fondamentale dovrebbero desumersi dei limiti alla qualificazione professionale dei giudici tributari, non tollerandosi a livello di sistema che costoro siano particolarmente preparati per aver superato una prova volta a verificare la conoscenza del diritto tributario e per essersi dedicati successivamente in modo esclusivo all’esercizio della funzione giurisdizionale[23].
Più problematico è il profilo attinente all’accesso dei giudici professionali da concorso alla sezione specializzata della Corte di Cassazione istituita per legge nel presupposto che, in tal modo, verrebbe garantita la miglior specializzazione anche dei supremi giudici senza contravvenire al principio di unicità della giurisdizione di legittimità (visto che il «passaggio» infatti dovrebbe essere subordinato alla valutazione positiva del Consiglio superiore della magistratura e la maggioranza dei componenti della sezione e la presidenza dovrebbero comunque restare appannaggio dei giudici di Cassazione non provenienti dai ranghi della magistratura tributaria).
Da più parti, sul punto, sono stati avanzati dubbi di costituzionalità, che sembrano tuttavia superabili perché, come ha correttamente rilevato Gallo, tale soluzione trova supporto sia nell’art. 111, settimo comma, Cost., il quale «riconduce a identità il rapporto tra giudice speciale e giudice ordinario a livello del giudizio di legittimità, quando configura il ricorso per cassazione come un rimedio esperibile contro le decisioni di qualunque giudice, sia speciale che ordinario», sia nell’art. 102, secondo comma, Cost., il quale prevede che possono istituirsi “presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”». Ora, se possono entrare nelle sezioni specializzate cittadini estranei alla magistratura, tanto più dovrebbero poter accedere magistrati che, per aver superato un concorso, sono equiparabili ai giudici ordinari. È il caso peraltro di evidenziare che c’è un importante, anche se risalente, precedente nella giurisprudenza della Corte costituzionale a conferma della fondatezza di una siffatta esegesi: intendo riferirmi alla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1983, la quale, nel respingere la censura attinente alla mancata previsione di una sezione specializzata presso la Corte di Cassazione, composta da magistrati di cassazione e magistrati militari, ha statuito che «basta […] por mente alla formulazione dell’art. 102, capoverso, secondo periodo, Cost., per rendersi conto che, in armonia con il disposto dell’art. 108, primo comma, Cost. l’istituzione presso gli organi giudiziari ordinari di “sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini estranei alla magistratura”, è rimessa alla scelta discrezionale del legislatore, al qual soltanto spetta di valutare l’opportunità di istituire per specifiche materie siffatte sezioni specializzate, determinandone la composizione»[24].
Un percorso di carriera completo, quindi, che contribuirebbe a rendere particolarmente attrattivo il ruolo e la funzione del giudice tributario.
3. Con provvedimento dei Capi di gabinetto del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Economia delle Finanze del 23 febbraio 2022 è stato istituito un gruppo tecnico operativo «avente il compito di predisporre uno schema normativo per la riforma della Giustizia tributaria» da consegnare ai ministri entro il 15 aprile 2022.
La riforma della giustizia tributaria vedrà quindi ben presto la luce. L’auspicio, sulla scorta di quanto in precedenza detto, è che si arrivi finalmente alla riscrittura delle regole sul reclutamento del giudice tributario, in modo da far sì che anche nel diritto tributario le controversie siano decise da un giudice vero e proprio, speciale, professionale, la cui conoscenza della materia sia attestata dal superamento di un concorso.
In ogni caso, se anche si optasse per una scelta volta a perpetuare l’esistente, non si potrebbe che prendere atto che dopo questo anno di intenso dibattito la situazione non sarà comunque più la stessa: lo stato di malessere che ha avuto modo di manifestarsi consegna infatti gli attuali giudici ad un contesto tutt’altro che semplice e alla lunga non sostenibile, quello in cui si trova chi vede il suo ruolo e la sua credibilità messi in discussione con toni netti e decisi dalla grande maggioranza degli studiosi e degli operatori del settore.
(*) Contributo, con aggiornamenti sia nel testo che nelle note, destinato al volume dedicato agli Atti del Convegno di Messina del 25 ottobre 2021, Verso la riforma della giustizia tributaria, a cura della prof.ssa Maria Vittoria Serranò.
[1] Vd. relazione finale disponibile nel sito del Ministero della Giustizia, per l’opzione 1, p. 142 e s., per l’opzione 2, p. 100 e s.
[2] La scelta di limitare il concorso ai soli laureati in giurisprudenza si giustifica in ragione del fatto che nel progetto della componente accademico-professionale si prevede anche l’accesso, ma vd. infra, amplius, nel testo dei giudici tributari da concorso alla Sezione tributaria, da istituirsi per legge, della Corte di Cassazione.
[3] Osservava perentoriamente F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, IV ed., 2017, p. 9, che «il problema dell’indipendenza dei giudici tributari è stato posto, ed è tuttora da porre, in termini di idoneità tecnica», non mancando tuttavia di ricordare (ibid., nt. 23) che la Corte costituzionale nella sentenza n. 154 del 7 giugno 1984 non ritenne fondata la questione di costituzionalità sull’idoneità tecnica dei magistrati tributari, per cui era sufficiente un diploma di istruzione secondaria, perché «entro la massa dei diplomati in questione» era attuata, secondo la Corte, una «responsabile» selezione preliminare alla nomina. D’altra parte (p. 10), e qui Tesauro si interroga sulla compatibilità del giudice così reclutato con le regole del giusto processo, «se una giurisdizione può essere esercitata anche da giudici onorari, è difficile ammettere che possa essere esercitata solo da giudici onorari».
Concordano sulla necessità del concorso per esami anche F. Moschetti, Il nuovo processo tributario: una riforma incompiuta, in L. Tosi e A. Viotto (a cura di), Il nuovo processo tributario, Padova, 1999, p. 13, il quale osservava che «un aspetto di “incompiutezza” su cui siamo sempre più tutti d’accordo è quello legato alla mancanza di un giudice tributario professionale e selezionato secondo criteri che sono richiesti per entrare nella magistratura civile, penale o amministrativa. Perché mai nella materia tributaria non ci deve essere l’affidamento della giustizia ad un giudice vero e proprio? Perché devono continuare ad esistere giudici tributari per la scelta dei quali non è richiesta alcuna prova che attesti la conoscenza del diritto tributario?»; P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, p. 15, il quale, come Tesauro, paventa il conflitto dell’attuale giudice tributario con le regole del giusto processo: «[…] riteniamo lecito dubitare di tale legittimità dal momento che il D.lgs. n. 545 del 1992 si è limitato ad introdurre un apposito organo di autogoverno … senza prevedere lo strumento concorsuale in tema di reclutamento dei componenti delle commissioni tributarie e, soprattutto, perseverando nel configurare i medesimi quali veri e propri giudici onorari»; A. Giovannini, Giurisdizione ordinaria o mantenimento della giurisdizione tributaria?, in Dir. prat. trib., n. 5, 2016, p. 1917 (l’Autore, per il vero, ritiene preferibile, in prima battuta, la soluzione della devoluzione della giustizia tributaria a quella ordinaria); F. Amatucci, Le principali criticità del contenzioso tributario alla luce del principio del giusto processo, in F. Amatucci (a cura di), Diritto processuale tributario. Aspetti innovativi e criticità del contenzioso, Torino, 2020, p. 10; F. Gallo, La “Sezione tributaria” della Corte di Cassazione e la crisi della giustizia tributaria, in Rass. trib., n. 1, 2020, p. 13 e s; M. Basilavecchia, La riforma del giudice e del processo tributario, in Rass. trib., n. 1, 2020, p. 56; F. Pistolesi, Il processo tributario, Torino, 2021, p. 8; Id., Spunti per la riforma della giustizia tributaria nella relazione della Commissione interministeriale del 30 giugno 2021, in www.giustiziainsieme.it, 20 luglio 2021; C. Buccico e F. Mastrantonio, Natura, struttura e fonti del processo tributario, in A. Carinci e C. Rasia (a cura di), Il processo tributario, Milano, 2020, p. 15; E. De Mita, Giudici professionisti nel contenzioso fiscale anche nel nome del Pnrr, Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2021; G. Ragucci, Perché riformare la giustizia tributaria è un investimento. Non bastano piccoli aggiustamenti, serve un cambiamento strutturale e una nuova magistratura, Il foglio, 25 agosto 2021; A. Giovanardi, Verso il giudice professionale tributario: per una vera riforma serve specializzazione, Il foglio, 7 luglio 2021.
Si sono pronunciati a favore del varo di un giudice tributario professionale da concorso nel corso dei lavori della Commissione oltre a Franco Gallo e Cesare Glendi, auditi dalla Commissione, il Consiglio Nazionale Forense (anche se successivamente lo stesso CNF pare avere modificato la propria posizione, cfr. audizione del consigliere Arturo Pardi avanti le Commissioni riunite Giustizia e Finanze del 15 marzo 2022), l’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, l’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani, il Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, l’Associazione Magistrati Tributari, l’Osservatorio Permanente della Giustizia Tributaria, l’Associazione Italiana dei Professori e degli Studiosi di Diritto Tributario, Confindustria e l’American Chamber of Commerce in Italy (emanazione dell’U.S. Chamber of commerce, la Confindustria americana), la quale ha sostenuto nel position paper depositato che la riforma del giudice tributario renderebbe più competitivo il nostro Paese.
Successivamente ai lavori della Commissione della Cananea: la Commissione finanze della Camera dei deputati ha approvato, il 12 ottobre 2021, risoluzione in cui impegna il governo «a prevedere, all’interno della riforma della giustizia tributaria, l’affidamento delle controversie ad un giudice speciale tributario, a tempo pieno e nominato previo concorso pubblico, valutando l’opportunità di inserire una riserva di posti in favore di tutte le professionalità attualmente impegnate nelle Commissioni tributarie». Il 28 ottobre 2021 il CNEL ha licenziato un disegno di legge delega (ddl 42) sulla riforma dell’ordinamento della giustizia tributaria in cui si prevede l’istituzione del «ruolo dei Giudici Tributari, con status giuridico ed economico identico a quello dei magistrati ordinari di merito» e la «disciplina del concorso pubblico per esami scritti e orali per l’accesso al ruolo dei Giudici Tributari, modellato su quello del concorso per uditore giudiziario, con previsione di specifiche prove di diritto tributario e sull’economia, la contabilità e il bilancio aziendali».
[4] Si tratta di posizione condivisa anche dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio, il quale ha avuto modo di affermare, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2022 (21 gennaio 2022), che «a fine 2020, le pendenze complessive dei giudizi civili in cassazione erano 120.473, di queste ben 53.482 in materia tributaria. A fine 2021 le pendenze complessive dei giudizi civili in cassazione erano 111.241, di queste ben 47.364 in materia tributaria». Si tratta di contenzioso di grande rilevanza economica (nel 2021 il valore delle cause trattate dalla sezione tributaria della Corte ha superato i 9 miliardi di euro), circostanza questa che ha indotto il Primo Presidente a rilevare che vi è «un larghissimo consenso sulla necessità di riformare la giustizia tributaria affidandola a giudici che la trattino a tempo pieno, mentre oggi per i componenti delle Commissioni (a cominciare dai magistrati che sono circa 1.450) è un secondo lavoro. Sarebbe un passaggio cruciale». Di qui le conclusioni: «una riforma reale della giustizia tributaria è forse l’atto più di ogni altro in grado di incidere sui problemi del giudizio di legittimità, riequilibrando il vertice del sistema giudiziario». Sull’«impressionante ed inaccettabile quantitativo di ricorsi relativi a giudizi che si svolgono dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione» e più in generale sui tempi del processo e sulle questioni connesse al breve tempo di permanenza dei giudici nella Sezione tributaria cfr., da ultimo, R. Succio, Brevissime osservazioni sulla relazione della Commissione della Cananea per la riforma del processo tributario, in www.giustiziainsieme.it, 20 luglio 2021.
[5] Cfr. art. 13 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545.
[6] La dipendenza delle commissioni tributarie dal MEF è generalmente considerata quale punto particolarmente critico della giurisdizione tributaria, per effetto delle conseguenze di tale assetto organizzativo sull’indipendenza del giudice. Sul punto cfr., senza pretesa di completezza, F. Gallo, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., n. 1, 2003, p. 11; F. Tesauro, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., n. 1, 2006, p. 314; G. Marongiu, Le commissioni tributarie da giudice specializzato a giudice togato: una proposta”, in Dir. prat. trib., n. 4, 2009, p. 10801; A. Marcheselli, La (in)dipendenza del giudice tributario italiano nella lente della CEDU, in Dir. prat. trib., n. 2, 2013, p. 1-387; M. Damiani, E’ compatibile la disciplina del processo tributario con la CEDU?, in Giur. trib., n.1, 2015, p. 46; A. Lamorgese, La giustizia tributaria. Introduzione all’obiettivo, in Questione Giustizia, n. 3, 2016, p. 7; C. Glendi, La riforma della giustizia tributaria, in Il Corriere giuridico, n. 7, 2019, p. 877; C. Buccico e L. Letizia, Verso la riforma della giustizia tributaria nella prospettiva della terzietà e imparzialità del giudice, in Giur. imp., n. 4, 2019, p. 264.
Con riferimento ai contenuti della proposta, non colgono la rilevanza del riconoscimento di una remunerazione determinata per legge e analoga a quella dei giudici ordinari, A. Calzolari e D. Spaggiari, I molteplici profili di incompatibilità con la CEDU del progetto di riforma della giustizia tributaria, in L’accertamento, n. 6, 2021, p. 63-64, i quali ritengono che anche il varo del giudice professionale da concorso non modificherebbe minimamente la situazione per quel che riguarda la compatibilità della disciplina del processo con la CEDU.
[8] Questa la posizione da ultimo sostenuta anche dal Comitato Intermagistrature nell’audizione avanti le Commissioni giustizia e finanze riunite tenutasi il 1o marzo 2022, il quale ritiene che la corretta soluzione sia quella di riservare l’esercizio della funzione giurisdizionale esclusivamente ai magistrati togati in servizio nelle diverse magistrature, con la conseguenza che il giudice tributario non eserciterebbe mai le sue funzioni a tempo pieno.
Nel senso che i tempi brevi del PNRR non consentirebbero una riforma strutturale che si imperni sul giudice professionale anche M. Greggi, Verso la professionalizzazione del giudice tributario?, in lavoce.info, 14 maggio 2021.
[9] Ne prende atto anche chi si pone in modo critico nei confronti della proposta. Intendo riferirmi ad A. Marcheselli, Aspettando Godot. Note minime e minoritarie a margine della proposta di riforma della Giustizia tributaria, in www.giustiziainsieme.it, 8 luglio 2021.
[10] Così la relazione illustrativa alla c.d. prima opzione, Relazione Commissione della Cananea, cit., p. 147.
[11] C. Consolo, Un colpo d’ala per una moderna affidabile giustizia tributaria, in www.giustiziainsieme.it, 28 luglio 2021. Analogamente, E. Manzon, Giustizia tributaria: vanno istituite sezioni speciali nelle commissioni regionali, Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2021.
Di segno diverso rispetto sono le obiezioni di R. Lupi, L’esercizio dei pubblici poteri, il contenzioso e la funzione tributaria, in www.giustiziainsieme.it, 26 luglio 2021, il quale rileva che il diritto tributario non è giunto a un sufficiente grado di evoluzione concettuale da consentire il varo del giudice professionale. Il sapere specialistico tributario non è sufficientemente messo a fuoco, né è consapevole di sé stesso per potervi fondare una quarta giurisdizione.
Si tratta di argomento che è l’esatto contrario di quello di Consolo su cui ci siamo già soffermati: secondo la prima tesi, il giudice tributario è troppo specialista e quindi si ghettizzerà; secondo la tesi di Lupi, il diritto tributario è troppo poco specialistico, tanto che si adottano prevalentemente approcci esplicativi di tipo privatistico-giurisdizionale o sociologico-economicistici, perché si possa pensare a un giudice professionale.
[12] Sulla specialità della giurisdizione tributaria cfr. il recente lavoro di C. Glendi, La “speciale” specialità della giurisdizione tributaria, in A. Guidara (a cura di), Specialità delle giurisdizioni ed effettività delle tutele, Torino, 2021, p. 414 e s.
[13] Per la verità C. Consolo, Un colpo d’ala per una moderna affidabile giustizia tributaria, cit., lo ha capito, tanto che cerca di uscire dall’impasse proponendo che il grado di appello sia devoluto alle sezioni specializzate imprese delle Corti d’Appello (resta che il primo grado rimane devoluto alle commissioni tributarie, con la conseguenza che assisteremmo al varo di un giudice speciale dimidiato).
[14] Relazione illustrativa alla c.d. prima opzione, Relazione Commissione della Cananea, cit., p. 147.
[15] Così F. Gallo nella relazione depositata nel corso dell’audizione avanti la Commissione della Cananea e alla relazione della Commissione allegata, cit., p. 49, poi pubblicata anche in Rss. trib., n. 3/2021, p. 755 e s.
[16] A. Marcheselli, Aspettando Godot. Note minime e minoritarie a margine della proposta di riforma della Giustizia tributaria, cit.
[17] Rilevava già nel 1988 F. Tesauro, A proposito di riforma del contenzioso tributario, in Rass. trib., 1988, p. 436 che «al fondo della crisi odierna del processo tributario vi è dunque questa sfasatura tra ciò che le commissioni sono in grado di fare e ciò che deve essere in grado di fare il giudice del diritto tributario di oggi; vi è una sfasatura, potremmo dire, tra la riforma del diritto tributario sostanziale, che va nella direzione che ho indicato, e la non riforma delle commissioni tributarie».
[18] Cfr. sul punto A. Giovanardi e M. Antonini, Per un giudice tributario togato a tempo pieno. Se non ora, quando?, in Il fisco, 2021, p. 3054, i quali rilevano, con riferimento alla tesi della ghettizzazione, che «si tratta di enunciazione sicuramente suggestiva, che però mostra tutta la sua inconsistenza a fronte di un’ovvia presa d’atto: esiste un principio, logico ancor prima che giuridico, secondo il quale il giudice (ma vale, mutatis mutandis, per ogni campo dell’esperienza umana, dalla medicina, all’ingegneria, dalla chimica all’informatica, etc.) dovrebbe conoscere con assoluta certezza (e non in ragione di una sua assiomatica superiorità) la materia su cui deve decidere, certezza che, a livello di sistema e ponendosi nella prospettiva del legislatore, può essere raggiunta in un modo soltanto, condizionando l’accesso alla magistratura a un concorso che preveda tra le materie d’esame anche il diritto tributario e imponendo l’impegno esclusivo e la formazione permanente (espressamente prevista nella proposta)».
[19] Cass., Sez. VI, ord. 12 novembre 2020, n. 25501.
[20] A nulla servirebbe il raggiungimento di questo obiettivo per A. Calzolari e D. Spaggiari, I molteplici profili di incompatibilità con la CEDU del progetto di riforma della giustizia tributaria, cit., p. 64: ed infatti, secondo gli Autori, non deve passare il messaggio secondo il quale l’elevato grado di preparazione del giudice (e la sua remunerazione prestabilita dalla legge, ma sul punto vd. supra, nt. 6) costituisca la primaria garanzia della sua indipendenza, atteso che «la professionalizzazione, con l’aumento della competenza, e la specializzazione, con l’esclusività del vincolo, agiscono semmai sul versante dell’efficienza del processo o sul miglioramento della qualità delle sentenze. Ma ciò, a rigor di logica, accade solo se esiste il prerequisito dell’indipendenza, oltre che dell’imparzialità oggettiva. Se non si interviene per annullare le pressioni che l’attuale organizzazione del processo, che è al tempo stesso espressione del potere esecutivo e parte processuale, è in grado di esercitare e se non si migliora l’apparenza di indipendenza delle Commissioni Tributarie, con la professionalizzazione e la specializzazione si corre il rischio di ottenere un effetto boomerang». Un rischio da correre, mi verrebbe da dire, se si intende partecipare al dibattito ponendosi non come dottori della legge, avulsi dalla realtà, ma sul piano della concretezza, che, ovviamente, mette al centro di ogni progetto di riforma, nell’interesse dei cittadini, proprio il miglioramento della qualità delle sentenze.
Sul fatto che la professionalità e la remunerazione siano elementi indispensabili per assicurare l’indipendenza del giudice, cfr. il recente lavoro di A. Lovisolo, “Osservazioni critiche in merito ai più recenti progetti di riforma della giustizia tributaria” e ai sopravvenuti rischi di una sua involuzione, in C. Glendi (a cura di), La riforma della giustizia tributaria, Milano, 2021, p. 97.
[21] In tal senso P. Serrao D’Aquino, Riforma della giustizia tributaria: profili ordinamentali, anch’essa allegata alla relazione della Commissione interministeriale. Prefigura la violazione dell’art. 102 Cost. anche il Comitato Intermagistrature nella citata audizione del Commissioni giustizia e finanze riunite tenutasi il 1o marzo 2022.
[22] A. Giovanardi e M. Antonini, Per un giudice tributario togato a tempo pieno. Se non ora, quando?, in Il fisco, 2021, p. 3053.
[23] Esclude ogni rischio di incostituzionalità A. Marcheselli, Aspettando Godot. Note minime e minoritarie a margine della proposta di riforma della giustizia tributaria, cit.: «mi pare sostenibile che il limite costituzionale stia più nello stravolgimento dei criteri sostanziali per l’accesso alla giurisdizione che non nei meccanismi formali. Mi pare che tale sarebbe, per fare un esempio di fantasia, per una ipotetica giurisdizione in materia tecnica, prima riservata agli ingegneri, il passaggio a una selezione di soli giuristi. Nel caso di sostanziale mantenimento dei medesimi titoli di accesso, il mutamento del percorso formale di selezione mi pare corrispondere a un concetto di modifica più debole e formale, che riterrei, abbastanza convintamente, compatibile con il disegno costituzionale (che, forse, sarebbe addirittura più compiutamente realizzato)».
Ritiene invece che vi sarebbero significativi problemi di costituzionalità, senza peraltro individuarli, N. Durante, Il giudice tributario che verrà, in www.giustizia- amministrativa.it, luglio 2021, p. 4.
[24] In termini, Corte cost. n. 353/2002 laddove si legge che «l’inserimento di estranei alla magistratura in sezioni specializzate di organi giudiziari ordinari (art. 102, secondo comma, della Costituzione) […] non è, di per sé, incompatibile con la Costituzione e rientra in una valutazione discrezionale del legislatore, con il limite della non manifesta irragionevolezza, […]».
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