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Sulla eccepibilità della compensazione nei giudizi di rimborso
Di Alessandro Zuccarello -
(commento a /notes to Cass., Sez. Trib., 9 marzo 2021, n. 6395)
Abstract
Con la sentenza in epigrafe la Cassazione ammette per la prima volta che nei rimborsi IVA l’Amministrazione finanziaria possa eccepire la compensazione direttamente in giudizio. Tuttavia, la soluzione, che si ricollega ad un recente arresto delle Sezioni Unite (31 gennaio 2020, n. 2320), prescinde sia dalla presenza dei requisiti della compensazione legale che dalla struttura procedimentale degli artt. 69 R.D. n. 2440/1923 e 23 D.Lgs. n. 472/1997. E dubbia appare la compatibilità della soluzione affermata anche con l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente
On the possibility to object the setoff in refund trials. – With the sentence indicated above, for the very first time the Court of Cassation allows the public Administration to object, in the field of VAT returns, the setoff directly in the trial. However, this statement, related to a recent sentence of United Sections (n. 2320 of 31 January 2020), disregards both the conditions for legal setoff and the structure of articles 69 R.D. 2440/1923 and 23 D.Lgs. 472/1997. Furthermore it is doubtful whether this solution agrees with article 8 of the Statute of taxpayer’s rights or not.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso deciso. – 3. La compensazione presupposta dalla Cassazione. – 4. Il raffronto con la compensazione legale. – 5. (segue): e con le altre tipologie di compensazione. – 6. Il preferibile inquadramento della compensazione nella vicenda in esame.
1. La sentenza in epigrafe aderisce alla recente presa di posizione delle Sezioni Unite in tema di rapporti tra le misure di garanzia nell’imposta sul valore aggiunto, espressa dalle Sezioni Unite con la sentenza 31 gennaio 2020, n. 2320 (sul punto si veda Zanotti N., Alternatività o cumulatività delle misure cautelari nei rimborsi IVA, in Dir. prat. trib., 2021, 1, 413 ss.): ne propone, però, un singolare ed innovativo sviluppo, su cui si vuole in questa sede richiamare l’attenzione.
Si ricorda che l’intervento delle Sezioni Unite è stato decisivo nell’affermazione della alternatività tra le misure di cui all’art. 38-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e quelle disciplinate dagli artt. 69 R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e 23 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con la conseguenza che l’adozione dell’una esclude l’altra. Si è così ricondotto ad unità quel dibattito giurisprudenziale che aveva portato ad affermare, in materia di rimborsi IVA, ora la esclusiva applicazione della garanzia prevista dall’art. 38-bis D.P.R. n. 633/1972 (cfr. ex multis Cass. 8 novembre 2018, n. 28839; Id. 31 gennaio 2019, n. 2893), ora anche l’ammissibilità di misure di cautelari diverse dalla garanzia di cui all’art. 38-bis D.P.R. n. 633/1972 (cfr. ex multis Cass. 31 ottobre 2017, n. 25893; Id. 15 gennaio 2019, n. 4018) o addirittura l’implicita abrogazione dell’art. 38-bis D.P.R. n. 633/1972 per opera dell’art. 23 D.Lgs. n. 472/1997 (cfr., ad esempio, Cass. 26 marzo 2013, n. 7630; Id. 28 agosto 2013, n. 19755).
2. La vicenda da cui prende le mosse la sentenza in commento si colloca proprio nell’area dei rimborsi IVA. Più precisamente, la contribuente, cessionaria di un credito IVA, presentava una istanza di rimborso. In sede di impugnazione del silenzio-rifiuto l’Amministrazione eccepiva un credito verso la contribuente di cui non indicava l’esatto ammontare. Il ricorso veniva accolto e l’eccezione rigettata; l’Amministrazione proponeva quindi appello “reiterando” l’eccezione ed indicando, solo in questo momento, il preciso ammontare del credito. I giudici di secondo grado escludevano la possibilità di portare in compensazione dei crediti estranei all’originario “thema decidendum” e rigettavano l’appello. L’Amministrazione proponeva quindi ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, rifacendosi al precedente delle Sezioni Unite di cui si è detto, considera senz’altro ammissibile l’operatività della sospensione dei rimborsi nell’ambito dell’IVA. Sennonché, si badi bene, nel caso di specie (a differenza del precedente) nessun provvedimento del genere era stato adottato. Ciò nonostante, la Corte afferma la eccepibilità della compensazione in sede di impugnazione avverso i dinieghi di rimborso e, considerando tempestiva l’eccezione, accoglie il ricorso.
La Corte di Cassazione porta, per così dire, alle estreme conseguenze la statuizione delle Sezioni Unite, il salto logico, però, è evidente. Dalla alternatività tra le misure di garanzia si giunge ad affermare la alternatività tra fermo strumentale alla compensazione ed eccezione di compensazione. Non si tiene conto, per questa via, delle differenze fra le varie figure di compensazione né della compatibilità della relativa eccezione con l’oggetto del processo tributario. E non può neppure trascurarsi il potenziale impatto sulla prassi (e sui processi) della pronuncia in commento: non è da escludere, infatti, che in futuro l’Amministrazione finanziaria nei giudizi di rimborso si limiti ad eccepire la compensazione sic et simpliciter, senza cioè aver disposto alcunché in via amministrativa.
Da queste premesse muovono le veloci considerazioni che seguono con l’intento di fare chiarezza sia sulla fattispecie di compensazione operante nel caso in esame, sia sulla compatibilità della relativa eccezione con l’oggetto del processo tributario.
3. Vi è da dire, sin da subito, che la compensazione tributaria si presenta come una sorta di microcosmo. La sua disciplina è costituita da un dedalo di disposizioni normative, figlie di interventi non sempre coerenti che si sono succeduti nel corso del tempo. Il punto di riferimento, ora, non può che essere l’art. 8 L. 27 luglio 2000, n. 212, ove si ammette, in via generale, l’estinguibilità debito tributario per compensazione. Pur trattandosi di una disciplina monca, stante la mancata emanazione dei regolamenti attuativi (di cui all’ultimo comma dell’art. cit.), l’affermazione di principio in essa contenuta è stata ritenuta direttamente applicabile dalla dottrina ed in mancanza di discipline tributarie a carattere generale si è ritenuto possibile il riferimento al diritto civile, entro i limiti consentiti dalla specialità della materia tributaria (cfr. per tutti Fedele A., L’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. dir. trib., 2001, 10, in part. 907). Intorno alla disposizione statutaria continuano tuttavia ad orbitare fattispecie speciali anche preesistenti alla L. n. 212/2000. Di qui l’esigenza ad un coordinamento che si avverte, in particolare, nel caso oggetto della pronuncia in commento.
La compensazione cui si riferisce la massima delle Sezioni Unite, applicata al caso di specie, è difatti quella di cui agli artt. 69 R.D. n. 2440/1923 e 23 D.Lgs. n. 472/1997. In ambedue le fattispecie la compensazione è l’esito di un iter che consta di due fasi. Si muove da una sospensione dei rimborsi, disposta dall’Amministrazione per consentire la compensazione con un credito da essa vantato. Le due disposizioni non sono tuttavia coincidenti: a tacer d’altro la prima disciplina un potere generale delle Amministrazioni dello Stato, la seconda si riferisce invece alla sola Amministrazione finanziaria, ed era riferita in passato ai soli crediti sanzionatori.
Proprio a causa della sua struttura articolata la compensazione in discorso ha suscitato opinioni divergenti in dottrina. Secondo alcuni autori la sospensione dei rimborsi sarebbe espressione del potere di autotutela dell’Amministrazione (cfr. Messina S.M., La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006, 90 ss.) e le caratteristiche dei crediti hanno portato parte della dottrina a qualificare come legale la compensazione che segue il provvedimento di sospensione (cfr. Falsitta G., Manuale di diritto tributario, Padova, 2020, spec. 321; nello stesso senso si veda già Corte Cost. 19 aprile 1972, n. 67). E questa prospettiva viene condivisa anche dalla sentenza in commento. Non mancano letture diverse, che attribuiscono alla compensazione di cui all’art. 23 natura volontaria, ancorché amministrativa (cfr. Guidara A., Indisponibilità del tributo ed accordi in fase di riscossione, Milano, 2010, 214).
Il caso oggetto della sentenza in commento non è dunque direttamente riconducibile alle fattispecie di cui agli artt. 69 e 23 citt., come sembra presupporre la Cassazione, non essendo stato disposto alcun provvedimento di sospensione dei rimborsi su cui poter fondare l’eccezione di compensazione (in giudizio).
Se ne deve, allora, verificare la riconduzione all’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente. E dovendosi far riferimento alla disciplina civilistica si impone il riferimento alle tre tipologie di compensazione previste in diritto civile: legale, giudiziale e volontaria.
4. La compensazione legale non dovrebbe determinare problemi significativi nel diritto tributario. In base all’art. 1243, comma 1, c.c. occorre solo che i crediti reciproci presentino i requisiti di omogeneità, liquidità ed esigibilità. E sebbene gli effetti della compensazione legale retroagiscano al momento della reciproca coesistenza dei crediti, la sua operatività non è tuttavia automatica. Il giudice non può rilevare d’ufficio la compensazione, trattandosi di eccezione in senso stretto. È quindi necessaria una eccezione della parte che, della compensazione, decida di avvalersi.
È, invece, in sede processuale che emergono alcune incertezze. L’ingresso della compensazione legale in giudizio potrebbe essere impedito dal particolare oggetto del giudizio tributario. Si tratta di un tema su cui vi è stato, e vi è tuttora, un acceso dibattito da cui derivano visioni diverse, anche notevolmente, tra loro.
Ad esse non si può fare riferimento, visti i limiti del presente lavoro. In questa sede, mostrando una chiara preferenza per alcune di esse, non si può non ricordare come alcuni autori incentrino il sindacato del giudice tributario sull’atto ed attribuiscano al processo natura costitutiva (di annullamento) (cfr. per tutti Glendi C., L’oggetto del processo tributario, Milano, 1986). Come anche non si può non ricordare che altri autori distinguono l’oggetto del processo in base alla natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, sia essa di diritto soggettivo che di interesse legittimo: in quest’ottica, sarebbe possibile ammettere, senza troppe difficoltà, anche pronunce di mero accertamento (cfr. Tesauro F., Profili sistematici del processo tributario, Padova, 1980, 188).
È evidente che la sentenza con cui si procede al mero accertamento di un fatto operante ex lege, quale quella che pronuncia la compensazione legale, potrebbe meglio trovare ingresso nella seconda delle prospettive suindicate. Ma è anche vero che in ogni caso essa non amplierebbe l’oggetto del processo; di conseguenza non si rinvengono ostacoli a che la compensazione possa trovare ingresso nel giudizio tributario.
In presenza dei requisiti prescritti dall’art. 1243 c.c. ben potrebbe dunque l’Amministrazione eccepire la compensazione, e ciò potrebbe accadere, ad esempio, in sede di impugnazione di un diniego di rimborso. Occorrerebbe a tal fine la sola sussistenza dei requisiti di cui si è detto, non rilevando il fatto che essi siano intervenuti prima o dopo il diniego. È certo, però, che la presenza dei requisiti debba precedere l’introduzione del giudizio, cosa che non è accaduta nella vicenda da cui muove la sentenza in commento. Infatti, in primo grado l’Amministrazione si limitava ad eccepire la mera esistenza di un credito senza specificarne l’ammontare; la precisa indicazione del quantum interveniva solo in secondo grado.
Può dunque escludersi che nel caso di specie sussistessero i requisiti per la compensazione legale.
5. Il risultato non cambia quando si passa a considerare la compensazione volontaria. Come si è detto, alla mancanza di fungibilità, liquidità ed esigibilità può porre rimedio l’autonomia privata (cfr. per tutti Perlingieri P., Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, in Scialoja A. – Branca G. (a cura di), Commentario del Codice civile a cura di, Bologna, 1975, 381 ss.).
E ciò è proprio quello che accade nelle fattispecie di cui agli artt. 23 D.Lgs. n. 472/1997 e 69 R.D. n. 2440/1923. La sospensione dei rimborsi si giustifica, difatti, alla luce della mancanza dei requisiti necessari per la compensazione legale: di qui l’esigenza di un provvedimento autoritativo dell’Amministrazione che remori il rimborso per il tempo necessario a far acquisire al provvedimento, da cui risulta il credito dell’Amministrazione, la definitività necessaria per la compensazione.
Nel caso di specie, non sussistendo i requisiti per la compensazione legale, l’Amministrazione avrebbe potuto sospendere il rimborso del credito in vista della successiva compensazione. Ciò le avrebbe consentito di eccepire, in sede di ricorso avverso il diniego, la compensazione connessa al provvedimento di sospensione (e in questo modo avrebbe potuto coonestare il diniego impugnato).
Non essendo stata disposta la sospensione, l’Amministrazione ha cercato di porre rimedio in giudizio, eccependo la compensazione in primo grado e precisando, solo in secondo grado, l’ammontare del credito. Si tratta di una condotta processuale che avrebbe potuto produrre i risultati sperati solo in presenza, sin dal primo grado, dei requisiti della compensazione legale.
Rimane da vagliare la possibile operatività della compensazione giudiziale che, secondo l’art. 1243, comma 2, c.c., può avere luogo quando il debito opposto in compensazione pur non essendo liquido sia comunque di “facile e pronta liquidazione”. Non può tacersi, al riguardo, del dibattito che ha animato la dottrina circa la possibilità che il giudice tributario si sostituisca all’Amministrazione rendendo liquido un credito che non lo è. Alcuni autori hanno escluso tale possibilità ponendo l’accento sulla tassatività delle procedure di liquidazione stabilite dalla legge: il giudice, dunque, non potrebbe invadere aree riservate all’Amministrazione (cfr. Russo P., La compensazione in materia tributaria, in Rass. trib., 2002, 6, 1861; Randazzo F., L’esecuzione delle sentenze tributarie, Milano, 2003, 272). Non sono tuttavia mancate opinioni in senso contrario: così si è rilevato che la liquidazione del credito si risolverebbe in un giudizio di mero fatto, che sarebbe consentito al giudice tributario (cfr. in questo senso Messina S.M., La compensazione nel diritto tributario, cit., 281); altri, invece, hanno escluso il contrasto con le discipline dei rimborsi, cui la compensazione giudiziale, sarebbe estranea (cfr. Girelli G., La compensazione tributaria, Milano, 2010, 291).
Anche a voler prescindere dal dibattito riportato, sembra che nel caso di specie non fosse possibile neppure ipotizzare la compensazione giudiziale per i caratteri del credito che non consentivano una facile e pronta liquidazione: il ricorso era stato rigettato dal giudice di primo grado proprio per la mancata prova della compensazione.
6. A questo punto dell’indagine si vuole tentare il preferibile inquadramento della vicenda da cui muove la sentenza in commento.
Ebbene, come si è detto, nell’assenza dei requisiti previsti dall’art. 1243, comma 1, c.c. può fondatamente escludersi la compensazione legale. Sorge dunque il sospetto che con l’eccezione l’Amministrazione abbia cercato di rimediare alla mancata adozione del provvedimento di sospensione. Di conseguenza la fattispecie concreta di compensazione avrebbe dovuto essere inquadrata nello schema di cui all’art. 23 D.Lgs. n. 472/1997, di cui avrebbe dovuto seguire la relativa procedura. L’eccezione, quindi, avrebbe potuto essere validamente proposta solo se preceduta dal provvedimento di sospensione che, in questo caso, avrebbe giustificato il diniego di rimborso.
Non è dunque condivisibile la pronuncia della Corte di Cassazione, avendo essa legittimato l’Amministrazione ad avvalersi della eccezione di compensazione senza la previa adozione di un provvedimento di fermo ed in assenza dei requisiti per la compensazione legale. È evidente che in questa prospettiva il provvedimento di sospensione perderebbe ogni ragion d’essere e gli artt. 69 R.D. n. 2440/1923 e 23 D.Lgs. n. 472/1997 risulterebbero nella sostanza tacitamente abrogati.
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