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Per il contraddittorio endoprocedimentale tributario occorre un nuovo art. 12-bis nello Statuto del contribuente, non l’art. 5-ter del d.lgs. n. 218/1997.
Di Francesco Farri -
Abstract
L’articolo trae spunto dalla recente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17/E/2020 per svolgere alcuni considerazioni di carattere sistematico sul contraddittorio endoprocedimentale tributario e sui rapporti tra autorità fiscale, legislatore e contribuenti. Si evidenzia l’inadeguatezza del nuovo strumento di cui all’art. 5-ter del d.lgs. n. 218/1997 e si sottolinea la necessità di dedicare un’apposita norma di legge per disciplinare in modo più compiuto i controlli tributari a distanza, anche alla luce della presumibile maggior rilevanza pratica che essi assumeranno dopo l’epidemia sanitaria del 2020.
For the intra-procedural right of defense in taxation matters a new art. 12-bis in the Taxpayers’ Rights Act is necessary instead of art. 5-ter of Legislative Decree no. 218/1997. – The article is inspired by the recent Revenue Agency newsletter number 17/E/ 2020 to carry out some systematic considerations on the intra-procedural right defense in taxation matters and on the relationships between the tax authority, legislator, and taxpayers. The inadequacy of the new tool pursuant to art. 5-ter of Legislative Decree no. 218/1997 is highlighted. It also underlines the need to dedicate a specific rule of law providing more complete procedural guidelines for tax controls from remote, also in light of the highly likely greater practical relevance that they will assume after the 2020 health epidemic.
Sommario:1. Il contraddittorio endoprocedimentale e il nuovo art. 5-ter del d.lgs. n. 218/1997. – 2. Il contraddittorio negato e il contraddittorio “ottriato”. – 3. L’indebita confusione dei ruoli tra Agenzia delle Entrate e organi di indirizzo politico. – 4. Per la ripresa dei controlli tributari divenga obbligatorio un “vero” contraddittorio tra fisco e contribuente.
1. Con il mese di Luglio di quest’anno ha avuto avvio l’esperienza applicativa del nuovo invito obbligatorio all’adesione di cui all’art. 5-ter del d.lgs. n. 218/1997. Disposizione, come si ricorderà, nata anch’essa in tempi estivi e, più precisamente, in sede di conversione del “Decreto Crescita” (d.l. n. 34/2019, conv. in l. 28 giugno 2019, n. 58).
A distanza di un anno dalle osservazioni “a caldo” già pubblicate su questa Rivista, è opportuno riprendere il tema per verificare se e come tali considerazioni debbano essere aggiornate giunti ai prodromi applicativi dell’istituto.
Sul piano dottrinario, la delusione a suo tempo già manifestata per l’intervento normativo in parola appare unanimemente diffusa (cfr., ad esempio, TUNDO, Semplificazioni fiscali: diritto al contraddittorio, con limiti, nell’accertamento con adesione, in Il Fisco, 2019, 2107 ss.; FERRANTI, Invito al contraddittorio con minori garanzie per i contribuenti, in Il Fisco, 2019, 2807 ss.; GLENDI, Si chiude per legge la parabola del contraddittorio preaccertativo, in Corr. trib., 2020, 26 ss.; CALZOLARI, L’invito all’adesione non va confuso con il contraddittorio endoprocedimentale, in eutekne.info, 15 giugno 2020). La prassi amministrativa, dal canto suo, interpreta di buon grado la novella normativa, mostrando di averne pienamente recepito il senso e di esser pronta a conclamarlo sotto ogni profilo. Ed è proprio la lettura della circolare n. 17/E/2020, dedicata all’illustrazione del nuovo invito obbligatorio all’adesione, che offre lo spunto per evidenziare alcuni aspetti – invero abbastanza preoccupanti – dell’istituto giuridico considerato e, più in generale, delle linee di tendenza dei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuenti.
2. Era chiaro fin dall’inizio che l’invito all’adesione, pur essendo stato introdotto da una disposizione (art. 4-octies del d.l. n. 34/2019) rubricata come “obbligo d’invito al contraddittorio“, fosse lontano dal dar vita a un vero e proprio diritto al contraddittorio per i contribuenti. E ciò non tanto per l’ambito applicativo particolarmente ristretto del nuovo istituto: ché l’ambito delimitato del campo di applicazione di un diritto non ne farebbe di per sé venir meno la natura intrinseca, se è veramente tale. Il nuovo meccanismo è lontano dal dar vita a un diritto al contraddittorio, piuttosto, perché, anche laddove si rientri nel suo risicato perimetro applicativo (avvisi di accertamento generali in materia di imposte sui redditi, IVA e tributi accertati sulla base delle medesime disposizioni, come IRAP, IVAFE, IVIE, non preceduti da controlli, ispezioni e verifiche), non consente ai contribuenti il tipico esercizio delle facoltà fondamentali in cui si sostanzia il diritto al contraddittorio endoprocedimentale.
Invero esso: da un lato, non garantisce in alcun modo il diritto d’accesso agli atti del fascicolo istruttorio dell’Ufficio; dall’altro lato, consente bensì al contribuente di presentare osservazioni e memorie all’Ufficio, ma ciò fa in un contesto dove non è affatto garantita la “parità delle armi” tra amministrazione e amministrato. Infatti, ricevuto l’invito preaccertativo, il contribuente perde la facoltà di presentare istanza di accertamento con adesione dopo la notifica dell’avviso: e perdendo tale facoltà, così importante nella prassi, è posto di fronte al dilemma strategico se spendere o meno tutte le proprie difese in sede di contraddittorio preaccertativo. Se le spende, non ha garanzie di ottenere una congrua riduzione della pretesa nella fase d’adesione e, anzi, consente all’amministrazione di raffinare le proprie tesi in vista della redazione della motivazione definitiva dell’emanando avviso di accertamento (ciò che non può avvenire laddove l’istanza sia presentata dal contribuente dopo l’emanazione dell’accertamento, ossia quando la motivazione è già stata formulata senza possibilità di integrazioni e modifiche salvo nuova emissione dell’atto). Se non le spende, non avrà a disposizione ulteriori strumenti di definizione consensuale della pretesa se non dopo aver avviato un processo, con i connessi costi.
Di entrambi gli aspetti mostra di esser ben consapevole l’Agenzia delle Entrate. Quanto al diritto d’accesso, la circolare illustrativa n. 17/E/2020 afferma serafica (par. 1) che “durante il confronto il materiale istruttorio raccolto dall’ufficio si arricchisce, giacché il contribuente fornisce all’Amministrazione elementi utili alla relativa valutazione“, ma non garantisce affatto il viceversa, ossia che l’amministrazione sia tenuta a una disclosure nei confronti del contribuente del materiale raccolto in istruttoria. Quanto al difetto della parità delle armi, la circolare chiarisce in più punti che “l’invito, ancorché obbligatorio, mantiene le ‘ordinarie’ finalità, propedeutiche alla instaurazione del contraddittorio per la definizione dell’accertamento; la nuova disposizione non modifica le finalità dell’istituto dell’accertamento con adesione perseguite sin dalla sua introduzione, né i suoi effetti sia tributari che extra-tributari” (par. 2). Da ciò consegue, all’evidenza, che il fine della fase procedimentale considerata non è tanto quello di un confronto “a bocce ferme” sugli esiti dell’istruttoria, come dovrebbe avvenire nel contraddittorio in senso proprio, bensì quello di “spingere i contribuenti medesimi a incrementare il proprio adempimento spontaneo“, mettendoli alle strette se definire la posizione alle condizioni dettate dell’Agenzia oppure imbarcarsi in un contenzioso.
In questo contesto, del tutto stonata appare la chiosa contenuta nella circolare stessa, secondo cui “gli uffici sono tenuti ad attivare e valorizzare il contraddittorio preventivo, ove possibile, anche nelle ipotesi accertative per le quali lo stesso non è obbligatoriamente previsto, fermo restando che nelle predette ipotesi, l’assenza del contraddittorio preventivo non determina l’invalidità dell’avviso” (par. 1). Tale chiosa, infatti, pare rispondere a una logica secondo cui sarebbe la stessa amministrazione “arbitra” della procedura da seguire e “dispensatrice” a suo piacimento e discrezione delle garanzie procedurali verso gli amministrati. Il contraddittorio, in questa prospettiva, diverrebbe una sorta di diritto “ottriato”, che l’amministrazione si impegna con se stessa a elargire al contribuente senza che, tuttavia, la “revoca” di tale concessione provochi alcuna conseguenza invalidante sugli atti dalla stessa posti in essere. E ciò riporterebbe, in definitiva, l’assetto dei rapporti tra potere pubblico e amministrati a tempi ottocenteschi, in cui era il potere “sovrano” che concedeva unilateralmente le “guarentigie” dei diritti ai propri sudditi.
3. Il passaggio della circolare da ultimo evidenziato disvela, inoltre, una certa forma di promiscuità di ruolo tra Agenzia delle Entrate, da un lato, e organi di indirizzo politico (Parlamento e Governo), dall’altro lato. Sembra, in altre parole, che pur volendo il legislatore conferire in qualche maniera formale riconoscimento al principio del contraddittorio endoprocedimentale, da tante parti richiesto, abbia voluto farlo nel modo meno “invasivo” e più soft e favorevole per l’Agenzia delle Entrate. D’altronde, l’art. 4-octies del d.l. n. 34/2019 costituisce trasposizione nel corpo del “Decreto Crescita” di un articolo precedentemente inserito in un testo di iniziativa parlamentare (art. 16 A.C. 1074, XVIII legislatura, Disposizioni per la semplificazione fiscale, il sostegno delle attività economiche e delle famiglie e il contrasto dell’evasione fiscale); e il contenuto di detto articolo era stato riformulato in data 10.04.2019 (rispetto all’originaria stesura dell’art. 11 del testo originario dell’A.C. 1074) proprio a seguito dei suggerimenti avanzati in audizione dall’Agenzia delle Entrate (audizione 7.11.2018, pag. 12: “potrebbe rendersi opportuno coordinare la proposta con le forme di contraddittorio endoprocedimentale attualmente vigenti, quali quelle attivate mediante … inviti a comparire nell’ambito dei procedimenti di accertamento con adesione“).
Sennonché, gli artt. 56 e 59 del d.lgs. n. 300/1999 sono chiari nell’affermare che è l’Agenzia ad essere soggetta alla funzione di indirizzo politico (ossia di scelta dei fini dell’azione pubblica e delle modalità per realizzarli) spettanti agli organi costituzionali (in particolare, al Governo, mediante il Ministero dell’Economia e delle Finanze, e al Parlamento); non viceversa. Anzi, è proprio per il rafforzamento di tale divaricazione tra funzione di indirizzo politico e funzione esecutiva che la competenza per la gestione dei rapporti tributari è stata sottratta al Ministero delle Finanze e affidata a un’autorità il cui vertice non cumulasse in sé anche funzioni politiche (qual è, per sua natura, il Ministro). E su questo aspetto, ogni tanto, occorre soffermare l’attenzione. Se è giusto che, come ogni altro attore sociale, l’Agenzia delle Entrate esprima trasparentemente le sue opinioni in sede di formazione delle scelte politiche (ad esempio intervenendo nei lavori parlamentari, come avvenuto nella specie); e se è comprensibile che la posizione di cui essa è latrice venga tenuta in particolare considerazione quando si tratti della definizione di discipline che coinvolgano questioni di gettito ed equilibrio di bilancio; altrettanta “deferenza” non si giustifica quando si tratti di questioni che riguardino direttamente i diritti dei contribuenti, ossia dei soggetti che nella fase di attuazione del tributo sono strutturalmente portatori di interessi contrapposti rispetto a quelli dell’autorità fiscale stessa. D’altronde, il senso della riserva di legge in materia tributaria risiede proprio in questo, ossia nel garantire ai contribuenti che le regole del rapporto tributario siano dettate dai propri rappresentanti diretti e non da chi è incaricato di raccogliere i tributi. Ed è anche questa la ragione per cui, in un ordinamento evoluto e moderno, la riserva di legge in materia tributaria deve ritenersi atta a coprire, non soltanto gli elementi sostanziali della fattispecie impositiva, ma anche il versante procedurale dell’attuazione (fermo restando, naturalmente, che il carattere relativo della riserva si presta a lasciare in questo ambito spazi maggiori agli interventi di fonti subordinate).
4. Il discorso sul contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, allora, non può certo dirsi esaurito in modo soddisfacente con il recente avvio della fase applicativa dell’art. 5-ter del d.lgs. n. 218/1997. Anzi, tale discorso merita di essere riletto e ripreso alla luce della situazione di più stringente attualità. Tra i molteplici retaggi che lascerà nella vita degli Italiani la drammatica epidemia di coronavirus di quest’anno, infatti, alcuni riguarderanno certamente anche i rapporti con la pubblica amministrazione.
In questa prospettiva, la digitalizzazione è divenuta un imperativo, non più soltanto sul piano dell’efficienza, ma anche sotto il profilo igienico sanitario: e se, nei rapporti con l’amministrazione finanziaria, la maggior parte delle situazioni già potevano (e possono) essere gestite in via informatica o, comunque, si prestano a essere adeguate alla modalità “da remoto” con piccoli interventi, vi è un versante nel quale l’utilizzo della modalità più sicura da un punto di vista precauzionale è e rimane anche la meno “sicura” per i contribuenti in termini di garanzia. Si tratta proprio del versante dei controlli. Allo stato, infatti, il contraddittorio endoprocedimentale – quello “vero”, o almeno “più vero” rispetto all’art. 5-ter del d.lgs. n. 218/1997 di cui si è prima detto – è garantito per legge soltanto nei casi di accessi, ispezioni e verifiche nei luoghi di svolgimento dell’attività del contribuente (ipotesi alle quali, peraltro, non si applica per espressa esclusione normativa il predetto art. 5-ter), oltre che in altre ipotesi puntuali previste dall’ordinamento in relazione all’oggetto della contestazione (si pensi, a titolo esemplificativo, all’art. 10-bis dello Statuto dei Diritti dei Contribuenti). Come noto, la giurisprudenza insiste a non accogliere le istanze della dottrina, volte a estendere l’applicazione dell’art. 12, comma 7 dello Statuto dei Diritti dei Contribuenti anche ai controlli “a tavolino”; mentre il contraddittorio “europeo” sui tributi armonizzati, pur teoricamente ammesso anche dalla giurisprudenza interna, sconta l’inevitabile incertezza applicativa derivante dalla sua matrice giurisprudenziale.
E’ lecito ritenere, tuttavia, che in futuro la modalità di controllo ordinaria divenga proprio quella “a tavolino”, certamente più sicura da un punto di vista sanitario. Difficile pensare che, in tempi di smart working, i funzionari dell’amministrazione si rechino fisicamente a far visita ai contribuenti, se non strettamente indispensabile. I controlli in loco saranno così presumibilmente riservati a un novero di casi più selezionati, al limite tra il tributario e il penale, in cui sia elevato il rischio di occultamento della documentazione. In questo rinnovato contesto, se si continua a riservare le garanzie di un contraddittorio effettivo ai soli casi di controlli in loco, esse di fatto tramonterebbero dall’orizzonte operativo, mentre le ordinarie procedure di controllo – cioè quelle a distanza – sarebbero disciplinate soltanto dalla scarna disciplina elaborata negli anni Settanta, oltre – in alcuni casi – al nuovo quanto infelice e potenzialmente controproducente art. 5-ter.
E’ giunto quindi il tempo che il legislatore introduca nello Statuto dei Diritti del Contribuente un nuovo articolo 12-bis, con il quale disciplini i controlli “a tavolino” in conformità a un quadro di principi adeguato al Terzo Millennio e all’era digitale. Ciò al fine di richiedere sempre all’amministrazione finanziaria un momento di sintesi e confronto al termine dell’istruttoria, prima dell’emissione dell’atto di accertamento e non subordinato all’adesione, quanto meno nelle forme attualmente previste per i casi di controlli in loco. A ciò deve aggiungersi un obbligo a carico dell’amministrazione di procedere, in tale fase, alla disclosure del fascicolo istruttorio nei confronti del contribuente.
Le garanzie procedimentali non sono una “compensazione” del maggior rischio igienico-sanitario che subisca il contribuente dai controlli fiscali. In tempi di post-coronavirus, continuare a relegare tali garanzie ai controlli in loco e a escluderle in quelli igienicamente più sicuri e, come tali, da preferire, appare semplicemente anacronistico, oltre che irrazionale e lesivo dei diritti dei contribuenti.
Per impostare correttamente i rapporti tra fisco e contribuenti, in una moderna prospettiva di compliance e di rispetto dei diritti e dei ruoli di ciascuno degli operatori, non serve quindi tanto l’art. 5-ter del d.lgs. n. 218/1997, quanto piuttosto l’introduzione di un nuovo art. 12-bis nello Statuto dei Diritti dei Contribuenti.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
CALZOLARI, L’invito all’adesione non va confuso con il contraddittorio endoprocedimentale, in eutekne.info, 15 giugno 2020
FARRI, La codificata obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale al cospetto della legge generale sul procedimento amministrativo: prime riflessioni di carattere sistematico, in corso di pubblicazione su Dir. prat. trib., I, 2020
FARRI, Il nuovo invito al “contraddittorio” tributario nel prisma della l. n. 241/1990, in GUIDARA (a cura di), Accordi e azione amministrativa nel diritto trributario, Pisa 2020, 209 ss.
FARRI, Considerazioni “a caldo” circa l’obbligo di invito al contraddittorio introdotto dal Decreto Crescita, in questa Rivista, 4 luglio 2019
FERRANTI, Invito al contraddittorio con minori garanzie per i contribuenti, in Il Fisco, 2019, 2807 ss.
GLENDI, Si chiude per legge la parabola del contraddittorio preaccertativo, in Corr. trib., 2020, 26 ss.
TUNDO, Semplificazioni fiscali: diritto al contraddittorio, con limiti, nell’accertamento con adesione, in Il Fisco, 2019, 2107 ss.
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