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Riflessioni in tema di operazioni esenti da IVA, a margine di un recente “chiarimento” di prassi e della giurisprudenza europea su cui si fonda: il caso delle “lezioni di scuole guida”
1. Il tema che forma oggetto di studio trae spunto da una recente Risoluzione resa dall’Agenzia delle Entrate [Si vd. Risoluzione n. 79 del 2 settembre 2019], recante interessanti, seppur cassabili, chiarimenti in tema di operazioni esenti ai fini IVA, sia da un altrettanto controverso arresto giurisprudenziale maturato in seno alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea [CGUE, Sez. I, in C-449/2017, A & G Fahrschul-Akademie GmbH contro Finanzamt Wolfenbüttel 14 marzo 2019] da cui il provvedimento dell’Ufficio appena richiamato promana.
L’approdo elaborato dall’Agenzia – così come quello del Collegio Europeo – merita particolare attenzione perché delimitano il campo di applicazione dell’articolo 132 della Direttiva IVA (disposizione che, come noto, reca la disciplina in tema di operazioni esenti ai fini IVA), muovendo dalla considerazione per la quale dovrebbero ritenersi non assoggettabili ad imposta sul valore aggiunto le sole “operazioni relative all’educazione dell’infanzia e della gioventù, all’insegnamento scolastico e universitario, nonché le operazioni relative alla formazione e alla riqualificazione professionale, comprese le lezioni private, impartite da insegnanti”: le lezioni di scuola guida non rientrando, e non essendo assimilabili, a parere della Corte, alle attività di didattica scolastica universitaria, non rientrerebbero tra quelle tipologie di insegnamento esenti dall’imposta sul valore aggiunto.
E’ doveroso, per completezza e rigore espositivo, ripercorrere i tratti salienti della sentenza sopra richiamata, così da comprendere l’iter logico assunto a fondamento della dei Giudici europei e le valutazioni espresse dall’Ufficio all’interno della sopramenzionata Risoluzione al fine ultimo di legittimare l’esclusione dalle operazioni esenti ai fini IVA anche quelle relative all’insegnamento della guida automobilistica.
2. Il Giudice del rinvio ha interrogato i Giudici unionali chiedendo di definire i confini applicativi della nozione di «insegnamento scolastico o universitario», di cui l’articolo 132 della Direttiva IVA si serve al fine di identificare [Sul punto, si vd. CGUE del 25 febbraio 2016, Sez. IV, Commissione contro Paesi Bassi, in C‑22/15 ovvero, in tempi ancor più recenti, CGUE del 4 maggio 2017, Sez. I, Commissioners for Her Majesty’s Revenue &Customs contro Brockenhurst College, in C‑699/15] alcune tra le operazioni esentati ai fini IVA.
In particolare, a parere del Collegio, l’inclusione del servizio didattico erogato presso le autoscuole tra i servizi “educativi” non soggetti all’IVA sarebbe ostacolato da un’interpretazione letterale, e restrittiva, della nozione di «insegnamento scolastico o universitario», di cui al citato art. 132. Tale disposizione si riferirebbe – nell’opinione dei Giudici – “a un sistema integrato di trasmissione di conoscenze e di competenze avente ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, nonché all’approfondimento e allo sviluppo di tali conoscenze e di tali competenze da parte degli allievi e degli studenti, di pari passo con la loro progressione e con la loro specializzazione in seno ai diversi livelli costitutivi del sistema stesso (…)” sicché “si deve osservare che l’insegnamento della guida automobilistica in una scuola guida, pur avendo ad oggetto varie conoscenze di ordine pratico e teorico, resta comunque un insegnamento specialistico che non equivale alla trasmissione di conoscenze e di competenze aventi ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, nonché al loro approfondimento e al loro sviluppo, caratterizzanti l’insegnamento scolastico o universitario”.
Un’interpretazione di questo tipo, pur costituendo legittimo esercizio delle prerogative e delle funzioni ermeneutiche esperibili dai Giudici europei, pone in crisi non soltanto la ratio sottesa al meccanismo d’esenzione dell’IVA, ma anche i fondamentali principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento, stante la natura interpretativa della pronuncia resa dal Collegio unionale e la sua conseguente portata retroattiva, con possibilità da parte dell’Erario di richiedere retroattivamente l’IVA non versata se relativa ad operazioni effettuate e registrate in annualità ancora accertabili [Per autorevoli spunti di riflessioni sul tema, Cfr. G. MELIS – R. MICELI, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia delle Comunità europee nel diritto tributario: spunti dalla giurisprudenza relativa alle direttive sulla “imposta sui conferimenti” e sull’Iva, in Riv. Dir. Trib., 2003, p. 111 e ss.].
3. Una prima, fondamentale argomentazione contro cui i provvedimenti richiamati si scontrano è rinvenibile, a nostro parere, nella funzione sociale che non può non riconoscersi alle esenzioni IVA. Tale nozione, infatti, nel voler favorire alcune attività di interesse pubblico – come la stessa Direttiva IVA sancisce alla rubrica dell’articolo 132 – si àncora indissolubilmente a principi di solidarietà sociale tanto di matrice europea quanto costituzionale (cfr. F. MONTANARI, Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Torino, 2013, pag. 373). Ebbene, se è vero, com’è, che la disposizione sopra menzionata si limita ad elencare una serie generalizzata, ampia e non tassativa di macro-categorie d’operazioni assoggettabili ad esenzione dall’IVA, allo stesso tempo, però, pare evidente che dette attività, seppur diverse sotto un profilo “finalistico”, siano tutte accomunate da una maggiore, o minore, rilevanza sociale.
In questa prospettiva, è corretto il fatto che il legislatore comunitario abbia inglobato tra le operazioni esenti ai fini IVA anche quelle relative ad attività didattiche, siano queste di tipo scolastico o universitario. Ed infatti, dando concreta applicazione a quanto prima detto, l’erogazione e la fruizione di servizi didattici presso Scuole o Istituti Universitari – concorrendo a corroborare un substrato educativo capillarmente diffuso all’interno della società e implicando, proprio per tal ragione, una diffusissima partecipazione da parte d’una molteplicità di consociati – rientreranno tra le attività esenti ai fini IVA più per ragioni di “buon senso” che di politica legislativa, pena il contravvenire alla ratio sottesa al meccanismo dell’esenzione.
Il richiamato approdo giurisprudenziale europeo sembra trascurare, se non tradire completamente, l’animus originariamente posto alla base del meccanismo dell’esenzione IVA.
Più concretamente, pur essendo le lezioni impartite dalla scuola guida volte alla condivisione e trasmissione di competenze “specialistiche”, per usare le parole dei Giudici, non si reputa che il carattere peculiare di dette competenze costituisca una ragione valida e sufficiente a considerare dette operazioni assoggettabili ad IVA, poste la capillare e generalizzata fruizione di detto servizio che, seppur tecnico e specifico, rimane, in ogni caso, educativo da parte di tutti quei consociati che intendano conseguire il titolo abilitante necessario alla guida di veicoli [basti pensare che in Italia, soltanto nell’anno 2018, sono risultati “idonei alla guida” 835.876 abitanti ripartiti tra 6910 “scuole attive”, con una media, dunque, di circa 121 studenti per scuola. In tal senso, Cfr. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Direzione Generale per la Motorizzazione Centro Elaborazione Dati Statistica delle attivita’ svolte nel 2018 per il conseguimento delle patenti di guida, p. 77].
D’altro canto, la stessa Corte di Giustizia aveva già avuto modo di specificare che il meccanismo dell’esenzione IVA dovesse considerarsi circoscritto a favore di alcune attività di interesse pubblico, non potendosi, di contro, applicare ad attività la cui esenzione discenda da altre ragioni [Cfr., per tutte, CGUE del 21 settembre 2017, Sez. IV, DNB Banka contro Valsts ieņēmumu dienests in C-326/15, ovvero, CGUE del 21 settembre 2017, Sez. IV, Minister Finansów contro Aviva Towarzystwo Ubezpieczeń na Życie S.A. w Warszawie, in C-605/15 ed infine CGUE del 21 settembre 2017, Sez. IV, Commissione contro Germania in C-616/2015 con commento di G. FRANSONI, La Corte di Giustizia “travolge” la disciplina dell’esenzione IVA per l’attività dei consorzi fra soggetti “esenti”, in Riv. Dir. Trib. – Online 17 ottobre 2017].
Muovendo da quest’ultimo orientamento giurisprudenziale, risulta che la soluzione interpretativa dei Giudici europei, in relazione alla questione controversa che ci occupa, non tiene conto dell’esenzione quale meccanismo di tutela di bisogni sociali condivisi, esaurendosi, di contro, in un errato giudizio di meritevolezza circa il valore educativo del servizio erogato dalle scuole guida.
E ciò senza considerare che nell’escludere dalle operazioni esenti ai fini IVA i servizi didattici erogati dalle scuole guida, il Giudice europeo non ha neppure richiamato in modo adeguato la Direttiva Europea specificatamente dedicata dal legislatore comunitario alle patenti di guida [Direttiva 2006/126/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006].
4. In particolare, l’elevato valore sociale condiviso e riconosciuto ai titoli abilitanti alla guida dal diritto europeo, è immediatamente ravvisabile dalla lettura della Direttiva sopracitata e in particolare del secondo considerando, nella parte in cui si specifica che Le norme relative alle patenti di guida sono elementi indispensabili della politica comune dei trasporti, contribuiscono a migliorare la sicurezza della circolazione stradale, nonché ad agevolare la libera circolazione delle persone (…) e la libertà di stabilimento delle persone.
I considerando, fungendo da principi ispiratori ed ermeneutici dell’intervento normativo al quale si riferiscono [C. COLAPIETRO, I principi ispiratori del Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali e la loro incidenza sul contesto normativo nazionale, in Federalismi.it, 2018, p. 4], dovrebbero guidare l’interprete verso la corretta esegesi – e, come nel nostro caso, applicazione – delle disposizioni che introducono.
Anche in questa prospettiva la questione giurisprudenziale che ci occupa sembra rappresentare un perfetto esempio di come i Giudici, nell’esercizio dei propri poteri, non abbiano in alcun modo tenuto in considerazione i principi ispiratori della materia sulla quale sono stati chiamati ad esprimersi.
Si tratta, com’è evidente, di rilievi d’altissimo valore sociale assurgenti a garanzia d’attuazione di almeno due dei principi portanti l’intero sistema europeo, ovvero la libertà di stabilimento e di libera circolazione degli individui. Dal punto di vista che qui maggiormente interessa, ossia quello tributario, proseguendo in continuità con le osservazioni fin qui formulate, il profilo più grave della questione che ci occupa sarebbe rinvenibile nel fatto che il Collegio abbia omesso di operare un fondamentale collegamento tra il “valore sociale” assolto dalle attività didattiche erogato presso le scuole guida e il fenomeno dell’esenzione IVA, meccanismo di cui il primo costituisce, invece, prima, perfetta e legittima giustificazione.
5. Proseguendo lungo questa linea interpretativa, mi sembra che la pronuncia giurisprudenziale e la prassi richiamate destino ulteriori perplessità relative alla loro compatibilità e conformità i principi di buona fede, certezza del diritto e legittimo affidamento, quali strumenti di salvaguardia della stabilità e dell’equità tanto dell’ordinamento giuridico europeo quanto di quello nazionale (da ultimo, L. PENNESI, Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, in Diritto e Pratica Tributaria, 1/2019, p. 424; e in giurisprudenza, fra le molte, Cass. Civ., Sez. I, del 5 novembre 1999, n. 12310 Cass. Civ., Sez. II, del 16 ottobre 2002, n. 14726).
La criticità dei richiamati profili emerge chiaramente, non tanto in relazione alla possibilità che le attività didattiche erogate presso le scuole guida possano fuoriuscire dalle categorie delle operazioni esenti ai fini IVA – statuizione, in ogni caso, dubbia – quanto in ragione dell’invito ad emettere una nota di variazione in aumento per tutte quelle operazioni effettuate e registrate in annualità ancora accertabili ai fini IVA. L’invito espresso operato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, prima, e dall’Agenzia delle Entrate, poi, si concretizzerebbe nella richiesta di adempimento degli obblighi IVA nei confronti dei clienti delle scuole guida che abbiano usufruito dei servizi da queste rese entro cinque anni a ritroso.
Condividere la linea adottata dalla Corte Europea e dall’Amministrazione Finanziaria potrebbe diventare un pericoloso veicolo d’una legittimazione allo svilimento non soltanto del principio di buona fede e cooperazione cui il rapporto tra Amministrazione e contribuente dovrebbe essere informato (snaturamento derivante dall’insorgere d’un pregiudizio concreto, ed attuale, in capo ai consociati che abbiano fruito dei servizi erogati dalle scuole guida in un momento storico in cui il versamento dell’IVA non era contemplato e, dunque, non era stato effettuato in buona fede dai contribuenti), ma anche per via d’una palese violazione dei fondamentali principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento.
6. Quanto al principio della certezza del diritto, il quale impone che il canone giuridico mai subisca alterazioni o distorsioni da parte delle autorità (legislative, giurisdizionali o amministrative), in dottrina si è già avuto modo di evidenziare come in materia fiscale l’art. 23 della Carta Costituzionale sancisca un fondamentale principio di civiltà giuridica e democratica [per approfondimento Cfr. A FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, p. 95; o ancora, A. FEDELE, La riserva di legge, in Trattato di diritto tributario diretto da A. Amatucci, Padova, 1994, 157 ss.], il quale, in via generale, subisce una vulnus in presenza di continue norme temporalmente ravvicinate volte a modificare le precedenti, ovvero dalla retroattività di alcune leggi (tributarie) anche nella forma della interpretazione autentica [così, E. DE MITA, Quella chimera della certezza del diritto, Sole 24 Ore, 22 gennaio 2017].
Le implicazioni giuridiche in relazione alla questione che ci occupa non sono di poco momento.
Il confine tra certezza e incertezza delle norme giuridiche è da rinvenirsi nella capacità del legislatore, europeo o nazionale, di salvaguardare tutte quelle situazioni giuridiche venutesi a creare, corroborare e cristallizzare nel tempo proprio in ragione di una disposizione considerata certa e nei confronti della quale il contribuente si sia atteggiato valutandola tale: ciò a maggior ragione laddove si tratti di una posizione favorevole maturata, legittimamente, dal cittadino.
Nel caso di specie, inoltre, non si può certamente valutare in modo positivo la mancata applicazione del principio di certezza del diritto agli effetti giuridici già accresciutisi nelle aree soggettive dei contribuenti, a nulla rilevando la considerazione formulata dall’Agenzia nelle ultime righe della Risoluzione in esame, e in particolare nella parte in cui si specifica che – essendosi l’istante “conformato a indicazioni contenuti in atti dell’amministrazione finanziaria” ed avendo realizzato le condotte “a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”, in applicazione di quanto stabilito dall’articolo 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 – “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente”, con riferimento alle prestazioni poste in essere antecedentemente alla presente risposta.
Ed infatti, non è neanche in discussione, nel caso che ci occupa, la debenza o meno delle sanzioni o degli interessi moratori da parte dei contribuenti in relazione all’IVA non versata, bensì l’assenza di un obbligo specifico all’adempimento della prestazione centrale a cui gli obblighi accessori si ricollegano. Quel che si vuol dire, in sostanza, è che il principio della certezza del diritto impone una serie, specifica di doveri “a scalare”, gradualmente decrescenti in relazione alla gerarchia dei soggetti cui sono riconducibili, ma sempre di pari rango in relazione ai doveri di chiarezza, completezza, accessibilità, trasparenza ed irretroattività che necessitano d’osservanza.
In questa prospettiva, la certezza del diritto si esprime non soltanto nel momento in cui il provvedimento certo e chiaro sia stato adottato, ma anche durante l’intera vigenza dello stesso, rendendo intangibili e immodificabili le posizioni giuridicamente rilevanti che sono maturate in buona fede in detto lasso temporale, escludendo qualsivoglia pretesa d’adempimento relativa ad un’eventuale obbligazione tributaria sorta soltanto in un secondo momento, successivo alla cristallizzazione di dette posizioni.
Anche alla luce di tali considerazioni, sia l’arresto maturato in seno alla giurisprudenza ceuropea, sia la risoluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate, in recepimento della citata linea giurisprudenziale, paiono collidere nettamente con gli obblighi che il dovere di certezza del diritto impone, soprattutto perché portatrici di effetti distorsivi, limitanti e contrastanti con lo spirito delle leggi. [in tal senso, E. DE MITA, La certezza calpestata del diritto tributario, in Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2015. Per ulteriori approfondimenti, E. CASTORINA, «Certezza del diritto» e ordinamento europeo: riflessioni attorno ad un principio «comune», in Riv. Dir. Pub. Comp., 1998, 1194 e ss; L. PERRONE, Certezza del diritto, affidamento e retroattività, in Rass. Trib., 2016, p. 933].
7. Quanto al profilo del legittimo affidamento, sovente considerato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea quale corollario del principio della certezza del diritto [in tal senso, cfr. Corte di Giustizia , 18 gennaio 2001, Commissione/Spagna, C-83/99 come richiamata da A. CONTRINO, Sull’efficacia temporale delle modifiche a tributi periodici, p. 90, in Consenso, equità e imparzialità dello Statuto del contribuente, (a cura di) A. BODRITO, A. CONTRINO, A. MARCHESELLI, Torino, 2012], costituisce sia principio generale, centrale e immanente all’ordinamento tributario, sia canone comportamentale non eludibile su cui l’intero operato statuale deve reggersi ed in cui è possibile rinvenire un limite all’esercizio dei poteri amministrativi e legislativi [v., per tutte, Cass., Sez. Trib., 6 ottobre 2006 n. 21513; per le relative radici costituzionali, e in ispecie nell’art. 3, 23, 53 e 97 Cost., v., da ultima, Cass, Sez. Trib., ord., 9 gennaio 2019, n. 371]. Esso è bidirezionale: da un lato, impone l’obbligo di un’azione amministrativa informata al canone generale della buona fede; dall’altro, impone al contribuente di garantire una formale e sostanziale veridicità delle dichiarazioni rese all’Ufficio [per approfondimenti sul punto, V. MASTROIACOVO, Dalla norma generale e astratta all’applicazione concreta, in A. FANTOZZI (a cura di), Diritto Tributario, Torino, 2012, pag. 372].
Le valutazioni fin qui formulate sembrano calzare perfettamente con il caso che ci occupa, per una molteplicità di ragioni.
In primo luogo, perché la natura del principio del legittimo affidamento, stante il suo “dinamismo”, impone al legislatore comunitario, agli altri organi comunitari e nazionali di esercitare nel corso del tempo le loro competenze in modo da non ledere situazioni e rapporti giuridici soggettivi [in questi termini, Cfr. M. BACCI, L’evoluzione del principio del legittimo affidamento nel diritto dell’Unione Europea e degli Stati Membri, in Collana di Diritto Privato Europeo, 2015]: in tale prospettiva, l’arresto giurisprudenziale comunitario sopra richiamato e la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate che sulla scia della prima è stata adottata pongono, evidentemente, in crisi anche il summenzionato principio, soprattutto nella parte in cui l’Agenzia ha invitato le scuole guida – lo si accennava già in precedenza – a presentare una nota di variazione in relazione agli anni ancora accertabili.
Ed infatti, il principio del legittimo affidamento, così come quello della certezza del diritto, deve essere interpretato come canone di ampissimo respiro, proponendosi di tutelare le sfere giuridiche di tutti quei “consumatori finali”, fruitori del servizio didattico erogato dalle scuole guida e ancora potenzialmente accertabili ai fini del pagamento dell’IVA non versata: nel caso di specie, il contribuente si era conformato alla normativa tributaria vigente al momento dell’utilizzo dei servizi didattici erogati dalle scuole guida, onde – in ragione della buona fede da quest’ultimo riposta nell’operato e nella posizione di garanzia assolta della Pubblica Amministrazione – le situazioni giuridiche soggettive consolidatesi per effetto di atti o comportamenti idonei ad ingenerare un ragionevole affidamento nel destinatario dell’atto medesimo meritano di essere salvaguardate.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
MELIS G. – MICELI R., Le sentenze interpretative della Corte di giustizia delle Comunità europee nel diritto tributario: spunti dalla giurisprudenza relativa alle direttive sulla “imposta sui conferimenti” e sull’Iva, in Riv. Dir. Trib., 2003, p. 111 e ss.
MONTANARI F., Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Torino, 2013, pag. 373
FRANSONI G., La Corte di Giustizia “travolge” la disciplina dell’esenzione IVA per l’attività dei consorzi fra soggetti “esenti”, in Riv. Dir. Trib. – Online, 17 ottobre 2017. COLAPIETRO C., I principi ispiratori del Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali e la loro incidenza sul contesto normativo nazionale, in Federalismi.it, 2018, p. 4
PENNESI L., Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, in Diritto e Pratica Tributaria, 1/2019, p. 424
FEDELE A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, p. 95
FEDELE A., La riserva di legge, in Trattato di diritto tributario diretto da A. Amatucci, Padova, 1994, 157 ss
DE MITA E., Quella chimera della certezza del diritto, Sole 24 Ore, 22 gennaio 2017.
DE MITA E., La certezza calpestata del diritto tributario, in Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2015.
CASTORINA E., «Certezza del diritto» e ordinamento europeo: riflessioni attorno ad un principio «comune», in Riv. Dir. Pub. Comp., 1998, 1194 e ss;
PERRONE L., Certezza del diritto, affidamento e retroattività, in Rass. Trib., 2016, p. 933.
CONTRINO A., Sull’efficacia temporale delle modifiche a tributi periodici, in A. BODRITO A. – CONTRINO A. – MARCHESELLI A. (a cura di), Consenso, equità e imparzialità dello Statuto del contribuente, Torino, 2012, 90,
MASTROIACOVO V., Dalla norma generale e astratta all’applicazione concreta, in FANTOZZI A. (a cura di), Diritto Tributario, Torino, 2012, pag. 372;
BACCI M., L’evoluzione del principio del legittimo affidamento nel diritto dell’Unione Europea e degli Stati Membri, in Collana di Diritto Privato Europeo, 2015
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Diritti degli interessati
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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