Il distacco di personale è un’operazione rilevante ai fini IVA: l’incompatibilità comunitaria del regime IVA italiano del distacco di personale.
Di Alessandro Albano -
Abstract
La Corte di Giustizia in causa C-94/19 ha affermato l’incompatibilità con il diritto comunitario della disciplina italiana del distacco di personale; la sentenza, oltre a sollecitare una riflessione sulla necessaria modifica della normativa italiana, consente di apprezzare il profilo correlato ai limiti di efficacia (anche temporale) delle sentenze della Corte di Giustizia.
The secondment of staff is (almost) a VAT relevant transaction: the european not compliance of the Italian VAT legislation. – The ECJ in case C-94/19 deal with the Italian VAT legislation of secondment of staff, challenging it as not compliant with European law. The statement trigger the discussion about the revision of the domestic law as well as the delimitation of effectiveness (also under timing point of view) of the ECJ statement.
SOMMARIO: 1. Distacco di personale imponibile in quanto operazione “onerosa”: la decisione dei giudici comunitari. 2. L’onerosità delle prestazioni di servizi: profili sistematici della giurisprudenza comunitaria 3. Il distacco di personale nell’ordinamento giuridico e nel diritto vivente nazionale. 4. Gli effetti nazionali della incompatibilità comunitaria del regime IVA del distacco di personale.
1. La sentenza resa dalla Corte di Giustizia in causa C-94/19, San Domenico Vetraria S.p.A. tratta una tematica di interesse per il nostro ordinamento interno (il rinvio pregiudiziale è stato disposto dalla Corte di Cassazione), e cioè la rilevanza ai fini IVA delle operazioni di distacco di personale.
Il giudice comunitario ha, pertanto, scrutinato la compatibilità comunitaria della normativa italiana (introdotta dall’art. 8, comma 35, Legge 11 marzo 1988, in base alla quale sono irrilevanti ai fini IVA i prestiti o distacchi di personale a fronte dei quali la distaccataria provvede a rimborsare al datore di lavoro distaccante il costo del lavoro relativo al personale distaccato).
La Corte di Giustizia, sulla base della propria giurisprudenza in materia di “onerosità” delle prestazioni di servizi, e nel seguito puntualmente richiamata, ha affermato l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario della normativa nazionale italiana, nella quale “non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente”.
Il giudice comunitario ha ribadito l’importanza dell’analisi circa la natura dell’operazione, ferma comunque la competenza del giudice nazionale in merito all’accertamento di fatto della “sinallagmaticità” del rapporto sussistente tra datore di lavoro distaccante e distaccatario (al fine cioè di apprezzare il c.d. “condizionamento reciproco” tra distacco e rimborso del costo del lavoro).
Più in particolare la Corte ha rilevato che – ai fini della qualificazione di una operazione come “onerosa” – sussiste un “nesso diretto” quando due prestazioni si “condizionano reciprocamente”, circostanza che comunque “spetta al giudice del rinvio verificare”, a prescindere – peraltro – dal fatto che l’importo del corrispettivo pattuito sia “pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell’ambito della fornitura della sua prestazione”.
La sentenza della Corte di Giustizia ha, pertanto, stabilito che la disciplina italiana ai fini IVA in materia di distacco di personale introduce una (indebita) limitazione al diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto a sfavore del distaccatario, nella misura in cui prevede che il mero rimborso del costo del lavoro da parte di questi al datore di lavoro distaccante non integra un’operazione rilevante ai fini IVA.
Tutte le operazioni idonee ad essere qualificate prestazione di servizi (o cessioni di beni), in costanza del requisito soggettivo e territoriale, sono infatti operazioni rilevanti ai fini IVA; da ciò discende naturaliter il diritto alla detrazione dell’IVA versata dal distaccatario, anche in caso di mero rimborso al datore di lavoro del costo del lavoro sopportato per il personale distaccato, purchè il suddetto rimborso “condizioni” il distacco del personale da parte del datore di lavoro distaccante (circostanza di fatto che spetta al giudice nazionale verificare).
E’ insomma centrale l’analisi della fattispecie, ma il principio è chiaro: le operazioni rilevanti ai fini IVA, al di là del quantum pattuito, devono essere informate al principio di neutralità del tributo comunitario.
2. Il ragionamento sviluppato dalla Corte di Giustizia si basa sull’accertamento del requisito della “onerosità” delle prestazioni di servizi (l’indagine, quindi, attiene propriamente al requisito oggettivo delle operazioni afferenti il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto).
Il requisito della “onerosità” delle prestazioni di servizi è stato diffusamente trattato nella giurisprudenza comunitaria (come rilevato da A. COMELLI, Iva comunitaria e Iva nazionale, Padova, 2000, 338 ss.; in materia cfr. anche P. FILIPPI, Il presupposto oggettivo dell’IVA, Dir. Prat. Trib., 2009, 1090 ss).
La Sesta Direttiva ha stabilito, come del resto declinato dalla Corte di Giustizia in numerosi arresti, che una prestazione di servizi è imponibile in quanto sia effettuata a titolo “oneroso” e l’imponibile sia costituito “da tutto ciò che è ricevuto quale corrispettivo del servizio”. La Corte di Giustizia ha, in particolare, sottolineato come deve sussistere un “nesso diretto” tra il servizio reso ed il corrispettivo ricevuto, e quest’ultimo deve poter essere espresso in una somma di denaro, cioè un valore soggettivo (corrispettivo effettivamente ricevuto, non un valore stimato; sul punto, cfr. Corte di giustizia, 24 ottobre 1996, resa in causa C-288/94, Argos Distributors).
I requisiti fondamentali affinchè una prestazione di servizi sia “onerosa”, e pertanto attratta al regime di imponibilità del sistema comune dell’IVA, sono – sulla base dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia – i seguenti:
nesso diretto
imponibile espresso in denaro
valore soggettivo.
I primi spunti interpretativi in sede comunitaria risalgono alla decisione resa il 5 febbraio 1981 in causa 154/80, Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats, ma è con il leading caseTolsma (Corte di giustizia, 3 marzo 1994, causa C-16/93, conforme successiva sentenza del 5 giugno 1997, causa C-2/95, SDC) che la Corte di Giustizia segna un passaggio fondamentale nell’evoluzione della giurisprudenza in materia di requisito oggettivo delle operazioni rilevanti ai fini IVA e – in particolare – in merito al requisito dell’onerosità delle prestazioni di servizi.
La decisione resa in Tolsma è significativa anche per la peculiarità della fattispecie, (l’Amministrazione fiscale dei Paesi Bassi ha contestato al Sig. Tolsma, musicista di strada – suonatore di un organetto di Barberia – l’imponibilità ai fini IVA degli oboli ricevuti dai passanti e dai negozianti, quale remunerazione per la “prestazione di servizi” da questi svolta).
L’Avvocato generale, al punto 17 delle sue Conclusioni, in merito alla situazione del Sig. Tolsma, comprensibilmente afferma che “non si può, in circostanze del genere, parlare di una prestazione a titolo oneroso. In mancanza di […] uno scambio non sussiste infatti alcuna connessione diretta tra la prestazione effettuata e i redditi prodotti. Questi ultimi dipendono piuttosto dalla spontanea decisione di alcuni passanti di versare una somma a loro discrezione”. La connessione diretta manca in quanto non è possibile riscontrare un “rapporto tra l’entità dei vantaggi arrecati ai destinatari del servizio prestato e l’entità del relativo corrispettivo” in quanto il “nesso intrinseco” non può desumersi dalla circostanza che “se i passanti porgono del denaro è unicamente per il fatto che hanno dapprima ascoltato della musica”.
La Corte di Giustizia, accogliendo le riflessioni dell’Avvocato generale, statuisce che “le operazioni imponibili presuppongono, nell’ambito del sistema dell’imposta sul valore aggiunto, l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo o di un controvalore”; occorre quindi un rapporto giuridico nel quale si realizzi “uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore” costituisce “il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente”
Le statuizioni recate dalla Corte di Giustizia nel suddetto arresto sono, sostanzialmente, accolte dai giudici comunitari nella decisione della controversia in causa C-94/19; i precedenti in materia sono peraltro numerosi; oltre a Tolsma, si segnalano: Corte di Giustizia 2 giugno 1994, causa C-33/93, Empire Stores Ltd, sulla sussistenza di un nesso intrinseco anche in caso di operazioni a titolo gratuito nell’ambito di attività commerciali – fornitura a clienti potenziali -, 16 ottobre 1997, causa C-258/95, Julius Fillibeck Söhne GmbH & Co. KG , sulla non onerosità dei servizi di trasporto dei propri dipendenti a titolo gratuito, 20 gennaio 2005, causa C-412/03, Hotel Scandic Gåsabäck AB, 2 giugno 2016, sull’irrilevanza dell’erogazione di un servizio ad un prezzo superiore o inferiore al suo costo, ai fini dell’esistenza di un “nesso” tra prestazione e dazione di denaro; 22 giugno 2016, causa C-11/15, Český rozhlas, sull’assenza di onerosità in caso di servizio di radiodiffusione pubblica finanziato mediante la corresponsione di un canone obbligatorio; 22 novembre 2018, causa C- 295/17, MEO – Serviços de Comunicações e Multimédia SA., che distingue tra somme corrisposte a titolo di indennizzo – imponibili, da quelle dovute a titolo di risarcimento dei danni (non rilevanti ai fini IVA).
Dal percorso interpretativo sopra richiamato si può comprendere come la sentenza resa in causa C-94/19 sia, pertanto, il naturale sviluppo di un rigoroso orientamento del giudice comunitario in materia di qualificazione delle operazioni imponibili nel sistema comune dell’IVA.
3. La sentenza della Corte di Giustizia si inserisce in un quadro giurisprudenziale nazionale particolarmente vivace, che discende da un contesto normativo composito, strutturato
Il distacco di personale è disciplinato dall’art. 30, comma 1, D. Lgs. n. 276/2003, che afferma come “l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”.
Il rapporto di lavoro prosegue, pertanto, tra il “distaccante”, cioè il datore di lavoro che lo dispone, ed il lavoratore “distaccato”, anche se la prestazione lavorativa viene svolta a favore di un soggetto terzo, “distaccatario”.
Una delle caratteristiche salienti del distacco di personale è rappresentato dall’interesse del distaccante, per tale intendendosi un “qualsiasi interesse produttivo”, purchè “specifico, rilevante e concreto, da accertare caso per caso”, “non coincidente con l’interesse lucrativo connesso alla mera somministrazione di manodopera” e “non consistente in una mera ragione economica”, data dall’interesse ad un corrispettivo, ovvero al risparmio del costo del lavoro (in caso di rimborso da parte del distaccatario).
L’interesse deve sussistere per tutto il periodo del distacco; un’altra caratteristica saliente dell’istituto è – peraltro – rappresentata dalla temporaneità dello stesso; infine, il distacco deve avere ad oggetto lo svolgimento di un’attività determinata.
Il distaccante continua a corrispondere al lavoratore distaccato la retribuzione ed a adempiere a tutti gli obblighi prescritti in materia di lavoro subordinato; nella prassi, tuttavia, accade che il distaccatario rimborsi le spese sostenute dal distaccante; l’entità del rimborso corrisposto (se pari al costo, ovvero se inferiore – o, più frequentemente – superiore al medesimo) è un elemento che ha inciso nella riflessione dell’istituto, non solo dal punto di vista della coerenza con la normativa giuslavoristica (Cfr. in materia Circolare Min. lav., 15 gennaio 2004, n. 3, ai sensi della quale: “l’importo del rimborso non può superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante.”), ma anche per quanto riguarda il profilo del trattamento fiscale dell’operazione.
Le implicazioni fiscali dell’operazioni attengono anche ai profili IRES ed IRAP dell’operazione ma– tenuto conto della soggettività passiva degli operatori economici coinvolti – anche all’impatto sulla normativa IVA.
L’art. 8, comma 35, Legge 11 marzo 1988, n. 67, introdotto per disciplinare la fattispecie, ha stabilito l’irrilevanza, ai fini IVA, dei prestiti o distacchi di personale a fronte dei quali è versato – da parte della distaccataria, a favore della distaccante – soltanto il rimborso del relativo costo (comprensivo peraltro di oneri previdenziali ed accessori).
L’Agenzia delle Entrate, a commento della suddetta disposizione, ha affermato che – affinchè l’operazione sia qualificata non rilevante ai fini IVA – le somme corrisposte non devono poter essere qualificate come corrispettivo di una prestazione di servizi (obbligazione di permettere), bensì coincidere con il rimborso di spese di lavoro subordinato; qualora, peraltro, quanto corrisposto dal distaccatario sia superiore (o inferiore) al costo del lavoro, l’intero importo sarebbe assoggettato ad imposta (Cfr. Risoluzione ministeriale n. 152/E/1995, e successiva Risoluzione n. 346/E/2002. Per una ipotesi peculiare, in materia di appalti pubblici, risolta nel senso della imponibilità dell’operazione, si richiama Risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate, n. 224 del 5 luglio 2019).
La giurisprudenza ha espresso orientamenti non omogenei in materia.
Tra gli arresti più significativi, si richiama innanzitutto la sentenza resa dalla Corte di Cassazione il 7 settembre 2010, n. 19129. In tale occasione al Corte ha statuito l’irrilevanza ai fini IVA dell’operazione di distacco di personale, limitatamente all’importo eccedente il costo del lavoro dei dipendenti distaccati.
Tale decisione si è posta in contrasto con la successiva sentenza resa dalle Sezioni unite (C. Cass., SS.UU., 7 novembre 2011, n. 23021); in tale occasione i giudici di legittimità hanno stabilito che sarebbe rilevante ai fini IVA l’intero corrispettivo pattuito per il distacco (senza considerare una “franchigia” pari al costo del lavoro “restituito” dal distaccatario al datore di lavoro distaccante) in caso di non coincidenza dell’importo corrisposto con il costo del lavoro.
Tale ultimo orientamento, successivamente confermato dalla Corte di Cassazione (C. Cass., sentenza 3 agosto 2012, n. 14053, C. Cass., sentenza 27 febbraio 2015, n. 4024) non ha tuttavia del tutto convinto il giudice di legittimità.
Infatti, con ordinanza n. 2385 resa il 29 gennaio 2019, la Corte di Cassazione ha disposto il rinvio pregiudiziale della controversia incardinata dalla società San Domenico Vetraria S.p.A.
Come diffusamente illustrato, la Corte di Giustizia si è espressa confermando i dubbi del giudice del rinvio, in merito alla sussistenza – nel caso di specie – di un’operazione (prestazione di servizi) rilevante (e, pertanto, in costanza del requisito soggettivo e territoriale, imponibile), così censurando la disciplina nazionale sotto il profilo della sua compatibilità con il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto.
4. E’ opportuno ricordare come la fattispecie oggetto di rinvio pregiudiziale sia stata provocata da un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate ha disconosciuto il diritto della società distaccataria a portare in detrazione l’IVA corrisposta all’atto del rimborso alla propria società controllante (distaccante) del costo del lavoro del personale distaccato.
La Corte di Giustizia, al di là del richiamo al ruolo del giudice nazionale, al fine della corretta qualificazione come “sinallagmatica” dell’operazione (il condizionamento reciproco tra distacco e rimborso del costo del lavoro soppportato dal datore di lavoro distaccante) ha affermato in maniera netta l’incompatibilità comunitaria della disciplina IVA del distacco del personale.
La decisione potrebbe provocare (eventualmente) effetti (soltanto) favorevoli al contribuente, nel senso di attribuire il diritto del contribuente ad invocare il diritto alla detrazione, in casi nei quali essa sia stata disconosciuta da parte dell’Agenzia delle Entrate in sede di accertamento (come del resto nella fattispecie che ha dato origine al rinvio pregiudiziale), e ciò essenzialmente in ossequio ad un pacifico legittimo affidamento, fermi restando i limiti conseguenti al giudicato medio tempore formatosi.
Resta, invero, un punto da decifrare nella sentenza resa dalla Corte di Giustizia, laddove si precisa che occorre comunque uno scrutinio da parte del giudice nazionale, nella misura in cui riscontrare un “reciproco condizionamento” tra distacco del personale e corresponsione dell’importo quale controprestazione da parte del distaccatario, pur se essa sia pari all’importo del costo del lavoro del personale distaccato.
La Corte di Giustizia statuisce, correttamente, i principi comunitari al fine di decidere una controversia, ma nel merito resta sempre responsabile il giudice nazionale.
Tale profilo, invero, è idoneo a provocare un potenziale conflitto in caso di controversie in corso e – in ogni caso – potrebbe sollecitare (anche in sede contenziosa) la richiesta di disapplicazione delle sanzioni amministrative tributarie eventualmente irrogate, per obiettiva condizione di incertezza della normativa tributaria (corroborata, nel caso di specie, dal contrasto giurisprudenziale della S.C. di Cassazione, dal rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, e dalla successiva censura della normativa italiana in sede comunitaria).
Dal punto di vista operativo, peraltro, la decisione dovrebbe sollecitare – in attesa della (necessaria) riforma della disciplina del distacco di personale, introdotta nel 1988 – una più corretta ed attenta analisi della contrattualistica (specialmente nei gruppi di imprese) al fine di meglio chiarire e rimuovere aporie e profili di possibile conflitto rispetto alla ratio effettivamente perseguita dalle parti; in ogni caso, quella che rischia di diventare una vexata quaestio, cioè il “reciproco condizionamento” non potrà che essere disciplinato in base alla causa in concreto dei negozi giuridici sottoscritti dalle parti, pur se facenti parte di un medesimo gruppo.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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