Con il presente contributo, si vuole dar luogo ad una ricognizione circa gli attuali sviluppi giurisprudenziali in tema di esenzione dell’abitazione principale ai fini IMU. Sul punto si registrano alcuni arresti giurisprudenziali di legittimità che paiono a tutt’oggi ancorati al sotto-sistema valevole ai fini ICI, negando la spettanza dell’esenzione, anche ai fini IMU, là dove i coniugi siano residenti in Comuni differenti. Tuttavia, la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce si è discostata da tale conclusione con una motivazione meritevole di apprezzamento, siccome maggiormente aderente – oltre che alla realtà sociale – alle peculiarità della disciplina riferibile all’IMU.
On new jurisprudential developments regarding the IMU exemption relating to the main residence. – With this article, we want to present a survey of the current jurisprudential developments on the subject of exemption of the main residence for IMU purposes. On this point, there are some judgments of the Italian Supreme Court that still seem to be anchored to the subsystem valid for ICI purposes, denying the right to exemption for IMU purposes, where the spouses are resident in different Municipalities. However, the Tax Court of Lecce deviated from this conclusion according to reasons worthy of appreciation, as it is more adherent to the features of regulatory framework relating to the IMU, as well as to the social reality.
Sommario: 1. La norma di esenzione dell’abitazione principale alla stregua del nuovo sistema IMU – 2. La linea interpretativa della giurisprudenza di legittimità: l’appiattimento sui principi di diritto valevoli ai fini ICI e la lettua parziale della nuova disciplina dell’IMU – 3. La soluzione interpretativa dei giudici di merito: alla ricerca del contemperamento fra istanze sociali e lotta a condotte opportunistiche/elusive – 4. Considerazioni conclusive.
1. L’attività interpretativa richiede un’indefettibile attenzione alla realtà sociale in cui ciascun concetto o istituto giuridico si colloca, onde evitare che si possa realizzare un vuoto incolmabile fra la “natura delle cose” (fatto) e il mondo giuridico (le idee). Tale operazione deve avvenire attraverso l’argomentazione, seguendo i corretti canoni esegetici che il legislatore offre, in generale, a tutti gli operatori del diritto e, in specie, ai giudici. Solo muovendo da una prospettiva teorica istituzionale, è possibile recuperare la validità dell’endiadi “diritto e ragione”, potendo quindi affermare che il diritto è ragione là dove si abbia rispondenza all’effettive esigenze della società (LIPARI, Diritto civile e ragione, Milano, 2019).
Questa premessa può essere canalizzata in ambito tributario in relazione alla vicenda concernente il riconoscimento dell’esenzione dell’abitazione principale ai fini IMU. Al riguardo, pare appena il caso di rammentare che, secondo la disciplina introdotta ad opera dell’art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011 (nella versione vigente a decorrere dall’annualità 2013), «l’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa» (eccezion fatta per le categorie catastali A/1, A/8 e A/9), con l’ulteriore precisazione che «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile».
Tale norma ha carattere innovativo rispetto alla normativa valevole ai fini ICI. Ma continua a porre dei problemi applicativi in relazione a casi in cui i coniugi – sia pur non legalmente separati – risiedano in Comuni diversi. In tali ipotesi sorge il quesito circa la spettanza o meno dell’esenzione. In via di principio, il beneficio dovrebbe essere riconosciuto in capo al soggetto che realizza il presupposto del tributo, nonostante le incertezze emerse nell’ultimo periodo a proposito della distinzione tra titolarità e disponibilità del bene-fonte della ricchezza tassata (sul punto v. PAPARELLA, Le incertezze della Corte di Cassazione in merito all’individuazione del soggetto passivo dell’IMU nel caso di risoluzione anticipata del contratto di “leasing”, in Riv. dir. trib., 2020, 2, 2, 88-107; RAGUCCI, Un passo verso la soluzione del problema della soggettività passiva all’IMU dopo la risoluzione del “leasing” immobiliare, in Riv. dir. trib., 2020, 2, 2, 108-124; CORASANITI, Riflessioni (tra norme e principi di diritto civile e diritto tributario) a margine di due recenti (e contrastanti) pronunce della Suprema Corte sulla controversa soggettività passiva ai IMU nel leasing immobiliare, in Dir. e prat. trib., 2019, II, 2163; più in generale sul presupposto dell’IMU, v. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2016, 547-548; GIRELLI, Dubbi in materia di base imponibile IMU, in Dir. Prat. Trib., 2017, 3, 1004; IDEM, Crisi del mercato ed esenzione Imu, in Corr. trib., 2015, 2184; sul presupposto dell’ICI, v. MARINI, Contributo allo studio dell’imposta comunale sugli immobili, Milano, 2000, 62).
2. Ad ogni modo, per ciò che concerne il quesito specifico che ci occupa, si registrano alcune recenti soluzioni esegetiche che non lascerebbero spazio alla possibilità di riconoscimento del beneficio. Secondo la Corte di Cassazione, l’esenzione dovrebbe essere accordata solo per l’ipotesi in cui tanto il possessore, quanto il suo nucleo familiare dimorino stabilmente e risiedano anagraficamente nella medesima unità immobiliare (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 5, ord., 19 febbraio 2020, n. 4170). Sembrerebbe che la norma sia intesa come reiterativa dei principi di diritto ritraibili ai fini ICI, tant’è che, nella citata ordinanza, si ritiene che non ricorrano ragioni per discostarsi dall’interpretazione recata da alcune pronunce precedenti, ma aventi ad oggetto la normativa ICI (v. Cass. civ. Sez. V, sent. 15 giugno 2010, n. 14389; Cass. civ. Sez. VI – 5, ord. 21 giugno 2017, n. 15444; Cass. civ. Sez. V, ord. 24 maggio 2017, n. 13062; sulla rilevanza della questione nella disciplina ICI, v. DEGANI, Esenzione ICI “prima casa” anche nell’ipotesi di residenze diverse del nucleo familiare, in Fisco, 2017, 36, 3488 ss.; GLENDI, Agevolazione ICI/IMU per abitazione principale e separazione di fatto dei coniugi, in Corr. Trib., 2018, 37, 2850 ss.; PICCOLO, Agevolazioni ICI limitate a una sola abitazione principale anche se il nucleo familiare è “scisso”, in Fisco, 2015, 40, 3892 ss.).
Sicché, il focus riversato nella sentenza appare del tutto mal mirato, in quanto poggia su una premessa erronea (a cagione dell’irrilevanza della normativa ICI) ed oltretutto su una lettura parziale dell’art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011. E difatti, nella sentenza, i Supremi Giudici valorizzano il portato precettivo dell’8 del d.lgs. n. 504/1992, ancorché sia riferibile solo alle riduzioni e alle detrazioni ai fini ICI; in secondo luogo, ci si sofferma solo su un frammento della disposizione (effettivamente applicabile), rimanendo del tutto negletta la parte in cui l’art. 13, comma 2 cit. esclude l’esenzione per il solo caso in cui la dimora e la residenza siano posti in immobili diversi nel medesimo territorio comunale. Tale dato non è di poco momento nella ricostruzione dell’attuale norma.
Si riscontra una tendenza all’adesione ai principi operanti ai fini ICI (senza considerare minimamente la specifica clausola di delimitazione dell’esenzione) anche negli arresti di legittimità più recenti (Cass., Sez. 6, ord. 24 settembre 2020, n. 20130). In tale ultima occasione, i Supremi Giudici – per corroborare la propria argomentazione – evocano l’introduzione (a far data dal 1° gennaio 2016) della norma che riconosce la riduzione del 50% della base imponibile in caso di immobili dati in comodato (regolarmente registrato), nel caso in cui, per un verso, il comodatario sia parente in linea retta entro il primo grado del comodante (cioè vi sia un rapporto genitore/figlio) e quest’ultimo (i.e. il comodante) abbia un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso Comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.
Questo riferimento desta perplessità circa l’attitudine del tema a rafforzare il convincimento espresso dalla Suprema Corte. Anzitutto, non è dato comprendere come possa rilevare una norma che è entrata in vigore a partire dell’annualità 2016, in un giudizio scaturente dall’impugnazione di un avviso di accertamento per l’anno 2013. Ma al di là di questa specificità riferibile al giudizio de quo, l’introduzione di una mera riduzione della base imponibile non è suscettibile di offrire conferma della tesi secondo cui l’abitazione principale richiederebbe la dimora e la residenza di tutti, proprio perché la norma sul comodato riguarda un caso in cui opera la delimitazione (espressamente prevista) nell’ipotesi di due residenze in immobili siti nel medesimo territorio Comunale. Inoltre, la riduzione opererebbe nel caso in cui il comodato sia concesso a favore dei figli e non già nel rapporto fra coniugi.
Tali circostanze sollevano dubbi circa la correttezza della soluzione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, richiedendo dei correttivi in termini di una maggiore ponderazione del sotto-sistema IMU e delle implicazioni sociali cui il legislatore ha inteso far fronte.
3. E difatti, a diversi approdi è pervenuta la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (con sentenza 15 luglio 2020, n. 945), là dove si rinnega la rilevanza delle sentenze emesse in materia ICI. In quell’occasione, i giudici salentini – sulla base di una ponderazione autonoma e più approfondita del nuovo regime normativo concernente l’IMU – rimarcano le circostanze in presenza delle quali sia possibile riconoscere l’esenzione in discorso. A questo proposito, la ricostruzione che se ne offre si appunta sui due dati: i) quello della residenza anagrafica, quale elemento avente una connotazione meramente formale, essendo ritraibile dall’iscrizione presso il pubblico registro dell’Anagrafe; ii) quello della dimora abituale, trattandosi di un requisito fattuale/sostanziale.
Ciò posto, i due requisiti devono trovare rispondenza rispetto al «possessore e ai suoi familiari». È su tale sintagma che si rende possibile la delimitazione del raggio applicativo della norma di esenzione.
A fare chiarezza sul punto è proprio l’art. 13 cit. nella parte trascurata dalla Cassazione e cioè là dove si esclude l’esenzione per il solo caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio della medesima Municipalità.
Ma al di là di siffatta ipotesi espressamente disciplinata, l’esenzione dev’essere riconosciuta, in quanto la norma di delimitazione dell’ambito di operatività dell’esenzione è norma (a sua volta) eccezionale e, come tale, non è suscettibile di applicazione analogica a casi non espressamente previsti. Ciò significa, quindi, che l’esclusione del beneficio deve valere solo nell’ipotesi in cui la residenza e la dimora siano posti in immobili differenti rientranti nel perimetro del territorio del medesimo Comune, non potendosi estendere tale limitazione anche a casi in cui i requisiti richiesti (residenza e dimora abituale) siano riferiti ad unità immobiliari site in Comuni diversi.
Sul punto, la Commissione propone anche un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma (poggiante sugli artt. 53 e 29 Cost.), sottolineando come si creerebbe una disparità di trattamento dei coniugi (o dei soggetti uniti civilmente) rispetto ad una coppia di fatto per la quale la spettanza dell’esenzione è stata riconosciuta dalla giurisprudenza di merito (C.T.P. di Bologna, Sez. I, n. 441 del 22 marzo 2017).
Ad ulteriore conforto di tali argomenti letterale e sistematico, il collegio salentino evoca le “istanze sociali” poste a fondamento della scelta del legislatore di rimodulare i requisiti e i limiti dell’esenzione prima casa. E difatti, la soluzione esegetica è conforme all’evoluzione sociale dell’istituto familiare: se in passato il nucleo familiare aveva una struttura monolitica e veniva riunito presso il medesimo tetto coniugale, ad oggi non si può rimanere indifferenti a chi, per motivi di lavoro o di studio, sia costretto a stare lontano dalla propria famiglia. Il problema è avvertito con maggiore sensibilità rispetto alla giurisprudenza di legittimità anche dai giudici felsinei (C.T.P. di Bologna, Sez. I, sent. 23 dicembre 2019, n. 914), i quali rimarcano – con motivazione pressocché identica a quella del collegio salentino – come l’interpretazione della normativa di esenzione debba essere «coerente con l’evoluzione sociale, cui corrisponde anche il nuovo dettato normativo in tema di Imu» (C.T.P. di Bologna, Sez. I, sent. 23 dicembre 2019, n. 914; in dottrina, sul rapporto fra famiglia e fisco, v. FARRI, Un fisco sostenibile per la famiglia in Italia, Padova, 2018; TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, II, Torino, 2012).
E che le cose stiano in questi termini, lo si ritrae anche dai dati ISTAT pubblicati, poco prima dell’emanazione del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, nel report “Come cambiano le forme familiari” del 15 settembre 2011: in quella sede, l’Istituto definiva i c.d. “pendolari della famiglia”, identificandoli principalmente in coppie tra i trenta e i quarant’anni (aventi specializzazioni e professioni qualificate), i quali sono tuttavia costretti a vivere una famiglia “atipica” e “mobile”, dovendo abitare in città o regioni differenti principalmente per ragioni di lavoro. Il report in discorso (sia pur riferito all’anno 2009) stimava i c.d. pedolari della famiglia in 2 milioni 890 mila (ossia il 4,8% della popolazione).
A ben vedere, quindi, il legislatore pare essere stato indirizzato da tali rilevazioni statistiche, tant’è vero che il Ministero dell’Economia e delle finanze aveva rimarcato il carattere innovativo della normativa IMU, chiarendo che «l’esenzione si applica nel caso in cui i coniugi abbiano stabilito l’abitazione principale in due comuni diversi. La sentenza della Corte di Cassazione ha individuato un principio interpretativo delle norme sull’ICI relative all’abitazione principale che non recavano la stessa disposizione in commento. Pertanto, tale criterio interpretativo non può essere utilizzato quando la norma tributaria dispone chiaramente in materia» (cfr. Ministero dell’Economia, FAQ Mini IMU e Maggiorazione TARES, risposta a quesiti del 20 gennaio 2014). Tale conclusione ribadisce quanto chiarito dallo stesso Ministero in precedenza, là dove aveva avuto modo di sottolineare come la norma che esclude l’esenzione per immobili posti nel medesimo territorio comunale abbia una ratio antielusiva e, come tale, debba essere letta in senso restrittivo. Sempre secondo il Ministero, sarebbe del tutto diversa la fattispecie in cui gli immobili si trovino in Comuni differenti, per ciò che «il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative» (cfr. circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012 del Dipartimento delle Finanze, Direzione federalismo fiscale).
Tali osservazioni sono state recepite dalla recente giurisprudenza di merito e, segnatamente, dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce nella sentenza succitata. E difatti, occorre che vi sia un contemperamento fra le esigenze di tutela contro comportamenti opportunistici/elusivi e le diverse istanze provenienti dalla società. A questo riguardo, i giudici salentini elaborano un punto di equilibrio fra i diversi interssi in gioco, ossia quello degli Enti locali ad evitare perdite di gettito a cagione di condotte elusive e quello dei c.d. “pendolari della famiglia” ad ottenere il riconoscimento dell’esenzione. La soluzione proposta, difatti, concerne la necessità di dar luogo ad un accertamento in concreto circa «l’effettività dei requisiti richiesti dalla norma» e cioè, oltre al dato formale (i.e. residenza del coniuge presso un immobile posto in un altro Comune da quello in cui risiede l’altro), occorre dimostrare l’effetttiva dimora presso l’altro immobile, avvalendosi a tal fine dei molteplici elementi di prova confermativi di tale requisito (ad es. utenze domestiche, attestazioni di svolgimento dell’attività lavorativa oppure della necessità di assistenza ad un parente infermo, ecc.).
4. Alla luce degli stimoli provenienti dalla giurisprudenza di merito, è dato concludere che l’interpretazione delle norme non può prescindere dalle esigenze derivanti dai nuovi modelli familiari, altrimenti incorrendosi in quel vizio di fondo che rinnega l’obiettivo all’ottenimento (per quanto tendenzialmente possibile) di un approccio consensualistico al tributo. Vero è che le istanze derivanti dal contrasto alle forme di elusione sono del tutto comprensibili e ragionevoli. Tuttavia, i principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza di legittimità paiono connotati su un piano di eccessiva astrattezza, per ciò che considerano solo la residenza del coniuge in un altro Comune (i.e. un aspetto meramente formale) ai fini del disconoscimento dell’esenzione. Tale soluzione appare eccessivamente rigida, ancorché poggiante su istanze di lotta all’opportunismo di alcuni.
Per converso, le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito sembrano maggiormente coerenti con il principio di proporzionalità, atteso che, dando luogo ad una ponderazione dei valori in gioco (capacità contributiva e necessità di tutela delle “famiglie pendolari”), rielaborano il dato normativo in modo del tutto idoneo rispetto agli obiettivi da perseguire e senza andare oltre quanto necessario per l’attuazione della norma.
In questa chiave di lettura è certamente apprezzabile l’attenzione alla concretezza delle circostanze in cui versano le famiglie interessate.
A ciò si potrebbe aggiungere che, se si accoglie la funzione antielusiva della norma dell’art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011, si deve anche rimarcare come esista un principio di sistema secondo cui, ove una norma tributaria – avente l’obiettivo di contrastare comportamenti elusivi – limiti posizioni soggettive del soggetto passivo (altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario), il contribuente ha diritto a fornire la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi (art. 11, comma 2, l. 212/2000).
La rilevanza sistematica di tale norma (sia pur inserita nell’ambito della disciplina dell’interpello disapplicativo) potrebbe favorire l’innesco di virtuosismi fra gli Enti locali e i contribuenti in sede di contraddittorio preventivo. Si potrebbe immaginare che, a fronte di situazioni di residenza dei coniugi in immobili siti in diversi Comuni, le Municipalità attivino una forma di collaborazione con i contribuenti, onde comprendere se, in ciascuna fattispecie concreta, ricorrano (o meno) le istanze poste dai c.d. pendolari della famiglia, previa istruttoria circa i documenti attestanti le ragioni della “lontananza” dei coniugi e l’effettiva dimora presso il diverso Comune di residenza. In tal modo, si potrebbe conciliare sia la tutela dell’interesse degli Enti impositori, sia quello delle famiglie, senza creare quell’incolmabile iato fra il mondo del diritto e la realtà sociale in cui ci troviamo.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
CORASANITI, Riflessioni (tra norme e principi di diritto civile e diritto tributario) a margine di due recenti (e contrastanti) pronunce della Suprema Corte sulla controversa soggettività passiva ai IMU nel leasing immobiliare, in Dir. e prat. trib., 2019, II, 2163
DEGANI, Esenzione ICI “prima casa” anche nell’ipotesi di residenze diverse del nucleo familiare, in Fisco, 2017, 36, 3488 ss.
FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2016, 547-548
FARRI, Un fisco sostenibile per la famiglia in Italia, Padova, 2018
GIRELLI, Dubbi in materia di base imponibile IMU, in Dir. Prat. Trib., 2017, 3, 1004
GIRELLI, Crisi del mercato ed esenzione Imu, in Corr. trib., 2015, 2184
GLENDI, Agevolazione ICI/IMU per abitazione principale e separazione di fatto dei coniugi, in Corr. Trib., 2018, 37, 2850 ss.
LIPARI, Diritto civile e ragione, Milano, 2019
MARINI, Contributo allo studio dell’imposta comunale sugli immobili, Milano, 2000, 62
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PICCOLO, Agevolazioni ICI limitate a una sola abitazione principale anche se il nucleo familiare è “scisso”, in Fisco, 2015, 40, 3892 ss.
RAGUCCI, Un passo verso la soluzione del problema della soggettività passiva all’IMU dopo la risoluzione del “leasing” immobiliare, in Riv. dir. trib., 2020, 2, 2, 108-124
TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, II, Torino, 2012
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2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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