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La cessione gratuita di farmaci ad uso compassionevole: ovvero quando le norme fiscali rispondono a finalità extrafiscali
Di Loredana Carpentieri -
Abstract
Nell’ordinamento fiscale italiano è stata recentemente introdotta (con l’art. 27 del decreto-legge n. 23 del 2020) una disposizione in base alla quale i farmaci gratuitamente ceduti nell’ambito dei “programmi ad uso terapeutico compassionevole” “non si considerano destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” ai sensi dell’articolo 85, comma 2, Tuir; ciò significa che dalle cessioni gratuite in questione non emergerà alcun ricavo tassabile a valore normale per le imprese cedenti. Inoltre, ai fini dell’Iva, le stesse cessioni gratuite sono state equiparate alla distruzione dei beni, consentendo così che nulla sia dovuto anche ai fini di tale imposta e che resti detraibile l’Iva a monte.
The free transfer of medicines for compassionate use: when the tax rules meet extra-tax purposes. – In the Italian tax system, a provision has been recently introduced (by Art. 27 of the decree-law no. 23/2020) according to which the medicines freely transferred within the framework of the “programs for compassionate therapeutic use” “are not considered intended for purposes “outside the business’ pursuant to Article 85, paragraph 2, of the Tuir; this means that no taxable income at normal value for the transferring companies will arise from the free transfers in question. In addition, for VAT purposes, the same free supplies have been treated as the destruction of goods, thus allowing nothing to be due for the purposes of this tax and that the input VAT remains deductible.
Sommario: 1. L’emergenza Coronavirus, la cessione gratuita dei farmaci e le sue “controindicazioni” fiscali – 2. L’introduzione di una disciplina fiscale di favore (a regime?) per le cessioni gratuite di farmaci ad uso compassionevole – 3. Il settore farmaceutico: ancora una volta il ricorso alle norme fiscali per finalità extrafiscali.
1. L’emergenza Coronavirus, la cessione gratuita dei farmaci e le sue “controindicazioni” fiscali L’emergenza Coronavirus ha recentemente portato in primo piano l’esigenza di incentivare fiscalmente le cessioni gratuite di farmaci destinate al Servizio Sanitario Nazionale da parte delle imprese farmaceutiche.
Alla ricerca di terapie in grado di contrastare la diffusione dell’epidemia, ai pazienti ricoverati con COVID-19 negli ospedali italiani si è deciso di somministrare farmaci autorizzati per altre indicazioni terapeutiche o farmaci ancora in fase di sperimentazione, rientranti nei c.d. “programmi ad uso terapeutico compassionevole” previsti dal decreto del Ministero della Salute del 7 settembre 2017: si tratta di programmi che prevedono la cessione gratuita al Servizio Sanitario Nazionale di medicinali ancora inseriti in programmi di sperimentazione clinica nel tentativo di curare pazienti che si trovino in pericolo di vita, quando a giudizio del medico non vi siano alternative terapeutiche valide.
La cessione gratuita di questi farmaci sperimentali da parte delle case farmaceutiche ha posto però, sotto il profilo fiscale, un problema tutt’altro che trascurabile. In base alla disciplina fiscale vigente, le cessioni gratuite dei farmaci, anche se effettuate nell’ambito dei “programmi ad uso terapeutico compassionevole” avrebbero procurato alle imprese farmaceutiche notevoli oneri fiscali: in particolare, tali cessioni avrebbero comportato, ai fini delle imposte sui redditi, l’emersione di corrispondenti ricavi da computare a valore normale, e, a fini Iva, l’indetraibilità dell’imposta relativa agli acquisti di beni e servizi utilizzati per la produzione dei farmaci in questione.
Questi effetti fiscali si ricollegano alla disciplina delle cessioni gratuite dei beni d’impresa; cessioni gratuite che, in linea di principio, quando effettuate da un soggetto imprenditore, sono “sospettate”, proprio a causa della gratuità che le contraddistingue, di non essere inerenti all’attività di impresa (strutturalmente concepita come attività, se non a fini di lucro, almeno condotta secondo criteri di economicità) e, come tali, fiscalmente “penalizzate” con l’emersione di componenti reddituali positive valutate a valore normale e, ai fini Iva, con l’emersione di operazioni rilevanti ai fini dell’imposta (o almeno con l’indetraibilità dell’Iva sugli acquisti).
L’ordinaria rilevanza, ai fini Iva e ai fini delle imposte sui redditi, delle cessioni gratuite dei beni d’impresa (nella forma dell’autoconsumo, dell’assegnazione ai soci e della destinazione a finalità estranee all’impresa) nasce, come noto, da un’esigenza sistematica comprensibile: quella di evitare che beni, per i quali è stata fiscalmente consentita la deduzione dei costi e la detrazione dell’Iva sugli acquisti, possano poi fuoriuscire dal regime dei beni d’impresa senza far emergere corrispondenti componenti reddituali positive e, ai fini Iva, senza tassazione al consumo. E’ questa la ragione per la quale, nell’attuale sistema fiscale, le cessioni gratuite di beni – con l’eccezione degli omaggi riconducibili a un’attività promozionale o pubblicitaria posta in essere dall’impresa – configurano generalmente, ai fini delle imposte sui redditi, ipotesi di destinazione a finalità estranee all’impresa ai sensi dell’articolo 85, comma 2, del TUIR e dunque conducono all’emersione di ricavi (o plusvalenze, qualora ad essere ceduti gratuitamente siano beni plusvalenti) da valutare a valore normale; ed è sempre questa la ragione per la quale, ai fini Iva, le medesime cessioni gratuite conducono a una cessione fiscalmente rilevante, in deroga al principio generale per cui, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, le cessioni rilevano ordinariamente solo quando effettuate a titolo oneroso. Per la verità, il sistema Iva è un poco più raffinato di quello delle imposte sui redditi, perché prevede che le cessioni gratuite di beni, se effettuate nei confronti di enti pubblici (ad esempio agli ospedali), sono esenti dal tributo, a norma dell’art. 10, comma 1, n. 12 del d.P.R. n. 633 del 1972. Dunque si tratta di cessioni cui non viene, per espressa previsione normativa, ricollegato l’addebito dell’imposta; tuttavia, trattandosi di operazioni esenti esse recano con sè l’indetraibilità dell’IVA relativa agli acquisti di beni e servizi relativi ai beni ceduti, a norma dell’art. 19, comma 2, dello stesso decreto.
2. L’introduzione di una disciplina fiscale di favore per le cessioni gratuite di farmaci ad uso compassionevole
Nel caso della cessione gratuita di farmaci ad uso compassionevole, è evidente che i riflessi fiscali ordinariamente ricollegati alla cessione gratuita di beni d’impresa sarebbero stati tali da disincentivare le imprese farmaceutiche dalla fornitura gratuita dei farmaci in questione, con gravi ripercussioni sull’intero Sistema Sanitario Nazionale.
Per questa ragione, l’art. 27 del decreto-legge n. 23 del 2020 (c.d. decreto Liquidità) ha inteso neutralizzare i suddetti effetti fiscali disincentivanti. In questa prospettiva, si è disposto che i farmaci gratuitamente ceduti nell’ambito dei “programmi ad uso terapeutico compassionevole” “non si considerano destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” ai sensi dell’articolo 85, comma 2, Tuir; ciò significa che dalle cessioni gratuite in questione non emergerà alcun ricavo tassabile a valore normale per le imprese cedenti. Inoltre, ai fini dell’Iva, le stesse cessioni gratuite sono state equiparate alla distruzione dei beni, consentendo così che nulla sia dovuto anche ai fini di tale imposta e che resti detraibile l’Iva a monte.
Questa disciplina di favore, pur se introdotta nel quadro dell’emergenza Coronavirus, sembra peraltro applicabile a regime – in base alla lettera della norma che non ne vincola temporalmente l’ambito applicativo – a tutte le cessioni di farmaci ad uso compassionevole, anche nel quadro di eventuali sperimentazioni cliniche diverse dall’emergenza Covid 19 (del resto, quando il legislatore ha voluto circoscrivere le agevolazioni fiscali all’emergenza epidemiologica in corso, lo ha fatto espressamente, come è accaduto per la disciplina di favore che l’art. 66 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 ha riferito alle sole erogazioni liberali, in denaro o in natura, effettuate nel 2020 a sostegno, appunto, delle misure di contrasto all’emergenza Covid 19).
3. Il settore farmaceutico: ancora una volta il ricorso alle norme fiscali per finalità extrafiscali.
Può essere interessante osservare che non è la prima volta che, con riferimento al settore farmaceutico, la norma fiscale viene utilizzata per orientare – in un senso o in un altro – i comportamenti degli operatori economici.
Secondo le indagini dell’OCSE, il nostro Paese si caratterizza, a livello internazionale, per il grande (e forse eccessivo) consumo di specialità medicinali, stimolato anche dall’attività pubblicitaria delle imprese farmaceutiche finalizzata a portare a conoscenza della generalità dei potenziali clienti l’offerta dei propri prodotti nel tentativo di indurne l’aumento della domanda sul mercato.
In questa prospettiva, in passato più volte le norme fiscali hanno guardato alle operazioni e alle spese sostenute dalle aziende del settore farmaceutico; e non per salvaguardarle da effetti fiscali “avversi” ma più spesso, all’opposto, per contenere, con la prospettazione di effetti fiscali negativi, fenomeni di possibile “abuso” in un settore di evidente interesse pubblico.
In particolare, mentre la disposizione del recente decreto liquidità è stata pensata per eliminare, nei confronti dei prodotti farmaceutici, le “controindicazioni fiscali” ordinariamente ricollegate – ai fini delle imposte sui redditi e ai fini Iva – alla gratuità delle cessioni dei beni d’impresa, in passato in altre occasioni norme fiscali aventi ad oggetto il settore farmaceutico sono state utilizzate, a contrariis, per scoraggiare le suddette cessioni e/o le relative spese, al fine ultimo di contenere la spesa pubblica in materia sanitaria e, in particolare, la spesa sanitaria determinata da prescrizioni mediche di dubbia razionalità.
Più di 30 anni fa, l’art. 19, comma 14, della legge n. 67 del 1988 prevedeva che “Le spese sostenute da imprese produttrici di medicinali … per promuovere e organizzare congressi, convegni e viaggi ad essi collegati, sono deducibili … ai fini della determinazione del reddito di impresa, quando hanno finalità di rilevante interesse scientifico con esclusione di scopi pubblicitari in conformità ai criteri stabiliti dal Ministro della sanità con proprio decreto“. Tale norma delineava, per le spese congressuali sostenute dalle imprese farmaceutiche, un regime di deducibilità piena, ma subordinata all’ottenimento delle autorizzazioni prescritte dal Ministero della sanità e rilasciate all’esito di una procedura volta a controllare la regolarità del congresso, sotto il profilo dell’assenza di intenti pubblicitari.
Ferma restando la condizione delle prescritte autorizzazioni ministeriali, la percentuale di deducibilità delle spese pubblicitarie sostenute dalle imprese farmaceutiche per la promozione e l’organizzazione di convegni e congressi è stata via via successivamente ridotta dapprima all’80 per cento delle spese sostenute (cfr.: art. 36, comma 13, della legge n. 449 del 1997), poi al 40 per cento (art. 85, comma 11, della legge n. 388 del 2000), poi ancora al 20 per cento (cfr.: art. 2, comma 5, della legge 28 dicembre 2001, n. 448). E’ invece rimasta assoggettata alla disciplina generale del TUIR in termini di inerenza e competenza, la deducibilità dei costi sostenuti dalle imprese farmaceutiche nell’ambito delle restanti attività pubblicitarie, ovvero di informazione scientifica, disciplinate dalle restanti disposizioni del D.Lgs. n. 541/1992.
Con l’art. 2, comma 9, della L. 27 dicembre 2002, n. 289 è stata poi espressamente prevista l’indeducibilità, ai fini delle imposte sul reddito, di tutti i costi sostenuti per l’acquisto di beni o servizi destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti, allo scopo di agevolare, in qualsiasi modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico. Anche quella dell’art. 2, comma 9, della legge n. 289 del 2002 è stata una previsione in un certo senso “fuori sistema”, perchè ispirata non tanto a criteri di inerenza e corretta determinazione del reddito d’impresa, quanto piuttosto a criteri di contenimento della spesa pubblica in materia sanitaria. Come rilevato (cfr.: R. LUPI, Finalità extrafiscali delle disposizioni tributarie e formalismi a senso unico, in Dial. Trib, n. 5/2010, p. 51), la previsione in questione è verosimilmente nata dalla considerazione che la deduzione fiscale dei suddetti costi “veicolerebbe … sul medico un flusso oggettivamente reddituale in termini di consumo del bene o di fruizione del servizio. Questo flusso, non tassato per il medico, sarebbe dedotto dalla casa farmaceutica, il che ne azzererebbe la natura sostanziale di erogazione al consumo finale del medico, in chiave di captatio benevolentiae”.
Il significato della disposizione introdotta dall’art. 2, comma 9, è stato molto dibattuto. Nell’attività d’impresa, la deduzione di spese per omaggi a clienti e fornitori, a fini di promozione delle vendite, è – entro limiti di ragionevolezza qualitativa e quantitativa – considerata fisiologica e ordinariamente ammessa; non diversamente l’inerenza di tali spese dovrebbe essere valutata anche per le imprese del settore farmaceutico. Invece per questo settore il legislatore fiscale ha fatto nel tempo scelte diverse; probabilmente perché, pressato dall’esigenza di tenere sotto controllo la spesa sanitaria, ha tentato, con le norme fiscali, di tracciare un discrimine tra cessioni gratuite di farmaci effettuate dalle imprese farmaceutiche ai medici per fisiologiche finalità promozionali e ipotesi patologiche di abuso, spinte a configurare il reato di “comparaggio” previsto dagli artt. 170 e ss. del testo unico delle leggi sanitarie, R.D. n. 1265 del 1934; reato che si concretizza quando un medico (o un veterinario) accettano “denaro o altra utilità”, o anche solo la loro promessa, al fine “di agevolare … la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico …”, promuovendone evidentemente la prescrizione anche al di là dei casi per i quali vi sarebbero le relative indicazioni terapeutiche.
In più di un caso, la promozione dei prodotti farmaceutici da parte delle imprese del settore era avvenuta con modalità border line. Le cronache del tempo testimoniavano di abusi, compiuti da alcune case farmaceutiche, sia sotto forma di omaggi di rilevante valore ai medici perché “agevolassero” i loro prodotti nella prescrizione ai pazienti, sia sotto forma di convegni e conferenze, a partecipazione gratuita dei medici, organizzate in note località turistiche e magari con coniuge al seguito.
In questa prospettiva, l’intervento legislativo del 2002 non declinava il tema delle spese di pubblicità o promozionali delle imprese farmaceutiche in termini di inerenza, ma utilizzava la norma fiscale con finalità extrafiscali per fromteggiare ipotesi “patologiche” di attribuzione alla classe medica di beni e servizi di valore non trascurabile o non collegabili all’attività del medico.
Se nel 2020 ci si è accorti che al Servizio Sanitario Nazionale “servono” le cessioni gratuite di farmaci ad uso compassionevole da parte delle aziende farmaceutiche – e dunque queste cessioni vanno “fiscalmente promosse” – nel 2002 i farmaci preoccupavano lo stesso Servizio Sanitario nazionale sotto un profilo diverso e in un certo senso opposto: occorreva contenerne il consumo e non tanto per quelli a libera vendita (per il quali il consiglio medico è spesso assente o comunque non sempre determinante), ma per quelli soggetti a prescrizione medica e rimborsabili (o a totale o parziale addebito al SSN), perché una prescrizione eccessiva, indotta da medici opportunamente “sensibilizzati” dalle aziende farmaceutiche, avrebbe inciso negativamente sui volumi della spesa pubblica.
Il fine della norma del 2002 era dunque opposto a quello odierno: vietare alle case farmaceutiche la deduzione di costi sostenuti per l’acquisto di beni destinati, anche indirettamente, a medici al fine di contenere i consumi di farmaci, a rischio di essere prescritti in misura eccessiva per soli scopi commerciali, con effetti negativi sulla finanza pubblica.
Oggi come allora, le disposizioni speciali per il settore farmaceutico tornano ad essere – stavolta in senso inverso – la cartina di tornasole del ricorso a norme fiscali per ragioni extrafiscali.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: sull’economicità dell’attività di impresa, intesa come orientamento della produzione in maniera tale da alimentare l’attività con i suoi stessi ricavi, per tutti cfr. E. LOFFREDO, Economicità e impresa, Torino, 1999, passim. Sul fine di lucro cfr.:. A. GENOVESE, La nozione giuridica dell’imprenditore, Padova, 1990, pp. 27 ss.; E. GLIOZZI, L’imprenditore commerciale, Bologna, 1998, pp. 129 ss.; V. BUONOCORE, L’impresa, in Trattato di diritto commerciale diretto da Buonocore, Torino, 2002, pp. 67 ss; G. MARASA’, Impresa, scopo di lucro ed economicità, in Analisi giur. econ. n. 1/2014, pp. 33 ss.. Sulla lucratività come connotazione legata alla destinazione del risultato e, in particolare, sulla distinzione fra produzione e destinazione del risultato dell’attività associata, cfr.: D. PREITE, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano, 1988. In ambito fiscale, cfr. A. GIOVANNINI, Lucro e impresa commerciale nel sistema impositivo, in AA.VV., Corrispettività, onerosità e gratuità (a cura di V. Ficari e V. Mastroiacovo, Giappichelli, 2014 , pp. 219 ss..
Sulle norme fiscali in tema di cessioni gratuite di beni d’impresa v. CARPENTIERI Autoconsumo, in Enc. Giur. Treccani, Agg. Vol. Iv, Roma, 1996; M. VERSIGLIONI, Profili tributari della cessione gratuita dei beni relativi all’impresa, in Riv. dir. fin., 1992, I, 481 ss..
Sulla finanza extrafiscale corrispondente a quella “ forma di azione pubblica, la quale attraverso l’obbligo del pagamento di talune somme nelle casse pubbliche tende ad influire sulle determinazione dei singoli nella vita economica o nella vita sociale” v. MINISTERO PER LA COSTITUENTE, Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente, Vol. V, Finanza, I, Relazione, Roma, 1946, p. 11. Sulla funzione extrafiscale delle imposte v. A.D. GIANNINI, Il rapporto giuridico d’imposta, Milano, 1937, p. 6 ss., in cui si evidenzia che il motivo dell’imposizione non è unicamente quello di procurare un’entrata allo Stato, ma anche di raggiungere scopi non fiscali e “accade che si cerchi di limitare, col mezzo di una elevata tassazione, alcune manifestazioni della vita economica o sociale ritenute dannose alla collettività”. Sulla extrafiscalità v. F. FICHERA, Imposizione ed extrafiscalità nel sistema costituzionale, Napoli, 1973; ID., Fiscalità ed extrafiscalità nella Costituzione. Una rivisitazione dei lavori preparatori, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1997, p. 486 ss. 33.
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