Brevi note in merito al trattamento dei dividendi in valuta ai fini Ires
Di Francesco Pedrotti e Amedeo Domanti -
Abstract
Le differenze cambio, realizzate al momento dell’incasso di dividendi provenienti da una società partecipata estera, concorrono, in forza del principio di “derivazione rafforzata” di cui all’art. 83, comma 1, del Tuir, a formare il reddito di impresa autonomamente in base al regime impositivo loro proprio.
Brief notes related to the treatment of the currency dividends for Ires purposes. – The exchange differences, realized on the cashing of dividends coming from a foreign participated company, share, according to the “reinforced derivation” principle provided by art. 83, par. 1, of the Income Tax Code, the business income basis autonomously pursuant to their own tax regime.
Sommario:1. Premessa. – 2. La Ris. Ag. Entr. 6 giugno 2019, n. 57/E. – 3. Il principio di “derivazione rafforzata” di cui all’art. 83 comma 1 del Tuir. – 4. Il criterio di classificazione delle poste di bilancio: l’appostazione degli incassi e pagamenti di crediti e debiti in valuta estera. – 5. L’art. 2 comma 2 del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 1° aprile 2009, n. 48. – 6. Conclusioni.
1. Con la presente nota si intende svolgere alcune considerazioni in ordine al trattamento, ai fini della determinazione del reddito di impresa, delle differenze cambio maturate nel periodo intercorrente tra la data in cui i dividendi in valuta, provenienti da una società partecipata estera, sono contabilizzati “per competenza” dalla società partecipante residente nel territorio dello Stato e la successiva data di incasso dei dividendi medesimi.
Ai fini che qui occupano occorre stabilire, in particolare, se le predette differenze cambio: (i) assumano autonoma rilevanza sul piano fiscale e siano dunque soggette ad un trattamento separato rispetto ai dividendi cui afferiscono (favorevoli a quest’impostazione sono MIELE – RUSSETTI, Differenze cambio su operazioni in valuta: quale regime fiscale?, Corr. Trib., n. 4/2020, 351, ss.), oppure (ii) non si connotino per un’autonoma rilevanza da un punto di vista fiscale, cosicché l’eventuale utile su cambi contabilizzato concorrerebbe a formare il reddito di impresa come “parte” del dividendo ricevuto (mutuandone il relativo regime impositivo) e l’eventuale perdita su cambi contabilizzata non concorrerebbe a formare tale reddito (in proposito si vedano: FURIAN – RICCI, Note sul trattamento tributario di utili e perdite su cambi correlati a componenti reddituali rilevanti per cassa, il Fisco, n. 15/2009, 2347, ss.. Su questa linea sembra porsi anche EGORI, La disciplina fiscale delle operazioni finanziarie in valuta ai fini Ires e Irap, Strum. fin. e fisc. n. 5/2011, 68-69. Sul tema si veda anche DI FELICE, Le operazioni finanziarie in valuta, in “Gli strumenti finanziari nella fiscalità d’impresa”, a cura di Corasaniti, Milano, 2013, 361, ss.).
2. Posto quanto sopra, l’Agenzia delle Entrate, nella Ris. 6 giugno 2019, n. 57/E, mostrando di propendere per la seconda delle impostazioni poc’anzi illustrate, non ha attribuito rilevanza fiscale autonoma alle differenze cambio relative a dividendi di fonte estera percepiti da un soggetto partecipante residente in Italia, in quanto le medesime, alla luce del principio di cassa racchiuso dell’art. 9, comma 2, primo periodo, del Tuir, mutuerebbero lo stesso regime fiscale dei dividendi.
La presa di posizione in parola parrebbe porsi in linea con la tesi dottrinale secondo cui, poiché il dividendo, contabilizzato “per competenza” alla data di delibera di distribuzione dell’utile da parte della società partecipata (cfr. Principio contabile OIC n. 21, punto 58), assumerebbe rilevanza fiscale, ai sensi dell’art. 89, comma 2, del Tuir, solo al momento della percezione, il correlato credito, iscritto in contabilità come contropartita del dividendo, costituirebbe un’attività patrimoniale fiscalmente non riconosciuta (in tal senso FURIAN – RICCI, Note sul trattamento tributario di utili e perdite su cambi correlati a componenti reddituali rilevanti per cassa, cit., 2349). Da ciò discende, quindi, che, al momento della percezione del dividendo, l’eventuale differenza cambio, registratasi tra la data di contabilizzazione del credito per dividendi e la data di incasso del credito medesimo, non assumerebbe, in quanto tale, rilevanza fiscale.
La tesi dell’Agenzia delle Entrate – la quale, nel chiarire il trattamento fiscale dei dividendi in valuta, non prende minimamente in considerazione il principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir – non pare condivisibile per le ragioni di seguito esposte.
3. La norma di più immediato interesse, in relazione alla questione di cui si discorre, è contenuta nell’art. 83, comma 1, del Tuir, la quale, dopo l’enunciazione del noto principio di “derivazione parziale” del reddito di impresa dal risultato economico di esercizio, stabilisce che per i soggetti, diversi dalle micro-imprese di cui all’art. 2435 ter del codice civile, redigenti il bilancio in conformità alle disposizioni del codice civile (i soggetti c.d. OIC adopter), valgono, anche in deroga alle disposizioni di cui alla Sezione I, Capo II, Titolo II, del Tuir, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai principi contabili ad essi applicabili. La lettura della norma in parola consente dunque di affermare come, nella determinazione del reddito di impresa prodotto dai soggetti c.d. OIC adopter, l’applicazione dei predetti criteri di matrice civilistica prevalga sull’applicazione delle regole di misurazione del reddito di impresa contenute negli artt. da 81 a 116 del Tuir.
Ciò posto, si osserva come, nel caso di cui si discorre, l’operare della “prevalenza” cui si è fatto cenno poc’anzi è condizionato alla previa dimostrazione che la questione attinente il raffronto tra le due summenzionate tesi confliggenti – succintamente descritte nel paragrafo 1. – abbia a che fare con i criteri di qualificazione, imputazione temporale o classificazione in bilancio cui ha rinviato il legislatore dell’art. 83 del Tuir.
4. Pare ragionevole sostenere come la questione inerente il predetto raffronto abbia, in specie, a che vedere con il criterio di “classificazione”, da intendersi essenzialmente quale criterio di appostazione in bilancio degli elementi patrimoniali e/o reddituali scaturiti da una data operazione di gestione (quanto al rapporto tra i criteri di qualificazione e classificazione, la recente sentenza della Corte di Cassazione 13 agosto 2020, n. 17011 ha sancito che, mentre i primi “consistono nell’inquadramento del fatto di gestione all’interno dello schema di riferimento individuato da una determinata fattispecie normativa, per attribuirgli l’effetto giuridico previsto dall’ordinamento” i secondi definiscono “la tipologia di provento o di onere, così come qualificata nella rappresentazione di bilancio IAS compliant, nella quale ascrivere lo stesso fatto di gestione, ovvero quel determinato componente di reddito”. Si è espressa sul punto anche l’Assonime (cfr. Guida all’applicazione dell’Ires e dell’Irap per le imprese IAS adopter, a cura di Vacca – Garcea, Documento 1 del 2011, 60-61), la quale ritiene che la classificazione costituisce un corollario della qualificazione, nel senso che la classificazione concerne le modalità di rappresentazione dell’operazione in bilancio, una volta stabilita la sua natura in base alle qualificazioni).
Sul versante prettamente reddituale “si tratta in sintesi di individuare la specifica tipologia (o “classe”) di provento o di onere di ciascuna operazione così come qualificata nella rappresentazione IAS compliant” (nel caso di specie nella rappresentazione OIC compliant n.d.a.) (in questi termini si veda la Circ. Ag. Entr. 28 febbraio 2011, n. 7, 85, in merito alle regole di determinazione del reddito dei soggetti c.d. IAS adopter).
Con specifico riferimento al criterio di appostazione in bilancio dell’evento gestionale qui di interesse, utili indicazioni provengono dal Principio contabile O.I.C. n. 26, par. 4.2., laddove viene precisato che, in caso di incasso o pagamento di attività o passività in valuta estera (tra cui sono da ricomprendere gli incassi di crediti per dividendi in valuta estera), gli utili e le perdite da conversione “sono rilevati nel conto economico (voce C-17 bis) (…) e, pertanto, essi non sono da considerarsi a rettifica dei ricavi e dei costi originari (…). Conseguentemente le differenze di cambio danno luogo a proventi ed oneri rientranti nella gestione finanziaria dell’impresa”.
Da quanto precede risulta quindi che, ove un’operazione di incasso di crediti e debiti in valuta dia luogo a differenze cambi, queste ultime sono distintamente rilevate a conto economico e classificate, come proventi e oneri, nella voce C-17 bis dello schema di cui all’art. 2425 del codice civile.
5. La classificazione, sul piano reddituale, delle differenze cambio prevista dal Principio O.I.C. n. 26 dovrebbe quindi esplicare effetti, sulla base del predetto principio di “derivazione rafforzata”, racchiuso nell’art. 83, comma 1, secondo periodo, del Tuir, anche ai fini della determinazione del reddito di impresa, cosicché, al momento dell’incasso del credito per dividendi, i proventi od oneri in valuta estera imputati a conto economico concorrerebbero autonomamente a formare il reddito imponibile del soggetto percettore, senza quindi che influenza alcuna possa essere esercitata, in punto di regime impositivo applicabile, dal provento cui detti differenziali afferiscono (il dividendo) (in tal senso merita fare riferimento, in termini più generali, a ZIZZO, La “questione fiscale” delle società IAS/IFRS, in “La fiscalità delle società IAS/IFRS”, a cura di Zizzo, Milano, 2018, 16, il quale, nel descrivere il criterio di classificazione cui rinvia l’art. 83 del Tuir, ha osservato come detto rinvio produca la “conversione di effetti contabili in effetti tributari” determinando la veste nella quale i fatti di gestione incidono sulla formazione dell’imponibile. Sul punto si vuole inoltre riportare la diversa tesi di FRANSONI, La categoria dei redditi d’impresa, in Russo, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Milano, 2009, 202-203, secondo cui il rinvio cui si è fatto cenno poc’anzi comporta la recezione di regole contabili nell’ambito di quelle tributarie).
Le considerazioni poc’anzi effettuate non pare possano essere messe in discussione dal contenuto della Risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 5 del 2019, nella quale è affermato che, in caso di vendita di partecipazioni in valuta, la differenza tra cambio storico e quello vigente in sede di cessione non assume autonoma rilevanza fiscale, bensì sarebbe “assorbita” dalla plusvalenza o minusvalenza da realizzo. La conclusione raggiunta dall’Agenzia delle Entrate non pare in contrasto con la tesi qui sostenuta a motivo del fatto che il caso trattato nel predetto documento di prassi ha ad oggetto la vendita di una posta in valuta “non monetaria” (una partecipazione) per la quale il Principio O.I.C. n. 26, punto 30, ha, appunto, precisato che le differenze cambio non trovano evidenza contabile separata, ma concorrono a formare la plusvalenza o minusvalenza da realizzo della partecipazione. Al contrario, il caso oggetto della presente nota riguarda una posta in valuta “monetaria” (il credito per dividendi), per la quale il suddetto Principio contabile ha previsto un’autonoma rilevanza contabile delle differenze cambio dai proventi (segnatamente i dividendi) cui esse afferiscono.
La tesi qui sostenuta deve, altresì, essere valutata alla luce della norma contenuta nell’art. 2, comma 2, del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 1° aprile 2009, n. 48, applicabile sia ai soggetti IAS compliant sia ai soggetti OIC adopter, la quale prevede che, in deroga al principio di “derivazione rafforzata” di cui all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir (la natura derogatoria della norma in parola si evince dalla stessa Relazione illustrativa al Decreto n. 48/2009), si applicano le disposizioni di cui agli artt. da 81 a 116 del Tuir, tra le quali figurano quelle volte a stabilire “la rilevanza di componenti positivi o negativi nell’esercizio, rispettivamente, della loro percezione o del loro pagamento(…)” (in dottrina, segnatamente ZIZZO, La “questione fiscale” delle società IAS/IFRS, in “La fiscalità delle società IAS/IFRS”, cit. 21, sono stati ravvisati profili di illegittimità della norma da ultimo richiamata in quanto in contrasto con la norma primaria di cui all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir. Con riguardo, più in generale, a possibili profili di illegittimità dei decreti ministeriali aventi ad oggetto le regole di coordinamento tra normativa fiscale e principi contabili si veda FRANSONI, I decreti ministeriali di coordinamento della disciplina i.r.e.s e i.r.a.p. con i principi contabili internazionali: profili di legittimità, in questa Rivista, 14 gennaio 2018).
Ciò posto, si tratta ora di stabilire quali siano le disposizioni racchiuse tra gli artt. 81 e 116 del Tuir, concernenti l’imputazione a periodo in base al criterio di “cassa”, le quali potrebbero trovare applicazione nel caso in esame.
Pertinente alla specifica tematica qui trattata è sicuramente il combinato disposto dell’art. 110, comma 2 e 9, comma 2, del Tuir, il quale, per quanto di interesse, dispone quanto segue:
“(…) con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri (…) in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell’art. 9 (…)” (art. 110, comma 2, del Tuir);
“(…)i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti (…) (art. 9, comma 2, del Tuir).
In via preliminare rispetto alle considerazioni di seguito svolte sembra opportuno notare come le norme di cui sopra siano annoverabili tra quelle concernenti l’“imputazione a periodo” dei componenti reddituali e non tra quelle sulla “valutazione” dei componenti stessi e ciò in quanto, sebbene all’aspetto valutativo facciano letterale riferimento entrambe le norme citate, la “valutazione” in parola è da intendersi effettuata al precipuo fine di stabilire la “data in cui [i detti componenti reddituali n.d.a.] si considerano conseguiti o sostenuti” (in tal senso parrebbe anche ZIZZO, La “questione fiscale” delle società IAS/IFRS, in “La fiscalità delle società IAS/IFRS”, cit., 21).
Ciò precisato, si rileva come il predetto combinato disposto potrebbe indurre a sostenere che un dividendo in valuta, dovendo essere convertito in Euro, a norma dell’art. 9, comma 2, del Tuir, secondo il cambio del giorno in cui è stato incassato, non possa, di fatto, dare origine alle differenze cambio, rilevate civilisticamente, originatesi a causa dell’oscillazione intercorsa tra il giorno in cui il dividendo medesimo è stato contabilizzato (data di delibera di distribuzione) e quello in cui esso è stato materialmente percepito. Pertanto, un’eventuale differenza cambi positiva sarebbe “assorbita” nel dividendo assumendone il relativo regime impositivo di parziale esclusione dal reddito, mentre un’eventuale differenza cambi negativa non concorrerebbe a formare il reddito di impresa.
A questo punto è necessario comprendere se quello di cui all’art. 110, comma 2 e 9, comma 2, del Tuir costituisca o meno un combinato normativo idoneo a derogare al principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir e, in particolare, al criterio di classificazione in bilancio dei proventi e oneri in valuta da realizzo di cui si è dato conto precedentemente.
Posto quanto sopra è da ritenere che il combinato disposto di cui si discorre non sia idoneo a derogare al principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir e ciò, essenzialmente, per le ragioni che seguono:
la norma derogatoria del principio di “derivazione rafforzata”, di cui all’art. 2, comma 2, del D.M. n. 48 del 2009, pare legittimare, per quanto di interesse, la sola imputazione a periodo “per cassa” dei componenti reddituali, senza tuttavia “travolgere” anche la classificazione dei medesimi precedentemente fornita in sede civilistica. In altre parole, ritenere applicabile il combinato disposto in parola significherebbe, non solo derogare alle regole fiscali in punto di imputazione a periodo dei componenti reddituali, il che è legittimato dalla suddetta norma regolamentare, ma andare oltre, ossia legittimare, al di là della probabile intenzione del legislatore di rango secondario, la riclassificazione, ai soli fini fiscali, come “dividendi”, di componenti reddituali classificati quali “proventi su cambi” ai sensi dell’art. 83, comma 2, ultimo periodo, del Tuir;
applicare, nel caso di specie, il combinato disposto dell’art. 110, comma 2 e 9, comma 2, del Tuir implicherebbe, a nostro avviso, accreditare una portata oltremodo estensiva dell’art. 2, comma 2, del D.M. n. 48 del 2009, il quale, in quanto norma di rango secondario, non può derogare – fatte salve, naturalmente, le fattispecie espressamente previste il cui ambito di operatività, tuttavia, è da interpretarsi in senso rigorosamente letterale – la norma di rango primario contenuta nell’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir e ciò, a ben vedere, anche in virtù della ratio della norma da ultimo nominata volta a ridurre “significativamente le discordanze tra l’utile di bilancio e il reddito di impresa” (cfr. Circ. Ag. Entr. n. 7/2011, pag. 75);
calando le osservazioni di cui all’alinea precedente nel caso qui in oggetto, occorre quindi osservare che, mentre l’art. 89, comma 2, del Tuir racchiude una fattispecie regolante l’imputazione a periodo, per cassa, di un componente positivo di reddito, come tale derogatoria del principio di “derivazione rafforzata” di cui all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir, il combinato disposto dell’art. 110, comma 2 e 9, comma 2, del Tuir, pur potenzialmente rientrante tra le fattispecie di cui all’art. 2, comma 2, del D.M. n. 48 del 2009, non rappresenta, a nostro avviso, una deroga piena all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir, a motivo del fatto che la sua applicazione presuppone, ossia consegue a, una questione attinente la “classificazione a bilancio” di componenti reddituali, la quale, nel contesto del suddetto art. 83, svolge dunque funzione propedeutica quindi preminente rispetto alle “imputazioni a periodo” dei suddetti componenti e ciò in virtù della stretta connessione tra imputazioni temporali e classificazioni a bilancio (circa la stretta connessione tra imputazioni a periodo e qualificazioni e classificazioni di bilancio si veda anche Circ. Ag. Entr. n. 7/2011, pag. 90).
Pertanto, secondo questa impostazione, la classificazione dei componenti reddituali fornita in sede civilistica non può essere modificata da norme fiscali in materia di imputazione a periodo (cfr. Circ. Ag. Entr. n. 7/2011, pag. 90).
6. In conclusione, si osserva che se un differenziale in valuta di tipo realizzativo è classificato a conto economico – a mente del criterio di classificazione in bilancio dei componenti reddituali, applicabile ai fini fiscali in forza del sunnominato principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83, comma 2, secondo periodo, del Tuir – come “provento od onere su cambi”, non si ritiene legittima una sua riclassificazione ai fini della determinazione del reddito di impresa. Tale riclassificazione non può, in specie, essere operata invocando il combinato disposto dell’art. 110, comma 2 e 9, comma 2, del Tuir, il quale, giacché volto essenzialmente a regolamentare le imputazioni a periodo di proventi e oneri in valuta, non pare, al contrario, idoneo a legittimare una classificazione dei componenti reddituali da ultimo nominati diversa da quella effettuata in base ai principi contabili nel rispetto del più volte citato principio di derivazione rafforzata.
Considerato quanto sopra, la delicatezza della questione, acuita dalla summenzionata presa di posizione dell’Agenzia delle Entrate nella Ris. n. 57/E/2019, richiederebbe un chiarimento definitivo da parte della stessa autorità fiscale, la quale, nel valutare la questione stessa, dovrebbe tenere in debita considerazione la valenza rivestita, nel caso di specie, dal principio di “derivazione rafforzata” di cui all’art. 83, comma 1, ultimo periodo, del Tuir.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
ASSONIME, Guida all’applicazione dell’Ires e dell’Irap per le imprese IAS adopter, a cura di Vacca – Garcea, Documento 1 del 2011
DI FELICE, Le operazioni finanziarie in valuta, in Gli strumenti finanziari nella fiscalità d’impresa, a cura di Corasaniti, Milano, 2013
EGORI, La disciplina fiscale delle operazioni finanziarie in valuta ai fini Ires e Irap, Strum. fin. e fisc. n. 5/2011
FRANSONI, La categoria dei redditi d’impresa, in Russo, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Milano, 2009
FRANSONI G., I decreti ministeriali di coordinamento della disciplina i.r.e.s e i.r.a.p. con i principi contabili internazionali: profili di legittimità, in questa Rivista, 14 gennaio 2018
FURIAN – RICCI, Note sul trattamento tributario di utili e perdite su cambi correlati a componenti reddituali rilevanti per cassa, il Fisco, n. 15/2009
GRANDINETTI, Il principio di derivazione nell’Ires, Padova, 2016
MIELE – RUSSETTI, Differenze cambio su operazioni in valuta: quale regime fiscale?, Corr. Trib., n. 4/2020
ZIZZO, La “questione fiscale” delle società IAS/IFRS, in La fiscalità delle società IAS/IFRS, a cura G. Zizzo, Milano, 2018
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I dati personali sono trattati con strumenti manuali e automatizzati, per il tempo necessario a conseguire lo scopo per il quale sono stati raccolti e, comunque per il periodo imposto da eventuali obblighi contrattuali o di legge.
I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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