Criticità della disciplina anti-ibridi alla luce dei principi di determinazione del reddito d’impresa (Parte prima)
Di Nicola Catucci e Federico Scimenes -
Abstract
La complessa interazione tra le discipline anti-ibridi di matrice internazionale (OECD BEPS ProjectAction 2), e di matrice unionale (Direttiva UE 2017/952 del Consiglio, 29 maggio 2017, “ATAD II”) con la disciplina “check-the-box” di origine statunitense è già da diversi anni oggetto di dibattito dottrinale. Il dibattito sembra però assumere profili critici in presenza di una remunerazione “cost plus” nell’ambito di servizi infragruppo, specie nelle giurisdizioni che hanno adottato la disciplina prevista dalla Direttiva (UE) 2017/952. Il presente lavoro ha l’obiettivo, in primo luogo, di descrivere l’interazione cui si è fatto cenno poc’anzi prendendo le mosse da un caso tratto dalla pratica professionale e, in secondo luogo, di illustrare i possibili effetti distorsivi prodotti dalla menzionata interazione alla luce della normativa anti-ibridi domestica
Critical aspects of the Italian anti-hybrid legislation in the perspective of the business income principles (1st part) – Tax scholars have been debating for years about the complex interaction between EU anti-hybrid rules (Council Directive EU 2017/952, of May 29, 2017, “ATAD II”) and US “check-the-box” regulations. However, the debate seems to reach a dead end in case of intercompany services remunerated at “cost plus”. This said, focusing on a real case examined in the professional practice, the present work intends to illustrate some unreasonable effects produced by Italian anti-hybrid legislation.
Sommario: 1. Il caso oggetto di analisi. – 2. Le “check-the-box rules”. – 3. I “disallineamenti da ibridi” con particolare riguardo al fenomeno della “doppia deduzione” di cui all’art. 6, comma 1, lett. r), n. 8), D.Lgs. n. 142/2018.
1. L’interazione tra la disciplina anti-ibridi di matrice internazionale (BEPS – Action 2) e unionale (Direttiva UE 2017/952 del Consiglio, 29 maggio 2017, di seguito “la Direttiva ATAD II”, attuata nel nostro ordinamento dagli artt. 6 ss. D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142) con la disciplina dell’“entity classification election” (più nota come “check-the-box”) di origine statunitense presenta alcuni profili di criticità. Tra questi profili vi è l’interazione tra le due predette discipline con situazioni di prestazioni di servizi infragruppo il cui corrispettivo è misurato con il metodo del “cost plus”.
Il caso esemplare della suddetta criticità, rappresentato nel presente lavoro, coinvolge la società Alfa, fiscalmente residente negli Stati Uniti, la quale possiede il controllo della società di capitali Beta, società a responsabilità limitata fiscalmente residente in Italia. Come frequente, in forza di un toll manufacturing agreement (situazioni simili si possono tuttavia presentare anche per lo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo, di marketing, ecc.), l’attività esclusiva svolta da Beta consiste nel processare le materie prime per conto della controllante. La remunerazione della predetta prestazione (“toll”) è determinata applicando al costo dei fattori produttivi utilizzati il mark-up del 10% (con il metodo del “cost plus”).
Il flusso di prestazioni può essere schematizzato come segue.
Alfa applica alla propria controllata italiana Beta il regime opzionale del “check-the-box”, di diritto statunitense, in base al quale i componenti positivi e negativi di reddito realizzati dalla società partecipata residente al di fuori degli Stati Uniti (diversi da quelli infragruppo) sono imputati “per trasparenza” alla società madre residente in USA (sul punto si veda, tra gli altri, Sfondrini A., Le partnerships e la trasparenza fiscale, in Aa.Vv., Manuale di Fiscalità Internazionale, a cura di Dragonetti A., Assago, 2016, 1251).
A seguito dell’opzione per il citato regime, la società italiana viene considerata un’“entità ibrida” ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 142/2018. A mente della disposizione appena nominata per “entità ibrida” si intende “qualsiasi entità o accordo che in base alla legislazione di uno Stato è considerato un soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi e i cui componenti positivi e negativi di reddito sono considerati componenti positivi e negativi di reddito di un altro o di altri soggetti passivi a norma delle leggi di un’altra giurisdizione”. In altre parole, per “entità ibrida”, ai fini del presente lavoro, si intende una società dotata di soggettività passiva per una giurisdizione (nell’esempio, per l’Italia) e priva di soggettività passiva per un’altra giurisdizione (nell’esempio, per gli USA).
Inoltre, poiché i costi sostenuti da Beta (riferiti ai salari dei propri lavoratori e agli altri fattori produttivi) sono deducibili sia in capo a quest’ultima sia in capo ad Alfa (negli USA), dal rapporto tra le due società scaturisce una potenziale “doppia deduzione” ovvero, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 142/2018, “una deduzione dello stesso componente negativo di reddito nella giurisdizione in cui è sostenuto ovvero che si ritiene sia sostenuto, ossia la giurisdizione del pagatore e in un’altra giurisdizione, ossia la giurisdizione dell’investitore […]”.
La potenziale doppia deduzione in parola dovrebbe essere, in prima battuta, neutralizzata in virtù del primo periodo dell’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 142/2018, negando in capo ad Alfa la deduzione dei componenti negativi di reddito sostenuti da Beta (c.d. “primary defensive rule”). Ove questo non avvenisse, la potenziale doppia deduzione in parola dovrebbe essere neutralizzata negando in capo a Beta la deduzione dei componenti negativi di reddito (c.d. “secondary defensive rule”) nell’assunto che i componenti medesimi siano stati già dedotti, ai fini della legislazione statunitense, nella determinazione del reddito di Alfa.
Tuttavia, nel caso di specie, l’applicazione pedissequa della normativa domestica in tema di disallineamento da ibridi potrebbe determinare un effetto distorsivo.
In particolare, sembrerebbe venire ad esistenza una duplicazione impositiva in contrasto, a noi pare, con lo spirito di fondo della disciplina in commento, la quale, se da un lato mira ad eliminare fenomeni di doppia deduzione (o di doppia non imposizione), dall’altro lato non dovrebbe neppure causare duplicazioni impositive.
Detto questo, nei prossimi paragrafi, dopo avere descritto le caratteristiche del regime fiscale statunitense del “check-the-box”, nonché illustrato cause ed effetti della distorsione cui si è fatto cenno poc’anzi, si avrà cura di prospettare due possibili soluzioni, l’una di carattere interpretativo e l’altra di tipo prettamente applicativo, volte, rispettivamente, a evitare e a rimuovere la distorsione stessa.
2. Il regime dell’“entity classification election” (o, più comunemente, “check-the-box”) riveste un ruolo di primo piano negli Stati Uniti e di conseguenza nei Paesi in cui operano le subsidiary delle numerose ultimate parent company ivi residenti (in tal senso Rosembuj T., Hybrid Entities Why Not Tax Pass-throughs as Corporations?, in Intertax, 2012, 298-318).
Per la sua peculiare rilevanza ai fini del presente elaborato e per le sue complessità tecniche, una descrizione dei suoi lineamenti è propedeutica rispetto alle considerazioni che saranno effettuate di seguito.
Il regime in parola è stato introdotto nell’ordinamento statunitense nel gennaio 1997 mediante la Treasury Regulation §§301.7701 (cfr. Federal Register, 61 FR 66584) ed è volto al superamento del c.d. “Kintner test”. Questo test imponeva alle società di verificare la ricorrenza di alcuni requisiti per qualificarsi come “corporations”(semplificando: come società “opache”) ai fini dell’imposizione sui redditi statunitense.
In particolare, per essere considerate “corporations”, le entità costituite in forma associata, svolgenti attività d’impresa con scopo di lucro, erano tenute al rispetto della maggioranza dei seguenti requisiti: 1) continuità dell’attività; 2) amministrazione accentrata; 3) responsabilità per i debiti sociali nei limiti del patrimonio sociale 4) libera circolazione delle interessenze (al riguardo si veda Blouin J.L. – Krull L.K., Does Organizational Form Affect Firms’ Foreign Operations? The Role of “Check-the-Box” on Multinational Tax Planning, in Aa.Vv., Proceedings, Annual Conference on Taxation and Minutes of the Annual Meeting of the National Tax Association, 2014, 107, 1-31). Detto test comportava oneri particolarmente gravosi sia dal punto di vista formale, sia dal punto di vista economico, dal momento che i contribuenti statunitensi erano costretti ad incorrere in significative spese per prestazioni di servizi di consulenza relative al supporto in merito ai problemi di classificazione delle società (cfr. Field H.M., Checking in on Check the box, Loyola of Los Angeles Law Review, 2009, Vol. 42:451).
Il fine perseguito dal “check-the-box” è dunque rappresentato dal soddisfacimento di esigenze di semplificazione per i contribuenti statunitensi.
La disciplina “check-the-box” racchiude due differenti sotto-discipline di “entity classification election”, la prima prevista per le società residenti fiscalmente negli Stati Uniti e l’altra per le società non residenti.
In generale, le entità residenti negli Stati Uniti sono classificate quali “per se corporation” (dette anche “non-eligible entities”) se in possesso di determinate caratteristiche che avrebbero comunque consentito loro l’automatico superamento del vecchio “Kintner test” (tra queste entità troviamo, ad esempio, quelle esercenti attività di impresa in forma associata secondo una legge federale o statale se la legge le descrive o vi si riferisce come “incorporated”, “corporation”, “body corporate” o “body politic”; le entità descritte dalla legge come “joint-stock company”; istituti assicurativi; istituti bancari; o entità che l’Internal Revenue Code tratta fiscalmente come “corporations”; in proposito si veda, Treasury Regulation, parr. da §§301.7701-2(b)(1) a §§301.7701-2(b)(7)).
Le entità non “per se corporation” (o i trust per i quali vige una disciplina ad hoc) sono trattate dalla legislazione statunitense come “eligible entities”. Tali entità sono legittimate a scegliere la propria classificazione in base al par. §§301.7701-3 della Regulation. La scelta può essere effettuata tra (1) “corporation”; (2) “partnership” (in caso di pluralità di soci) e (3) “disregarded entity” (in caso di socio unico). Nel caso in cui le entità “eligible” non effettuino la predetta scelta, esse sono automaticamente classificate (attraverso le c.d. “default rules”): (a) come “partnership”, se hanno due o più soci (b) come “disregarded entity”, se hanno un socio unico (al riguardo si veda Treasury Regulation 301.7701-3(b)(1).
Venendo ora alle entità non residenti negli Stati Uniti, valgono per queste ultime regole parzialmente diverse da queste viste prima per i soggetti ivi residenti.
Anche in questo caso esistono delle “per se corporation”, ovvero entità per cui la “entity classification” è svolta ex officio. Si tratta di una serie di entità estere enumerate nel paragrafo §§301.7701-2(b)(8)(i) (con delle eccezioni al paragrafo §§301.7701-2(b)(8)(ii), Treas. Reg.). Tra le “per se corporation” estere secondo il diritto non statunitense si trovano la Società per Azioni italiana o l’Aktiengesellschaft tedesca.
Le entità non residenti negli Stati Uniti diverse da quelle descritte come “per se corporation” hanno a loro volta la possibilità di esercitare l’opzione per la “classification election”.
Le “default rules” in questo caso prevedono che un’entità estera sia considerata (i) una “corporation” se tutti i suoi soci hanno responsabilità limitata; (ii) una “partnership” se ha più soci, di cui almeno uno a responsabilità illimitata; (iii) una “disregarded entity”, se ha un unico socio e questi ha responsabilità illimitata (si veda Treas. Reg. §§301.7701-3(b)(2)).
Va da sé che società controllate “disregarded” diano luogo a flussi di prestazioni e remunerazioni con la controllante altrettanto “disregarded”.
Ovviamente, poiché l’applicazione delle “default rules” non è vincolante, al ricorrere di determinate caratteristiche (enumerate nei paragrafi da §§301.7701-1 a §§301.7701-3 della Treasury Regulation) si potrà scegliere un trattamento alternativo.
Nel caso delle società a responsabilità limitata italiane (come Beta, nell’esempio) si può dunque scegliere il trattamento come “disregarded entity” compilando il Modello 8832 dell’IRS (cfr. Rizzo Marullo F., La normativa del check the box nel diritto americano e le sue applicazioni, in Fiscalità & Commercio Internazionale, 2019, 8-9, 18 ss.).
È evidente che il regime del “check-the-box”, concepito dal legislatore statunitense per ragioni di carattere strutturale, ovvero per garantire uno snellimento importante delle procedure di classificazione, anche attraverso il ricorso (non vincolante) a “default rules”, conduca talvolta alla costituzione proprio di quelle “entità ibride”, talora sfruttate per una pianificazione fiscale aggressiva (su quest’ultimo punto si veda Cipollina S., I redditi “nomadi” delle società multinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. sc. fin., I, 2014, 21), che l’OCSE, con i BEPS e, segnatamente, con l’Action Plan 2, si è proposta di ostacolare.
3. Venendo ora alla disciplina di contrasto ai c.d. disallineamenti da ibridi, si nota come l’applicazione della medesima presupponga innanzitutto la presenza di differenze nel trattamento fiscale di un’entità o di uno strumento giuridico nell’ambito dell’ordinamento di due o più giurisdizioni (in dottrina, Aicardi M., La disciplina domestica di contrasto agli hybrid mismatches arrangements aventi per oggetto strumenti finanziari, in Riv. dir. trib., 2020, 27, spiega che l’“ibridità” è il prodotto di un’antinomia tra le discipline qualificatorie di una medesima fattispecie di diverse giurisdizioni. In proposito si veda, in generale, anche Cipollina S., I redditi “nomadi” delle società multinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. sc. fin., I, 2014, 21 ss., par. 6).
Nel caso qui in oggetto la differenza di trattamento fiscale muove dalla circostanza che, mentre ai fini fiscali statunitensi Beta è fiscalmente disconosciuta, quindi non è considerata soggetto passivo di imposta, ai fini delle imposte sui redditi italiane detta società ha autonoma soggettività passiva.
In linea puramente teorica, l’“ibridità” in sé potrebbe non comportare particolari problemi per gli ordinamenti coinvolti. Affinché la disciplina fiscale di cui si discorre trovi applicazione, sarebbe, infatti, necessario che le predette differenze di trattamento fiscale di un’entità o uno strumento siano utilizzate per conseguire una “doppia non imposizione”, oppure un differimento a lungo termine dell’imposizione stessa (in proposito si veda OCSE “Hybrid mismatch arrangements exploit differences in the tax treatment of an entity or instrument under the laws of two or more tax jurisdictions to achieve double non-taxation, including long-term deferral”, Executive summary, Final Report, Action 2, 2015), oppure, come nel caso in oggetto e più in particolare, per beneficiare di una “doppia deduzione”.
Dunque è, o dovrebbe essere, lo sfruttamento delle differenze fiscali esistenti nell’ordinamento tributario di diversi Paesi da parte dei contribuenti a comportare la necessità di ripristinare il corretto espletamento della potestà impositiva delle giurisdizioni coinvolte nel meccanismo eliminando tentativi di traslazione dei profitti e di erosione delle basi imponibili. Con questo proposito, tanto in sede OCSE (mediante un intervento c.d. di soft law di cui al richiamato BEPS Action 2) quanto in sede UE (attraverso la direttiva UE 2016/1164 del 12 luglio 2016, di seguito “Direttiva ATAD I”, successivamente modificata dalla Direttiva ATAD II) sono stati attuati interventi volti a scongiurare i “disallineamenti da ibridi” – segnatamente i fenomeni di “doppia deduzione” e di “deduzione senza inclusione” – cui si è fatto riferimento sopra (in dottrina, cfr. Kollruss T., Is ATAD a Black Hole? The Impact on International Tax Planning, in European Taxation, 2019, 377 ss., è stato evidenziato come i suddetti interventi abbiano comunque eliminato del tutto opportunità di pianificazione fiscale fondate su “disallineamenti da ibridi”).
In Italia, la disciplina in materia di “disallineamento da ibridi” è contenuta negli artt. da 6 a 11 del sunnominato D.Lgs. n. 142/2018.
L’art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 142/2018, include tra i predetti disallineamenti” le c.d. doppie deduzioni, nel cui novero rientra quella relativa al caso in oggetto, definite dalla successiva lett. b), dell’art. 6, come “una deduzione dello stesso componente negativo di reddito nella giurisdizione in cui è sostenuto ovvero che si ritiene sia sostenuto, ossia la giurisdizione del pagatore e in un’altra giurisdizione, ossia la giurisdizione dell’investitore”.
Nell’esempio oggetto del presente contributo, sia Beta che Alfa deducono il medesimo componente negativo di reddito (i corrispettivi per i fattori produttivi acquisiti da terze parti).
Il “disallineamento da ibridi” potenzialmente posto in essere nel caso di specie deve, tuttavia, essere valutato alla luce dell’art. 6, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 148/2018, secondo cui “il disallineamento da ibridi si verifica ai sensi dei numeri 6), 7) e 8) della stessa lettera r) solo nel periodo di imposta e nella misura in cui la giurisdizione del pagatore consente la deduzione a fronte di un importo che non rappresenta reddito a doppia inclusione”.
In base alla norma da ultimo riportata, laddove vi è un “reddito a doppia inclusione” la “doppia deduzione” eventualmente venutasi a creare non è considerata un “disallineamento da ibridi”. Ad esempio, ove Beta conseguisse componenti positivi di reddito derivanti da prestazioni di servizi effettuate nei confronti di terze parti, tali componenti positivi, attribuiti ad Alfa in forza al regime fiscale “check-the-box”, concorrerebbero a formare il reddito di Alfa unitamente ai componenti negativi di reddito, provenienti da Beta, ad essa attribuite per trasparenza.
Il contemporaneo concorso alla formazione della base imponibile di Alfa sia dei componenti positivi sia dei componenti negativi imputati per trasparenza, escluderebbe l’applicazione della disciplina anti-ibridi e ciò nella misura in cui il saldo tra i componenti positivi e negativi di reddito attribuiti ad Alfa per trasparenza fosse maggiore o uguale a zero. In questo senso depone la “Proposta di Direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio relativamente ai disallineamenti da ibridi con i paesi terzi” secondo cui: “i redditi dell’entità ibrida possono essere inclusi come reddito imponibile anche in più di una giurisdizione. Onde tenere conto di questa cosiddetta doppia inclusione dei redditi, la proposta mira a neutralizzare una doppia deduzione solo nella misura in cui gli stessi pagamenti, spese o perdite dedotti in due giurisdizioni superino l’importo dei redditi che possono essere attribuiti alla medesima entità ibrida e che sono inclusi in entrambe le giurisdizioni”.
Tuttavia, Beta non consegue componenti positivi di reddito verso soggetti terzi estranei al gruppo idonei a generare “redditi a doppia inclusione”, ma unicamente componenti positivi verso Alfa (il cui corrispettivo è misurato con il metodo “cost plus”), i quali non concorrono a formare il reddito della società statunitense, in quanto considerate “disregarded” in applicazione del regime fiscale “check-the-box”.
In altri termini, la situazione appena descritta (peraltro frequente nell’ambito dei gruppi multinazionali in cui le subsidiaries, collocate all’estero rispetto al Paese di residenza fiscale della casa madre, svolgono solo attività di supporto a quest’ultima senza quindi effettuare operazioni nei confronti di soggetti terzi estranei al gruppo), nella quale ad Alfa sono imputati per trasparenza i componenti negativi di reddito sostenuti da Beta verso soggetti terzi, ma non i componenti positivi conseguiti da quest’ultima società per operazioni infragruppo, potrebbe condurre all’applicazione della disciplina domestica in tema di “disallineamento da ibridi”.
Quanto, invece, al presupposto soggettivo di applicazione della disciplina in commento, esso è ravvisabile nel comma 2, lett. c) dell’art. 6 del D.Lgs. n. 148/2018, il quale prevede che “un disallineamento è ritenuto un disallineamento da ibridi se si verifica tra imprese associate, tra un soggetto passivo e un’impresa associata, tra la sede centrale e una stabile organizzazione, tra due o più stabili organizzazioni della stessa entità ovvero nell’ambito di un accordo strutturato”. La disposizione in commento si attaglia evidentemente al nostro esempio: Alfa è la parent della subsidiary Beta.
Considerato quanto sopra, l’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 148/2018 racchiude una norma tesa a porre rimedio al “disallineamento da ibridi” di cui si discorre.
La norma in parola dispone che “[n]ella misura in cui un disallineamento da ibridi determina una doppia deduzione, la deduzione del componente negativo di reddito è negata in capo al soggetto passivo qualora lo Stato italiano sia lo Stato dell’investitore ovvero qualora sia lo Stato del pagatore e la deduzione del componente negativo di reddito non è negata nello Stato dell’investitore. L’indeducibilità nello Stato dell’investitore deve risultare da una dichiarazione rilasciata dal contribuente ivi residente o localizzato ovvero da altri elementi certi e precisi”.
Calando i concetti espressi nella norma predetta nel caso di specie, è possibile affermare che, poiché Beta deduce, nella determinazione del reddito di impresa ai fini IRES, i componenti negativi di reddito sostenuti verso terzi soggetti, esso è da considerarsi soggetto “pagatore” e quindi lo Stato italiano assume la veste di “Stato del pagatore”. In proposito il Dossier 12 settembre 2018, A.G. 42 “Norme contro le pratiche di elusione fiscale (direttiva ATAD 2)”, ha chiarito che “ove la componente negativa di reddito (quale, ad esempio, il pagamento di un interesse passivo) risulti deducibile ai fini della determinazione del reddito imponibile di un soggetto passivo, lo Stato italiano viene identificato come lo “Stato del pagatore“”, mentre “[q]ualora la componente negativa di reddito sostenuta da una stabile organizzazione di un soggetto passivo [italiano] o da un soggetto non residente [in Italia] venga imputata a un soggetto passivo [italiano] e risulti deducibile ai fini della determinazione del suo [ovvero, del soggetto non residente] reddito imponibile, lo Stato italiano è identificabile come lo “Stato dell’investitore“”.
Quanto, invece, ad Alfa, essa è da considerarsi “investitore” e, di conseguenza, gli Stati Uniti “Stato dell’investitore” giacché, in quest’ultimo Paese, le “disregarded entity” (Beta nel caso di specie) sono assimilabili in tutto e per tutto alle stabili organizzazioni, di talché è come se Alfa avesse in Beta una stabile organizzazione in Italia.
Pertanto, alla luce di quanto sopra illustrato, risultano integrate le caratteristiche di un “disallineamento da ibridi”, così come disciplinato dal D.Lgs. n. 148/2018, di talché sembrerebbe inevitabile l’attivazione (nei confronti di Alfa o, in subordine, nei confronti di Beta) delle menzionate “defensive rules” contro le “doppie deduzioni” di cui all’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 148/2018.
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Diritti degli interessati
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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