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EDITORIALE – AGOSTO 2021 Il “Caso Maradona” e ciò che i sismografi non rilevano (ancora): verso un allargamento dell’oggetto del processo tributario?
Di Alberto Marcheselli -
Abstract
Una controversia circa il diritto del calciatore di fruire degli effetti favorevoli del condono attivato dalla società calcistica e la sua facoltà di intervenire nel processo tra quest’ultima e il Fisco è l’occasione per formulare qualche considerazione critica su portata e limiti dell’intervento di terzo nel processo tributario. L’intervento può essere, in effetti, strumento di razionalizzazione ed economia dei giudizi, oltre che di tutela più efficace del diritto di azione in giudizio, a prezzo di un potenziale allargamento del suo oggetto.
From the decision of the Italian Supreme Court regarding the right of a player to intervene in the process between his own football club and the Revenue Agency, some critical reflections arise on the effects of the intervention in the tax dispute by a taxpayer with an autonomous legal position connected to the controversy at stake.
Sommario: 1. Uno sciame sismico percorre il processo tributario ma i sismografi ancora non lo rilevano. – 2. La vicenda sostanziale e processuale. – 3. I limiti dell’intervento di terzo (autonomo e non dipendente!) nel processo tributario. – 4. Intervento, giusto processo, economia dei mezzi giurisdizionali e un sasso in piccionaia sull’oggetto del processo tributario.
1. La recente decisione sul c.d. caso Maradona (ord. n. 6854/2021, su cui si vedano, tra gli altri, Fedele A., Sostituzione tributaria ed estensione degli effetti del condono, in questa Rivista, 21.4.2021; Albertini F., La Cassazione precisa il fondamento della piena legittimità dell’intervento adesivo dipendente nel processo tributario, ivi, 19 luglio 2021) appare inscriversi in una costellazione di orientamenti della Suprema Corte che sembrano indicare una tendenza di fondo, che ci pare non ancora adeguatamente colta dai commentatori.
Essa appare parente di almeno due altri orientamenti espressi dalla giurisprudenza, in settori del tutto diversi, ma accomunati da una nota di fondo unica. Tali due orientamenti sono quelli, arciconsolidati, relativi alla ammissibilità di una impugnazione dei c.d. avvisi bonari (cioè, non ancora atti impositivi, ma atti che li preannunciano inequivocabilmente) e alla possibilità di far valere in giudizio, indipendentemente dal rispetto delle forme amministrative della richiesta di rimborso le proprie ragioni di credito, quando si resista a una pretesa fiscale della Amministrazione finanziaria (in tema, Cass. SS.UU. 30 giugno 2016, n. 13378, ove si afferma che il contribuente “in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sul’obbligazione tributaria”).
La nota di fondo comune è che la cognizione del giudice tributario potrebbe estendersi oltre alla portata della mera legittimità e fondatezza di un provvedimento, anche fuori dai casi della richiesta di rimborso. Nel primo dei due casi, il provvedimento non c’è ancora, nel secondo, la cognizione va oltre al provvedimento impugnato.
Vediamo perché la decisione Maradona secondo noi si inscrive in questa materia.
2. L’ordinanza in rassegna concerne l’accertamento di un’asserita evasione delle imposte sui redditi relative agli emolumenti di un calciatore, Diego Armando Maradona, che sarebbe stata perpetrata rappresentando come costi per l’acquisto del diritto di sfruttamento dell’immagine dello sportivo, gestita da una società situata all’estero, quelle che, in realtà, sarebbero state componenti della sua retribuzione.
L’Agenzia delle entrate aveva parallelamente agito nei confronti della società calcistica Calcio Napoli, quanto al recupero delle ritenute, e nei confronti del calciatore, per il recupero della imposta.
Mentre gli accertamenti relativi al calciatore divengono definitivi, perché non tempestivamente impugnati, come riconosciuto da sentenza passata in giudicato, la società sportiva, nella fase davanti alla soppressa Commissione tributaria centrale, usufruisce del condono. Il calciatore formula atto di intervento nel giudizio davanti a tale commissione, allo scopo di far riconoscere l’efficacia anche nei suoi confronti del condono, anche ai fini del calcolo della Irpef da lui dovuta.
L’intervento viene respinto e il giudizio dichiarato estinto nei confronti della società.
Il calciatore ricorre per cassazione, impugnando il diniego di intervento (e insistendo perché sia riconosciuta la applicazione anche nei suoi confronti del condono, con gli effetti conseguenti).
Il tema che interessa queste riflessioni concerne l’ampiezza dell’intervento di terzo nel processo tributario.
3. La Corte si interroga, sul punto, sul fatto se, effettivamente, il calciatore avesse un interesse a intervenire nel giudizio relativo alla società. Poiché la società aveva avuto accesso al condono per definizione di lite pendente, la questione diventa se il calciatore sostituito si possa valere del condono della società sostituta.
Sul punto, la Corte osserva che la soluzione positiva sarebbe imposta direttamente ed espressamente dalla legge: l’art. 16, comma 10 l. 289/2002 prevederebbe l’estensione al “coobbligato”, non ostacolata dal fatto che, nei confronti di questo, non sia più pendente alcuna lite: il calciatore potrebbe quindi valersi del condono, in quanto coobbligato solidale, e la presenza di un giudicato a lui sfavorevole (non sul condono ma sul tributo da condonare) non sarebbe, pertanto, ostativa.
Poste queste premesse, la Corte desume, coerentemente, la sussistenza di un interesse del calciatore sostituito a intervenire nel processo pendente tra Agenzia delle Entrate e società calcistica sostituita.
Si tratta di affermazione assolutamente condivisibile e, come si vedrà, fondata su ottime ragioni sistematiche.
Non può tuttavia sottacersi il fatto che tutta la motivazione della decisione (e in parte i commenti relativi, per tutti Albertini F., La Cassazione precisa il fondamento della piena legittimità dell’intervento adesivo dipendente nel processo tributario, cit.) inquadri tale intervento nella fattispecie dell’intervento adesivo dipendente, di cui all’art. 105 c.p.c. comma 2, l’intervento che un terzo fa nel processo, al mero fine di sostenere le ragioni di una delle parti, avendovi interesse (in vista di un ulteriore e connesso diritto proprio dell’interveniente. In tema di intervento e, in particolare, intervento adesivo dipendente nel processo tributario si vedano Chizzini A., Intervento in causa, in Digesto priv., vol. X, Torino, 1993, 17, s.; Consolo C., Spiegazioni di diritto processuale civile, Vol. II, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, 12° ed., Torino, 2019, p. 59; Proto Pisani A., Appunti sul litisconsorzio necessario e sugli interventi, in Riv. dir. proc., 1994, 365, Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, 7; Accordino P., Sull’intervento adesivo nel processo tributario, in questa Rivista, 21.5.2020).
In effetti, tale soluzione mi pare fortemente dubbia. Maradona interviene nel processo non solo per sostenere le ragioni del Napoli calcio (in vista della tutela di un suo interesse, in procedimenti futuri), ma per sentirsi dichiarare, già nel processo ove interviene, che il condono vale anche nei suoi confronti e per vedere rideterminata l’imposta dovuta.
Mi appare chiaro, salvo un abbaglio (che tuttavia mi appare escluso dal tenore inequivoco del punto 20 dell’ordinanza in rassegna), che si tratta, pertanto, di un intervento autonomo (e non dipendente!), per ottenere il riconoscimento di un diritto nei confronti di una delle parti, l’Agenzia delle Entrate, e mi pare chiaro che tale intervento sia pienamente compatibile con una interpretazione sistematica del requisito di “essere parte del rapporto giuridico controverso” di cui all’art. 14, comma 3, d. lgs. 546/1992: la fattispecie impositiva è unica, tra sostituto e sostituito, indipendentemente dalla sussistenza di una solidarietà, come sopra si rilevava.
Nella fattispecie, e in altri consimili, in effetti, viene parzialmente meno, salvo quanto si dirà poco oltre, il tradizionale ostacolo a un intervento autonomo in un giudizio impugnatorio, e cioè il fatto che si tratterebbe di uno strumento potenzialmente in grado di aggirare la necessità di una impugnazione, e di una impugnazione tempestiva, di un atto. Non sussiste alcun ostacolo se l’interveniente sia ancora nei termini per impugnare il suo atto, mentre, quando non vi sia alcun atto da impugnare, non sussiste il pericolo di un aggiramento della decadenza, ma resta da vedere se la lite è proponibile (in assenza di atto impugnabile). Idem, quando, comunque, indipendentemente dalla presenza di un atto da impugnare, l’interveniente potrebbe comunque ottenere un risultato favorevole. Per esempio, quando si tratti di un obbligato solidale, che può valersi, salvo il giudicato proprio contrario, del giudicato ottenuto dall’altro coobbligato (art. 1306 c.c.): in questo caso l’intervento prima della notifica dell’atto proprio rientra esattamente nella ipotesi di impugnazione “anticipata”. Mentre nel caso di intervento dopo la notifica dell’atto proprio, o si è nei termini di impugnazione (e allora non vi è nessun problema), o questi sono decaduti, ma neanche in questo caso esiste il problema dell’aggiramento indebito della decadenza, perché varrebbe comunque il 1306 c.c. che consente di valersi del giudicato altrui anche quando si sia decaduti dal proprio diritto di impugnare. La decadenza, in questa ultima ipotesi, sarebbe superata, ma sulla base di una deroga prevista dalla legge. Problema diverso, che non attiene il tema trattato dal presente lavoro, ma che andrebbe comunque rilanciato a mio avviso, è se sia corretto, più in radice, applicare l’art 1306 c.c. alla materia tributaria, profilo che non convince affatto, atteso che si tratta di norma prevista per rapporti obbligatori di soggetti in posizione paritetica, i privati. Non si vede perché una norma prevista per i rapporti tra privati dovrebbe consentire di porre nel nulla le decadenze amministrative, nei diversi rapporti con la Pubblica Amministrazione, che, evidentemente, non sono per niente considerati dal Codice Civile. (in tema e per il superamento di aporìe meramente apparenti che sembrano talvolta stregare la giurisprudenza, si veda Marcheselli A., Affidamento e buona fede come principi generali del diritto procedimentale e processuale tributario: uno spunto in materia di obbligazioni solidali e plurisoggettività, in Dir. Prat. Trib. 2009, 439 e ss.)
Altra ipotesi ancora è quella in cui ci sia un fatto sopravvenuto, idoneo ad avere una efficacia eventualmente demolitoria di atti precedenti. Nella fattispecie ricorre proprio quest’ultimo caso: il condono della società calcistica vale anche per il coobbligato, persino in presenza di un giudicato sfavorevole al coobbligato. Il calciatore può, quindi, trarre profitto dal condono della società indipendentemente da eventuali decadenze o giudicati e, pertanto, non esiste alcuna remora ad ammettere il suo intervento sotto il profilo di una sua intervenuta decadenza. Egli potrebbe, in tal caso, limitarsi ad intervenire per sentire dare ragione alla società calcistica (e in tal caso il suo intervento sarebbe effettivamente stato adesivo dipendente) ma anche chiedere di sentirsi dare ragione direttamente (e dichiarare efficace il condono e calcolare l’imposta) e in tal caso l’intervento è autonomo. Questa ultima è esattamente la fattispecie di cui al processo.
Resta da osservare che la decisione, come si dirà meglio più avanti, appare comunque di grande interesse in prospettiva perché ammette, comunque, un intervento teso a far accertare un effetto giuridico (la estensione del condono al sostituito), in assenza della impugnazione di un atto: si tratta, evidentemente, di un giudizio che non ha un oggetto impugnatorio, da un lato, e, dall’altro, non concerne la spettanza di un rimborso o altre ipotesi espresse di possibile accesso al giudice tributario. Detto in altri termini, l’ordinanza sembra aprire non solo a un più ampio riconoscimento dell’interesse ad agire in sede tributaria, ma anche a uno stemperamento del carattere necessariamente impugnatorio del processo, anche al di fuori dei casi espressamente previsti.
4. La decisione, in definitiva, fa una applicazione di grande interesse e pregio, sistematico e pratico, dell’istituto dell’intervento nel processo tributario, sia pure al netto di qualche sbavatura motivazionale.
Costituisce ad esempio una sbavatura il fatto che l’ordinanza, per sostenere la soluzione adottata, ne assuma la necessità, affermando che, se il calciatore non potesse intervenire nel giudizio pendente con parte la società, non potrebbe tutelarsi. Tale affermazione, che enfatizza sul piano argomentativo la bontà della soluzione adottata, appare, in realtà, discutibile: se il condono è un fatto sopravvenuto che spiega effetti nei confronti del calciatore (addirittura oltre il giudicato!), perché egli non potrebbe farlo valere autonomamente (opponendosi, ad esempio, ad atti di riscossione o di riattivazione della pretesa nei suoi confronti)? Non è chi non veda, tra l’altro, la contraddizione logica tra la configurazione dell’intervento come mero intervento adesivo dipendente, cioè di mero sostegno di un diritto altrui, da un lato, e la sua prospettazione, all’estremo opposto, addirittura come unico possibile rimedio per la tutela delle ragioni dell’interveniente.
L’intervento, anche se non necessario, sarebbe sicuramente utile e prezioso, per la realizzazione del diritto di azione del calciatore, atteso che ne anticipa la tutela, da un lato, e sarebbe efficiente, dall’altro, anche perché eviterebbe la duplicazione dei giudizi (nel processo in rassegna, addirittura il calciatore, intervenendo davanti alla Commissione tributaria centrale, rinunciava, nella sostanza, a un grado di giudizio, atteso che l’alternativa sarebbe stata formulare un ricorso in primo grado contro gli atti pretensivi o riscossivi successivi).
Si tratta di affermazioni dell’ordinanza che non impattano sulla correttezza della decisione, ma potrebbero creare impasse problematici, traendone principi di diritto, poco condivisibili, in controversie future.
Al netto di queste considerazioni di prospettiva, comunque, la decisione appare di estremo interesse, sia sistematico che pratico, se intesa nella sua portata potenziale complessiva.
Essa, sostanzialmente, conferma che chi ha un interesse personale e concreto connesso a una controversia tributaria pendente tra altri, possa direttamente intervenire in tale processo, anche per ottenere direttamente ragione quanto alla sua situazione giuridica, quantomeno ove insista sulla medesima fattispecie concreta, evitando di instaurare un diverso giudizio.
Tale soluzione appare attuativa, in senso del tutto apprezzabile, dei canoni di efficienza del processo ed economia dei mezzi giurisdizionali, da un lato, e di efficacia nel riconoscimento del diritto di azione.
Sotto il primo aspetto, è vero che si allarga la portata del giudizio pendente, ma tale allargamento è più che compensato dall’evitamento di un successivo contenzioso autonomo, della duplicazione della attività processuale (e dei connessi rischi di disarmonia delle decisioni).
Sotto il secondo aspetto, l’interessato può scegliere di non attendere l’attivarsi di un procedimento nei suoi confronti, attivando immediatamente la tutela.
Si tratta, in definitiva, di un assai apprezzabile interpretazione del requisito dell’interesse ad agire ma che sembra aprire la strada a un allargamento che non è dato ancora comprendere quanto sia ampio, dell’oggetto della cognizione del giudice tributario.
La decisione palesemente ammette la possibilità di introdurre in un processo tributario, attraverso l’intervento, una questione che è a) nuova; b) non correlata alla impugnazione di un provvedimento (da un lato esisteva un provvedimento precedente contro Maradona, che è travolto da un fatto successivo, dall’altro potrebbero sovvenire nuovi provvedimenti, ma essi non sono ancora stati adottati) ancorché connessa a quella oggetto del giudizio in corso.
Si tratta della stessa situazione, strutturalmente, oggetto della sentenza 13378/2016 delle Sezioni Unite (dove si ammette una sorta di possibile riconvenzionale del contribuente che faccia valere sue ragioni di credito all’interno di un processo su una pretesa fiscale), con la differenza che là l’allargamento era consentito al ricorrente, qui addirittura a un terzo.
Tutta da esplorare la questione dei limiti esterni di tale possibile allargamento. Si tratta di una questione complessa che dovrà eventualmente essere affrontata in successivi approfondimenti, auspicabilmente anche di altri autori, cui si lancia una provocazione intellettuale.
Occorre, infatti, evitare che tale allargamento, da fattore di efficienza e concentrazione, si trasformi in fattore di disordine.
A livello di primissima ipotesi, per quanto concerne l’intervento, non sembra valicabile il limite del fatto che la domanda del terzo debba insistere sulla stessa fattispecie, ancorché riguardata sotto l’angolo della posizione giuridica del terzo (esempi: obbligazioni solidali, sostituzione, relazioni tra soci e società per la ricchezza prodotta in forma sociale, ecc.).
Più incerta la questione per le possibilità di allargamento da parte del ricorrente, non essendo chiaro, alla luce della sentenza delle SS.UU, sopra citate, fino a che punto si possano contrapporre alle pretese (quali?) della amministrazione “errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sul’obbligazione tributaria”. Invero, la dizione della sentenza è talmente generale (ed è questo l’aspetto da cui lo studioso curioso e coraggioso deve trovare lo spunto per fare un po’ di sana “ricerca sperimentale”, abbandonando la comoda e poco rischiosa parafrasi di leggi e sentenze!) da consentire di ipotizzare che possa essere opposto un errore che determini un qualsiasi credito del contribuente che sia idoneo a essere compensato con il debito oggetto del processo. Si apre un mare di possibilità, teoriche e pratiche. Per formularne qualcuna, omettendo le letture svalutanti, è ad esempio dubbio se il limite sia quello, per fare le prime ipotesi che si possono formulare, del periodo di imposta (di tal che si potrebbe allargare il giudizio a tutti gli errori intervenuti per la determinazione dell’imposta dell’anno), ovvero della categoria di reddito di tal che si potrebbe allargare il giudizio a tutti gli errori intervenuti per la determinazione dell’imposta su quel tipo di reddito) ovvero della fattispecie oggetto del processo (di tal che si potrebbe allargare il giudizio a tutti gli errori intervenuti per la determinazione dell’imposta ma solo relativamente all’oggetto del processo). Un buon criterio, che avrebbe il pregio di avere una base legislativa, sarebbe quello di ammettere tale facoltà nei limiti in cui è ammessa la compensazione, con il che si crea l’ulteriore interrogativo se in proposito dovrebbe darsi prevalenza alle norme speciali che la regolano, o al principio generale di cui all’art. 8 Statuto del Contribuente.
Tutti temi su cui si invitano i giovani studiosi a confrontarsi, prima di tutto per dimostrare la fallacia dei ragionamenti di queste note – così si fa ricerca ad un tempo seria e divertente e non ossequio e conformismo – a partire dagli accoliti della nostra Rivista.
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