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Trust e imposizione in uscita: nuovo orientamento e nuove questioni
Di Francesco Nicolosi -
(nota a/notes to: risposte a interpello 15 febbraio 2021, n. 106 e 18 maggio 2021, nn. 351 e 352)
Abstract
Con la risposta a interpello 15 febbraio 2021, n. 106 l’Agenzia delle Entrate sembrerebbe aver sancito, superando il proprio precedente orientamento, l’imponibilità delle attribuzioni in trust al momento dell’eventuale devoluzione al beneficiario. Ciò a condizione che si verifichi un effettivo arricchimento di quest’ultimo. Tale conclusione è stata confermata nelle risposte a interpello del 18 maggio 2021, n. 351 e n. 352. Il nuovo orientamento sembra determinare l’allineamento dell’Agenzia delle Entrate rispetto alla posizione maggioritaria della Corte di Cassazione. Tale nuova impostazione è sicuramente maggiormente rispettosa del principio di capacità contributiva. Essa tuttavia imporrà all’Agenzia delle Entrate la soluzione di alcune problematiche applicative di difficile soluzione.
Trust and exit taxation: new guidelines and new issues. – With letter ruling, no. 106 issued on 15 February 2021, the Italian Tax Autority seems to have stated the taxbility of the trust attributions at the time of any devolution to the beneficiaty, this way overcoming its previous position. This requires necessarily the existence of an effective transfer, meaning enrichment of the transferee. That conclusion has been confirmed with letter ruling no. 351 and 352, on May 18th 2021. The new guidelines seem to align the position the Italian Tax Autority with the majority position of the Italian Supreme Court. This new approach is certainly following more stricyly the principle of the ability to pay. However, it will require the Italian Tax Autority to face some implementation problems that are currently difficult to solve.
Sommario: 1. Risposte del 15 febbraio 2021, n. 106 e del 18 maggio 2021, n. 351 e n. 352. – 2. Trust autodestinati. – 3. Trust diversi dai trust autodestinati. – 4. Variazioni del patrimonio successive all’attribuzione. – 5. Presupposti territoriali dell’imposta. – 6. Eventuale rilevanza delle tesi giurisprudenziali minoritarie. – 7. Eventuale facoltà di versamento al momento dell’apporto. – 8. Questioni di diritto transitorio. – 9. Conclusioni.
1. Nell’importante risposta all’istanza di interpello n. 106 del 15 febbraio 2021 (che è stata già commentata in questa rivista da Contrino A., I trust c.d. “di ritorno” in senso stretto (blind trust, resulting trust e simili) e in senso lato (trust interposti e simili) al cospetto del tributo successorio: la prassi amministrativa e la recentissima giurisprudenza di legittimità convincono solo a metà, 2 aprile 2021) l’Agenzia delle Entrate (“AdE”) formula due principi rilevanti in tema di imposizione indiretta dei trust, con particolare riguardo all’imposta sulle donazioni (“ISD”) ex D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 (“TUS”). In particolare, l’AdE chiarisce in estrema sintesi che:
– in caso di coincidenza tra disponente e beneficiario nessuna ISD è dovuta (“l’assenza di un trasferimento intersoggettivo preclude l’applicazione dell’imposta di donazione per carenza del presupposto oggettivo di cui all’articolo 1 del citato decreto legislativo, mancando un trasferimento di ricchezza”);
– negli altri casi, l’ISD trova eventualmente applicazione solo al momento della devoluzione dei beni al beneficiario (“solo l’attribuzione al beneficiario, che come detto deve essere diverso dal disponente (…) può considerarsi, nel trust, il fatto suscettibile di manifestare il presupposto dell’imposta nel trasferimento di ricchezza”).
Le conclusioni contenute in tale risposta sembrano essere state confermate nelle risposte n. 351 e 352 del 18 maggio 2021.
Con tale nuova presa di posizione, l’AdE sembra allinearsi all’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione (Cass. nn. 15453/2019, 15455/2019, 15456/2019; nn. 16699, 16700, 16701, 16702, 16703, 16704, 16705/2019; n. 22087/2020; n. 10256/2020), superando la propria precedente posizione con cui sosteneva la generale applicabilità dell’ISD all’atto con cui il disponente vincola i beni in trust (circolare n. 48/E/2007 e n. 3/E/2008; più recentemente, DRE Lombardia, risposta a interpello 904-1160/2020). Ciò anche a prescindere dalla identità soggettiva tra disponente e beneficiario e dalla mancata devoluzione al beneficiario dei beni apportati in trust. La conseguente devoluzione al beneficiario era irrilevante ai fini dell’ISD.
Tale tesi aveva l’indubbio pregio di semplificare il meccanismo applicativo dell’ISD, che veniva infatti determinata in via definitiva al momento dell’apporto. E, di conseguenza, non assumevano rilevanza gli eventi successivi, quali le modalità di utilizzo e devoluzione del patrimonio e il mutamento di residenza del donante o del beneficiario. Inoltre, richiedendo il versamento dell’ISD al disponente, l’AdE aveva notevolmente alleviato la posizione del beneficiario. La tesi erariale consentiva di operare una forma di modesta pianificazione successoria, cristallizzando, una volta e per tutte, l’ISD dovuta al momento dell’apporto; il contribuente, versando un ISD relativamente mite se confrontata con le omologhe imposte vigenti negli altri Stati, si cautelava contro eventuali incrementi dell’aliquota dell’ISD italiana eventualmente decisi in futuro dal legislatore.
Nonostante ciò, tale precedente impostazione presentava alcuni inconvenienti in relazione ai quali molte critiche erano state sollevate. Uno dei maggiori inconvenienti era rappresentato dall’applicazione dell’ISD con aliquota massima dell’8% con riferimento a tutti i trust non aventi beneficiario individuato. Ciò anche laddove, ex post, risultasse la devoluzione ad un beneficiario il quale, in virtù dei rapporti con il disponente, poteva beneficiare di un’aliquota ridotta.
La nuova posizione assunta dall’AdE probabilmente ridurrà il contenzioso innescato dalla vecchia tesi sostenuta e, inoltre, ha l’indubbio pregio di essere maggiormente rispettosa del principio di capacità contributiva e, perciò, maggiormente corretta sotto il profilo giuridico (cfr. Carinci A. – Tassani T., Manuale di diritto tributario, Torino, III ed., 2020, cap. 3). Essa determina tuttavia l’emersione delle problematiche applicative che la precedente interpretazione di parte pubblica non poneva.
La questione esaminata dall’AdE nella risposta a interpello in esame concerne un trust interposto, in cui disponente e beneficiario coincidevano. Tuttavia, i due principi – riportati supra – sono stati espressi in termini generali, prescindendo dunque dalla fattispecie in concreto esaminata, con la conseguenza che essi sembrano applicabili alla generalità dei trust, in presenza dei relativi presupposti. Con ogni probabilità, l’AdE ha voluto anticipare, in maniera – per così dire – sfumata e al di fuori del contesto di pertinenza, il proprio mutamento interpretativo, in vista di un intervento di prassi più organico. Del resto, l’AdE giunge alle medesime conclusioni nella successiva risposta del 18 maggio 2021, n. 351, con riferimento ad un trust avente beneficiario individuato, nonché nella risposta del 18 maggio 2021, n. 351, con riferimento ad un trust revocabile.
2. In particolare, nel caso di coincidenza tra disponente e beneficiario l’AdE sembra chiarire che l’ISD non sia dovuta. Il principio formulato dall’AdE si fonda sulla premessa che, di fatto, nel trust autodestinato, stante la coincidenza tra disponente e beneficiario, non si verifichi nessun effettivo spossessamento da parte del disponente del bene apportato in trust. Il trust infatti è tenuto a gestire il bene a favore dello stesso soggetto titolare dello stesso.
Il principio in esame, seppur rassegnato in relazione ad una fattispecie concernente un trust interposto e come tale inesistente ai fini delle imposte sui redditi, è formulato in termini generali. Di conseguenza, esso sembrerebbe poter trovare applicazione a tutti i trust autodestinati, anche non interposti. In tal senso sembra deporre anche la pronuncia della Corte di Cassazione n. 10256/2020 citata nella risposta n. 106/2021.
Al riguardo, secondo quanto precisato dall’AdE, la coincidenza tra disponente e beneficiario impone, generalmente, di qualificare il trust come interposto, ai fini delle imposte sui redditi: ciò, in particolare, laddove il disponente conservi poteri sui beni apportati o abbia comunque potere di influire sulla gestione del trustee (cfr. circolare 27 dicembre 2010, n. 61/E). Ad ogni modo, la prassi applicativa conosce ipotesi di trust autodestinati non interposti: il riferimento è alla figura nota come blind trust. In tale ipotesi, il patrimonio viene gestito da un trustee terzo nell’interesse del disponente, il quale riveste dunque anche il ruolo di beneficiario, per un dato periodo di tempo, quantificato in base ad un parametro oggettivo. Tuttavia il disponente/beneficiario non ha alcun potere di influire sul trust fino al decorso del termine previsto. Fintantoché tale termine è pendente, il trust non dovrebbe potersi definire come interposto.
Il principio in esame, ammessa l’applicazione anche ai trust non interposti, dovrebbe trovare applicazione a prescindere dalla distinzione tra trust opachi e trasparenti. La distinzione tra trust trasparenti e trust opachi è stata infatti elaborata con riferimento alle imposte sui redditi. Tale distinzione riguarda esclusivamente il diritto vantato dal beneficiario nei confronti del reddito prodotto dal trust. La distinzione in esame non dovrebbe tuttavia influire sul realizzarsi o meno del presupposto impositivo ai fini dell’ISD.
Il medesimo principio dovrebbe inoltre trovare applicazione in ogni ipotesi, anche diversa dal trust autodestinato, in cui, per qualsiasi ragione, non si verifica la devoluzione del bene apportato al trust al beneficiario. Ciò accade nel caso di trust autodichiarato (ove cioè il disponente coincide con il trustee), nel caso in cui non sia previsto un beneficiario. Lo stesso, inoltre, può accadere quando il trust viene costituito per un determinato scopo, attribuendo il diritto al trustee di identificare il beneficiario: ove tale beneficiario, per qualsiasi ragione, non venga individuato, il ritrasferimento al beneficiario non dovrebbe scontare l’ISD. Alle medesime conclusioni si dovrebbe giungere in caso di rinuncia dei beneficiari e conseguente restituzione al disponente dei beni apportati. In tal senso si è espressa del resto la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8791/2021. In particolare, secondo la Corte di Cassazione, si deve ritenere che la mancata mancata realizzazione degli scopi ai quali il trust era finalizzato “per il verificarsi di una vicenda giuridica diretta a far terminare anticipatamente il trust, faccia venir meno la stessa fattispecie impositiva, perché, non essendovi allora più nessuna potenzialità di arricchimento gratuito da parte di un soggetto terzo, non potrà manifestarsi la specifica capacità contributiva oggetto del tributo”.
Analoga conclusione dovrebbe valere nell’ipotesi di attribuzioni al trust effettuate direttamente dal beneficiario. Ciò accade in particolare nei trust istituiti per la gestione di un determinato patrimonio a favore di un determinato beneficiario. Il regolamento di tale tipologia di trust frequentemente consente a tale beneficiario di apportare al trust beni di cui sia direttamente titolare, affinché anche tale tipologia di beni possa beneficiare della gestione del trustee effettuata a suo favore.
Potrebbe darsi che il valore del patrimonio in trust subisca un incremento tra il momento dell’attribuzione e il momento della devoluzione. Tale incremento del patrimonio non dovrebbe costituire in ogni caso un evento fiscalmente rilevante ai fini dell’ISD: ciò è pacifico nel caso di rilevanza ai fini delle imposte sui redditi, avendo l’AdE già chiarito che una volta che un determinato elemento ha scontato congrua tassazione ai fini delle imposte sui redditi, la devoluzione ai beneficiari non è ulteriormente assoggettata a tassazione.
Analoga conclusione dovrebbe ad ogni modo valere anche nel caso di incremento non rilevante ai fini reddituali, come potrebbe accadere per esempio nel caso di componenti valutative. Secondo l’AdE, infatti, nel trust autodestinato e nelle fattispecie assimilabili non si verifica alcun effettivo spossessamento da parte del disponente ai fini dell’ISD. Tale incremento rappresenta infatti un evento realizzatosi all’interno della sfera impositiva del disponente/beneficiario, in assenza di un effettivo spossessamento. Come tale, tale evento non è soggetto all’ISD (contra, Contrino A., I trust c.d. “di ritorno”, cit.).
Nessuna conseguenza impositiva dovrebbe inoltre verificarsi nel caso in cui i beni oggetto di restituzione al disponente siano diversi da quelli inizialmente segregati. In tal senso si è del resto espressa anche la Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 8791/2021.
3. I trust non autodestinati comprendono, in estrema sintesi, i trust di scopo e i trust con beneficiari individuati, i trust autodichiarati (ove cioè il disponente assume il ruolo di trustee) nonché tutti i trust in cui il trustee gode del potere discrezionale di individuare il beneficiario. In base alla nuova impostazione che sembra essere stata adottata dall’AdE, il soggetto tenuto al pagamento dell’imposta non è più il trustee, ma il beneficiario. La tassazione è infatti rinviata al momento eventuale e successivo della devoluzione ai beneficiari, con conseguente loro arricchimento. Dovrebbe essere pacifico che la qualifica di donante sia attribuita al disponente e che le aliquote debbano essere determinate in base al rapporto tra disponente e beneficiario.
In alcuni casi, l’attribuzione del patrimonio del trust ai beneficiari potrebbe non verificarsi mai. Ciò può accadere con riferimento ai trust di scopo, i quali normalmente non hanno un beneficiario. Lo stesso si può dire tuttavia anche con riferimento ai trust di garanzia e liquidatori. Tali trust, pur operando a favore di alcuni soggetti (ad esempio, i creditori), non determinano un arricchimento degli stessi. In tutte le ipotesi sopra descritte, la mancata tassazione non dovrebbe essere considerato un effetto aberrante. E’ perfettamente coerente con l’impostazione adottata dalla Corte di Cassazione, la quale subordina la debenza dell’ISD all’effettivo arricchimento del beneficiario. Tale conclusione, con riferimento specifico al trust liquidatorio, è stata sostenuta anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 5766/2020.
In relazione ad alcune ipotesi, può essere difficile stabilire se tale arricchimento si sia effettivamente realizzato.
Ad esempio, non sembra possibile assoggettare a tassazione eventuali attribuzioni al beneficiario consistenti in prestazioni lavorative o di servizi; parimenti, l’attribuzione al trust di immobili e delle relative disponibilità, con obbligo per il trustee di gestire il bene a vantaggio del beneficiario, non dovrebbe essere assoggettata a imposizione, e ciò né al momento dell’attribuzione al trust, né al momento della devoluzione al beneficiario che di fatto non di verificherà mai.
Per le medesime ragioni non dovrebbero essere tassati i passaggi da un trust all’altro, nell’ambito della prassi nota, nel mondo anglosassone, come cd. trust decanting. Tale prassi consiste nell’attribuzione dei beni in trust ad un altro trust avente un regolamento parzialmente diverso, maggiormente idoneo a venire incontro alle esigenze del beneficiario. Normalmente, si ricorre al cd. trust decanting a seguito dell’emersione di ulteriori esigenze dei beneficiari non contemplate nel regolamento del primo trust. Perché il trasferimento al nuovo trust sia possibile è necessario che ciò sia espressamente previsto dal regolamento del primo trust o che, quantomeno, tale regolamento attribuisca al trustee una discrezionalità sufficientemente ampia da effettuare il trasferimento. In ogni caso, tale passaggio di beni dal primo al secondo trust non concretizza mai un’attribuzione di beni al beneficiario, né si realizza alcun arricchimento a favore di quest’ultimo.
In molti casi, non è possibile individuare uno specifico arricchimento del beneficiario nemmeno nell’ipotesi del cd. charitable trust. Normalmente, l’attività di tali trust si concretizza nella prestazione di servizi di assistenza ad una pluralità di soggetti. Tali servizi difficilmente si concretizzano in un’attribuzione patrimoniale che genera l’arricchimento di un beneficiario specifico. Del resto, ove mai si ravvisasse nelle suddette prestazioni delle attribuzioni imponibili ai fini dell’ISD, si porrebbe un problema di valorizzazione delle stesse difficilmente risolvibile (cfr. Tassani T., La “terza via”, interpretativa della Cassazione su trust e vincoli di destinazione, in Trust e attività fiduciarie, 2018, 6, 624, il quale sembra in ogni caso propendere per l’imponibilità di tali prestazioni). Naturalmente laddove tale arricchimento in concreto si realizzi, mercè un’erogazione o donazione, potrà trovare applicazione l’ISD.
Certamente, vi sono ipotesi in cui l’arricchimento del beneficiario certamente si realizza, pur in assenza di una formale attribuzione.
Ad esempio, il trustee potrebbe trasferire somme al beneficiario, mediante bonifici bancari o altri fenomeni qualificabili come liberalità indirette (cfr. Gallizia G., Trust, tassazione differenziata per i trasferimenti di ben, in Norme&Tributi Plus, 7 aprile 2020). Un caso particolare è rappresentato dal versamento da parte del trustee di somme di danaro a terzi, nell’interesse del beneficiario. Pensiamo al caso dell’apporto in trust di un immobile perché venga venduto e il ricavato sia utilizzato per pagare gli studi o le rate del mutuo o le spese sanitarie ai beneficiari.
Ulteriori esempi sono rappresentati dalla rinuncia, stipulata per scambio di corrispondenza, al rimborso di un finanziamento precedentemente erogato dal trustee al beneficiario. Spesso inoltre il trustee provvede all’erogazione a favore del beneficiario di una somma di denaro a mezzo di bonifico bancario.
In alcuni casi, poi, le erogazioni di danaro effettuate dal trustee non vengono effettuate direttamente a favore del beneficiario, pur andando a vantaggio di quest’ultimo (ad esempio, pagamento dell’affitto della casa in cui vive il beneficiario ovvero del premio per la sua assicurazione sulla salute).
In tali ipotesi, come noto, la liberalità è tassabile solamente in due ipotesi (cfr. art. 56-bis, TUS). La prima ipotesi sussiste laddove il contribuente assoggetti volontariamente a tassazione l’attribuzione. In tal caso, l’aliquota applicabile è quella propria derivante dal rapporto tra disponente e beneficiario. La seconda ipotesi ricorre laddove l’esistenza della liberalità emerga nell’ambito di un accertamento in tema di imposta sui redditi. In tale ipotesi trova applicazione l’aliquota massima dell’8%. In entrambe le ipotesi trovano applicazione eventuali franchigie. In ogni caso, nell’applicare eventuali franchigie, occorrerà tenere conto del cd. “coacervo”. In altre parole, al fine del superamento della franchigia, occorrerà tenere conto di tutte le attribuzioni effettuate nei confronti dei beneficiari.
Laddove l’AdE dovesse confermare l’imponibilità di tali attribuzioni indirette, ciò probabilmente si tradurrà in una maggiore attenzione, da parte dei verificatori, sulla posizione dei beneficiari ai fini delle imposte sui redditi, al fine di giustificare il recupero dell’imposta relativa a tali attribuzioni. In tale ipotesi, la prassi si orienterà nel senso di far emergere volontariamente le erogazioni al beneficiario (cfr. Gallizia G., Trust, tassazione differenziata, cit.), al fine di ottenere l’applicazione di aliquote più miti.
4. Si pone inoltre il tema di verificare l’eventuale rilevanza di incrementi o decrementi di valore dei beni attribuiti in trust ai fini dell’ISD, al momento della devoluzione dei beni al beneficiario.
Tale ipotesi è già stata in parte analizzata supra, con riferimento ai trust autodichiarati. In quella sede, si era concluso in merito ad una generale irrilevanza delle sorti di valore dei beni in trust.
Tale conclusione può essere condivisa anche in questa sede, laddove tale incremento di valore corrisponda a redditi assoggettati a tassazione. In tale ipotesi, l’attribuzione al beneficiario dovrebbe essere irrilevante ai fini fiscali, sia in caso di trust opaco che di trust trasparente.
Invece, laddove si tratti di componenti valutative non rilevanti ai fini reddituali, tale conclusione non può trovare applicazione. Se, infatti, il presupposto dell’ISD è l’arricchimento del beneficiario, sembra difficile negare che laddove questo si verifichi debba trovare applicazione l’ISD. Peraltro, la dotazione del trust, nel tempo, potrebbe andare incontro anche ad un depauperamento. Di conseguenza, al momento in cui gli effetti traslativi si determinano l’imposizione potrebbe essere inferiore rispetto a quella che si sarebbe scontata in sede di costituzione. Anche tale conseguenza è coerente con l’esigenza di tassare il beneficiario nei limiti dell’effettivo arricchimento.
Si è consci delle difficoltà che tale esigenza può comportare, ma, se si accoglie pedissequamente l’attuale giurisprudenza dominante della Corte di Cassazione, una tesi contraria sembra difficilmente sostenibile.
Inoltre, il patrimonio attribuito al trust potrebbe subire un mutamento. Di regola il trustee ha il potere di disporre liberamente dei beni surrogandoli e modificandone la natura. Ciò può ad esempio accadere laddove il patrimonio del trust sia composto da valori mobiliari. In questo caso, normalmente, i valori in questione saranno oggetto di investimento o disinvestimento. Può inoltre accadere che il disponente trasferisca al trustee una somma di denaro per l’acquisto di uno o più immobili da destinare ai beneficiari. Anche in tale ipotesi, al momento della devoluzione, il patrimonio del trust sarà composto da beni diversi da quelli apportati dal disponente. Si può anche verificare il caso in cui il disponente consegni al trustee la proprietà di un immobile da vendere per distribuire a suo tempo il ricavato fra i beneficiari.
In tutte le ipotesi sopra elencate, al momento dell’attribuzione, le consistenze attribuite al beneficiario saranno qualitativamente diverse da quelle apportate dal disponente.
Sulla base delle considerazioni sopra effettuate, ad ogni modo, solo l’ammontare e la composizione del patrimonio al momento della devoluzione potranno assumere rilievo ai fini dell’ISD, a prescindere dalle differenze di trattamento fiscale che ne potrebbero derivare.
5. Alcune problematiche possono sorgere in tema di territorialità. Si rammenta che, in estrema sintesi, sono soggette a donazione in Italia le donazioni effettuate da un donante italiano a prescindere dal luogo di localizzazione dei beni (cfr. art. 2 TUS). In caso di donante residente all’estero sono soggetti a donazione solo i beni localizzati in Italia. Le medesime regole si applicano anche nell’ipotesi di atto di donazione stipulato all’estero. In tale ipotesi tuttavia l’imposta troverà applicazione solo laddove il beneficiario residente in Italia (cfr. art. 55, c. 1-bis, TUS; cfr. risposta n. 310 del 24 luglio 2019).
In relazione a tale ipotesi, occorre stabilire se i suddetti requisiti debbano essere riscontrati al momento dell’apporto dei beni in trust oppure al momento della devoluzione.
A favore della prima tesi, depone il fatto che è in relazione a tale momento che si verifica il distacco tra il bene attribuito in trust e il disponente. A favore della seconda tesi depone il fatto che è solo al momento della devoluzione che l’imposta è dovuta e che, secondo la Corte di Cassazione, sembrerebbe realizzarsi la donazione.
Si ipotizzi ad esempio il caso di un donante residente in Italia che successivamente all’apporto in trust si trasferisce all’estero. Occorrerebbe chiarire se l’operazione possa considerarsi territorialmente rilevante con riferimento ai beni situati all’estero.
Potrebbe inoltre accadere potrebbe che un donante residente in Italia stipuli all’estero un atto avente come beneficiario un soggetto residente in Italia. Si pone il problema di stabilire se quest’ultimo possa essere assoggettato all’ISD al momento della devoluzione, anche laddove abbia nel frattempo trasferito la propria residenza all’estero.
Ragioni di semplificazione sembrerebbero indurre ad attribuire rilevanza alla residenza del donante e del beneficiario al momento dell’apporto in trust, ma, sulla base del principio elaborato dalla Corte di Cassazione, la quale identifica l’arricchimento al momento della devoluzione, non si può escludere la possibilità che l’AdE attribuisca rilievo a tale ultimo momento.
6. La soluzione rassegnata dall’AdE si fonda – come detto – sulla giurisprudenza della Corte di Cassazione ed è plausibile ritenere che, nel formulare le proprie conclusioni, essa continuerà ad attenersi all’elaborazione giurisprudenziale fino ad ora intervenuta.
Il recepimento di tale evoluzione giurisprudenziale può tuttavia dare luogo ad incertezze.
In linea di principio, la Corte di Cassazione ha sancito la imponibilità delle attribuzioni in trust solamente al momento della devoluzione. Tuttavia, nell’ordinanza n. 734/2019, la Corte di Cassazione non ha tuttavia escluso che “in alcune fattispecie sia possibile valutare sin da subito se il disponente abbia avuto la volontà effettiva di realizzare, sia pure per il tramite del trustee, un trasferimento dei diritti in favore di terzo”. In tale modo, sotto certi profili, la Corte di Cassazione ha effettuato una limitata apertura a una tassazione già al momento del conferimento dei beni in trust in conformità alla precedente tesi erariale. Ad esempio, a tale conclusione la Corte di Cassazione è giunta con riferimento ad un cd. charitable trust (cfr. Cass. 22578/2019; cfr. Tassani T., Le diverse tipologie di trust tra imposizione “in entrata” ed “in uscita”, in Trust e attività fiduciarie, 2020, 4, 361 ss.).
Non si può ovviamente sapere se tale orientamento “intermedio” influenzerà anche l’approccio dell’AdE, e cioè se, pur affermando in generale l’applicazione dell’ISD al momento della devoluzione, essa riterrà necessaria, accedendo al suddetto “orientamento intermedio”, una valutazione caso per caso. Ciò al fine di verificare che in concreto, non si verifichi un arricchimento del beneficiario sin dal momento dell’apporto in trust. Sotto il profilo pratico, non si può sottacere che tale conclusione introdurrebbe un ulteriore fattore di incertezza per il contribuente nella determinazione della eventuale debenza dell’ISD.
7. Fra le altre cose, non è chiaro se il versamento dell’ISD solo al momento della devoluzione rappresenti una facoltà od un obbligo, e cioè se, nonostante l’adozione da parte dell’AdE di una nuova interpretazione, i contribuenti conservino o meno la facoltà di versare l’imposta una volta per tutte al momento dell’apporto. I contribuenti potrebbero avvalersi di tale facoltà al fine di cautelarsi contro eventuali incrementi dell’ISD che dovessero intervenire in futuro ma anche per evitare le difficoltà connesse con la determinazione dell’imposta al momento della devoluzione. Tale facoltà potrebbe inoltre risultare utile al disponente che intenda versare egli stesso l’ISD, sollevando il beneficiario di tale onere.
Il riconoscimento di tale facoltà non dovrebbe produrre conseguenze inaccettabili, né intaccherebbe il gettito effettivo derivante dall’ISD. Del resto, anche nel vigore della precedente interpretazione, i contribuenti hanno sempre scelto liberamente se versare l’ISD al momento dell’apporto (garantiti dalla tesi erariale) oppure al momento della devoluzione (confidando nella possibilità di difendersi vittoriosamente in giudizio, in caso di accertamento).
A sfavore di tale soluzione depone il tendenziale sfavore dell’AdE a rimettere al contribuente la scelta del momento di debenza delle imposte.
8. In relazione alla nuova posizione dell’AdE si pongono alcune questioni di diritto transitorio.
In linea generale, dovrebbe essere pacifico che la corresponsione in passato dell’ISD al momento dell’apporto esclude l’ulteriore debenza della stessa al momento attribuzione ai beneficiari. Inoltre l’eventuale incremento dell’ISD che dovesse intervenire in futuro non dovrebbe inficiare la posizione di coloro che abbiano già versato l’ISD al momento dell’apporto.
Il nuovo orientamento dovrebbe trovare applicazione anche per il passato, se appena si considera che la nuova impostazione si fonda sull’interpretazione, fornita dalla Corte di Cassazione, di norme che dal 2006 non hanno subito modificazioni. Di conseguenza, l’interpretazione dell’AdE dovrebbe trovare applicazione con riferimento a tutti i periodi di imposta in relazione ai quali è possibile presentare istanza di rimborso.
In passato, alcuni soggetti prudenzialmente potrebbero avere assoggettato ad imposta di donazione l’attribuzione al trust autodestinato, facendo sorgere il problema se tali soggetti possano presentare istanza di rimborso.
Prudenzialmente, qualcuno potrebbe avere assoggettato ad imposta di donazione le attribuzioni ai trust aventi beneficiari individuati. In relazione a tale fattispecie, è sempre da chiarire se il disponente abbia diritto a presentare un’istanza di rimborso o se, trattandosi di imposta che comunque sarà dovuta al momento della devoluzione, l’anticipazione non dia diritto alla restituzione.
Con riferimento ai trust i cui beneficiari non erano individuati al momento dell’apporto, potrebbe essere stata corrisposta l’ISD con aliquota massima dell’8%. Successivamente, il beneficiario potrebbe essere individuato in un soggetto in relazione al quale avrebbe dovuto trovare applicazione un’aliquota inferiore. Ragionevolmente, come già sostenuto in dottrina, dovrebbe essere riconosciuto il diritto al rimborso della differenza tra l’aliquota dell’8% versata e la minore aliquota eventualmente applicabile.
9. In conclusione, con la risposta a interpello 15 febbraio 2021, n. 106 l’Agenzia delle Entrate sembrerebbe aver sancito, superando il proprio precedente orientamento, l’imponibilità delle attribuzioni in trust al momento dell’eventuale devoluzione al beneficiario, a condizione che si verifichi un effettivo arricchimento di quest’ultimo. Laddove confermato, il nuovo orientamento determinerebbe l’allineamento dell’Agenzia delle Entrate rispetto alla posizione maggioritaria della Corte di Cassazione.
Tale nuova impostazione è sicuramente maggiormente rispettosa del principio di capacità contributiva. Tuttavia, il trust è un istituto multiforme e complesso. L’attività del trustee è difficilmente riconducibile a schemi prestabiliti. Gli atti compiuti dal trustee a favore del beneficiario sono di varia natura. Spesso è dunque difficile stabilire se tali attribuzioni determinano o meno un arricchimento del beneficiario.
Ad esempio, non è chiaro se costituiscano arricchimento le prestazioni di servizi svolte a favore del beneficiario. Analoga incertezza sussiste con riferimento alle attività dei trust di scopo o dei charitable trust. Inoltre, l’attività del trustee si potrebbe concretizzare in liberalità indirette, in relazione alle quali non è chiaro il comportamento che il beneficiario dovrà tenere.
In sintesi, la nuova impostazione imporrà all’Agenzia delle Entrate di risolvere alcune problematiche applicative di incerta soluzione, che si spera avvenga mediante un intervento esplicativo di carattere generale predisposto ad hoc, così da favorire la certezza e ridurre le occasioni di conflitto tra fisco e contribuenti nella più generale prospettiva di una leale collaborazione delle parti del rapporto tributario.
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