La fiscalità della raccolta fondi nel quadro della riforma del Terzo settore
Di Gabriele Sepio -
1. La raccolta fondi rappresenta una tradizionale fonte di finanziamento per gli enti non profit, e si caratterizza come un insieme di attività di natura eterogenea suscettibili di diverso inquadramento fiscale in funzione della natura commerciale o meno sia dell’entrata sia dell’ente. All’interno della più ampia categoria delle attività di raccolta fondi, infatti, sono ricomprese, sia le classiche iniziative di fundraising volte a sollecitare lasciti testamentari, donazioni e contributi di natura non corrispettiva (c.d. raccolte fondi senza scambio di beni e servizi), sia attività che potrebbero presentare una matrice almeno in parte commerciale (c.d. raccolte fondi con scambio di beni e servizi).
In considerazione delle definizioni contenute nel Codice del Terzo settore, occorre individuare prima di tutti i tratti distintivi dell’attività di raccolta fondi al fine di distinguerla dalle attività istituzionali di interesse generale previste per gli enti del Terzo settore o ETS (art. 5 del D.Lgs. n. 117/2017) nonché da quelle c.d. “diverse”, secondarie e strumentali rispetto alle prime (art. 6 del D.Lgs. n. 117/2017).
2. Un primo riferimento utile a tal fine è contenuto all’art. 7 del D.Lgs. n. 117/2017, che definisce la raccolta fondi quale insieme delle attività e delle iniziative dell’ente non profit volte al finanziamento delle proprie attività di interesse generale. Essa, dunque, a rigore, non è soggetta agli stessi limiti qualitativi e quantitativi di secondarietà e strumentalità previsti per le attività diverse ma al solo vincolo di destinazione, ovvero alla necessità che i fondi raccolti siano diretti a supportare le attività di interesse generale degli enti del Terzo settore. Tale vincolo finalistico è stato da sempre enfatizzato anche con riferimento agli enti dotati della qualifica di ONLUS. L’Agenzia delle Entrate, in passato, ha sottolineato la “necessità di sorvegliare le modalità di raccolta nonché di assicurare la destinazione dei fondi al progetto o alle attività per i quali è stata posta in essere la raccolta” (Cfr. Circolare n. 59/E/2007).
Il tenore del citato articolo 7 appare dotato di portata innovativa dal momento che tende a superare la concezione della raccolta fondi come attività residuale, a favore di una visione più strutturata e organizzata secondo un modello professionale. Gli ETS, infatti, potranno svolgere attività di fundraising anche in forma organizzata e continuativa, nonché mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, nel rispetto dei generali principi di trasparenza e correttezza nei confronti dei terzi interessati (stakeholders, sostenitori, pubblico in generale).
Le novità contenute nel Codice sembrano, quindi, concepire le raccolte fondi, non soltanto come mere occasioni di carattere economico e logistico, ma come un insieme di iniziative di comunicazione che l’ente decide di porre in essere al fine di creare un canale stabile di collegamento tra lo stesso e i propri sostenitori.
L’inquadramento civilistico, così come inteso ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. n. 117/2017, sembra, dunque, riflettere le diverse modalità attraverso le quali può essere oggi effettuata l’attività di raccolta fondi. Orbene, occorre considerare che, tra i principali strumenti di fundraising, possiamo annoverare le classiche iniziative effettuate mediante cessioni di beni di modico valore fino ad arrivare ai più recenti e innovativi modelli, come gli sms charity (D.M. 5 febbraio 2019) o la raccolta fondi effettuata attraverso i social media.
Si tratta, nella specie, di nuovi canali di finanziamento a favore degli enti non profit, sviluppatisi nell’ottica di supportare le attività solidaristiche e che consentono di allargare quanto più possibile la platea di soggetti sostenitori, sfruttando le potenzialità derivanti dalle innovazioni tecnologiche. Si pensi, ad esempio, al c.d. birthday fundraising (piuttosto diffuso, ad esempio, sulla piattaforma Facebook) oppure, agli sms charity, ossia alle raccolte fondi effettuate grazie alla messaggistica inviata da migliaia di donatori tramite emittenti televisive italiane che consentono di supportare specifici enti (sul tema, SEPIO G. – PETTINACCI J., La raccolta fondi nel Terzo settore: profili civilistici, fiscali e operativi, in Il Fisco, n. 17/2019).
3. Dal punto di vista tributario, la raccolta fondi è disciplinata espressamente all’art. 79, comma 4, lett. a) del D.Lgs. n. 117/2017, ai sensi del quale “non concorrono alla formazione del reddito” degli enti del Terzo settore non commerciale i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.
Si tratta di una disposizione che entrerà in vigore dal periodo d’imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea e, in ogni caso, non prima del periodo di imposta successivo a quello di operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore, ai sensi di quanto previsto dall’art. 104, comma 2 del D.Lgs. n. 117/2017. In attesa della entrata in vigore della norma restano applicabili agli ETS le disposizioni di cui all’art. 143 del TUIR cui, nella sostanza, lo stesso art. 79, comma 4, lett. a) si richiama. Ai sensi dell’art. 143, comma 3, lett. a) del T.U.I.R., infatti, sono esclusi dalla formazione del reddito degli enti non commerciali i fondi pervenuti agli stessi a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore.
Tenuto conto del tenore della disposizione fiscale potrebbe essere lecito chiedersi in quali limiti le attività di raccolta fondi siano rilevanti ai fini fiscali, posto che la norma sembra considerare espressamente non imponibili solo quelle di cui all’art. 79, comma 4, lett. a) del Codice. In base al tenore letterale di tale disposizione, sono sicuramente non imponibili i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate in via occasionale, anche mediante offerte di beni di modico valore, da parte di ETS non commerciali. In questo caso, quindi, non occorre alcuna valutazione preliminare in merito alla corrispettività o meno dell’operazione, in quanto è lo stesso legislatore a considerare non commerciali le attività di raccolta che rispettino questi requisiti (i.e. carattere pubblico della raccolta; occasionalità e concomitanza con specifiche ricorrenze; valore modico dei beni e servizi eventualmente offerti). È il caso, ad esempio, della vendita di arance o fiori in occasione di apposite campagne di sensibilizzazione lanciate da noti enti non profit, che solitamente si esauriscono in pochi giorni all’anno.
4. Laddove la raccolta sia svolta con modalità diverse da quelle contemplate ex lege dal citato art. 79, comma 4, lett. a), invece, occorre necessariamente operare delle distinzioni a seconda delle modalirà con cui viene esercitata.
Qualora i fondi siano pervenuti a seguito di raccolte private, vale a dire grazie ad atti di liberalità da parte di soggetti privati a favore dell’ente, la loro rilevanza è sicuramente esclusa per gli enti del Terzo settore non commerciali, sia ai fini delle imposte dirette sia ai fini IVA. È il caso delle raccolte fondi effettuate tramite donazioni, sms charity o birthday charity, che – come sopra illustrato – in assenza di corrispettività, non configurano in alcun modo esercizio d’impresa e non sono, dunque, attività fiscalmente rilevanti ai fini delle imposte dirette. Inoltre, alle condizioni qui espresse, tali operazioni non hanno rilevanza nemmeno ai fini IVA, dal momento che non ricorre il presupposto impositivo della cessione di beni o della prestazione di servizi dietro corrispettivo ai sensi del d.P.R. n. 633/1972. Si tratta di un convincimento – quello fin qui illustrato – che trova fondamento anche sulla base di una interpretazione sistematica delle disposizioni del Codice. In particolare, in relazione a specifiche tipologie di enti del Terzo settore, quali organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, deve considerarsi che il legislatore istituzionalizza le raccolte fondi e garantisce l’irrilevanza fiscale di tali attività effettuate con modalità diverse, in linea con la previgente disciplina tributaria. Gli artt. 84, comma 1, lett. b) e 85, comma 6 del D.Lgs. n. 117/2017 prevedono, infatti, la decommercializzazione di tutta una serie di attività che vengono svolte per reperire risorse finanziarie necessarie per il sostentamento economico dell’ente non profit e che, quindi, possiamo ricomprendere nell’alveo dell’attività di raccolta fondi. Nella sostanza, tali disposizioni richiamano la disciplina normativa prevista ante riforma, contenuta nel D.M. 25 maggio 1995. È il caso, ad esempio, della vendita di beni prodotti dai volontari di un’organizzazione di volontariato, espressamente decommercializzata laddove curata direttamente dall’ente senza alcun intermediario (art. 84, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 117/2017); operazione rientrante nella più ampia nozione di raccolta fondi.
Le raccolte fondi possono assumere, invece, una qualche rilevanza ai fini fiscali quando siano effettuate da ETS non commerciali diversi da quelli sopracitati o se invece prevalga il carattere commerciale piuttosto che liberale dell’iniziativa. L’esempio classico è quello delle raccolte effettuate con scambio di beni di modico valore (al di fuori dell’ipotesi di cui al citato art. 79, comma 4, lett. a), che potrebbero essere o meno assoggettate ad imposta a seconda che si consideri prevalente la componente corrispettiva o quella liberale, con conseguenti ricadute sulla qualificazione fiscale dell’ente nel suo complesso. Si pensi ai charity shop oppure alla vendita di merchandising svolta in via continuativa dall’ente sul proprio sito internet.
Un approccio di tipo sistematico potrebbe indurre ad escludere da imposizione le entrate derivanti da questo tipo di raccolta, in quanto la modicità del bene ceduto porterebbe a ritenere prevalente la finalità solidaristica della causa rispetto al valore del bene in sé. In tale ottica, quindi, i fondi raccolti dovrebbero rientrare tra le entrate di natura non commerciale ai fini della qualificazione fiscale dell’ente.
Dall’altro canto, potrebbe essere forse più ragionevole condividere un diverso approccio, volto ad inquadrare le raccolte fondi svolte con queste modalità tra le entrate fiscalmente rilevanti. La sistematicità della raccolta (i.e. prodotti esposti giornalmente sui siti internet dell’ente), l’esistenza di un rapporto sinallagmatico e la richiesta di un prezzo, senza alcuna connessione con ricorrenze o specifiche campagne di sensibilizzazione, risulterebbero fattori decisivi per una connotazione prettamente commerciale di tali entrate, ponendo in secondo piano la modicità del valore del bene. Ovviamente questo non esclude che forme di vendita sviluppate nella forma tipica del charity shop ma associate a specifiche campagne di sensibilizzazione ben visibili al momento dell’acquisto del bene potrebbero incidere su una diversa qualificazione della fattispecie sotto il profilo fiscale. In base alle considerazioni svolte, quindi, è evidente come, a seconda del tipo di raccolta fondi e delle modalità con cui è posta in essere, cambiano le valutazioni ai fini del test di commercialità dell’ente nel suo complesso (art. 79, comma 5, del Codice) (F.M. Silvetti, “Riforma del Terzo settore ed attività di raccolta fondi”, in Terzo settore, non profit e cooperative, n. 4/2018, cit.; G.M. Colombo, “La raccolta fondi degli enti del Terzo settore”, in Corr. Trib., n. 11/2018, pag. 868)
Nella maggior parte dei casi, le attività di raccolta fondi dovrebbero essere computate tra le entrate di natura non commerciale, ai sensi del comma 5-bis del D.Lgs. n. 117/2017. Nello specifico, i fondi pervenuti a seguito di raccolte che siano assimilati alle erogazioni liberali possono pacificamente includersi tra le entrate non commerciali, posto che l’art. 79, comma 5-bis del Codice menziona espressamente le sovvenzioni e le liberalità nel suddetto novero. Analogamente, si considerano entrate non commerciali tutti i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche, effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore, in virtù del richiamo normativo -presente nel comma 5-bis dell’art. 79 del D.Lgs. n. 117/2017 – al comma 4 del medesimo articolo. Al contrario, resta il dubbio per i fondi derivanti dalle raccolte effettuate in via continuativa e che presentino, almeno in parte, natura corrispettiva.
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SILVETTI F.M., Riforma del Terzo settore ed attività di raccolta fondi, in Terzo settore, non profit e cooperative, n. 4/2018.
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