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Nota a margine della nuova disciplina di exit tax
Di Luigi Caltagirone e Raffaele Villa -
Il 12 gennaio 2019 è entrato in vigore il nuovo art. 166 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”), completamente riscritto dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. 29 novembre 2018, n. 142 (di attuazione della Direttiva (UE) 2016/1164 – “ATAD”); il legislatore italiano ha colto l’occasione del recepimento dell’ATAD per operare, fra l’altro, una riorganizzazione sistematica della disciplina sulla tassazione in uscita (exit tax), la quale, tuttavia, appare foriera di più di un dubbio interpretativo[1].
In particolare, si anticipa sin da ora che nel contesto del conferimento dell’unico ramo d’azienda costituente la stabile organizzazione italiana (“SO”) di un soggetto non residente, la nuova exit tax non sembra in prima istanza disciplinare il trattamento fiscale delle plusvalenze latenti inerenti alle attività non conferite, che non siano suscettibili di configurare una SO in Italia del conferente[2].
Ai fini dello studio della problematica appena segnalata, pare utile premettere taluni brevi cenni alle norme recate dall’art. 166 del TUIR con riferimento ai soggetti non residenti che dispongono di una SO in Italia.
Innanzitutto, occorre notare come non siano espressamente trattati all’interno dell’art. 166, inter alia, i possibili profili di imposizione in uscita nell’ambito di operazioni straordinarie comportanti la “chiusura” di SO in Italia di soggetti non residenti[3]. Ciò considerato, si procederà all’analisi delle due uniche ipotesi espresse di exit tax concernenti le SO italiane di soggetti non residenti, ossia il trasferimento, rispettivamente, dell’intera SO italiana e di suoi attivi alla sede centrale o ad altra SO estera [4].
In particolare, nel caso di trasferimento dell’intera SO italiana di cui all’art. 166, comma 1, lett. c), del TUIR, la plusvalenza[5], unitariamente determinata, è pari alla differenza tra il valore di mercato e il costo fiscale delle attività e passività della SO; inoltre, le perdite fiscali maturate possono essere utilizzate in abbattimento del reddito dell’ultimo periodo di imposta e, per la parte eccedente, della plusvalenza, senza osservanza del limite dell’80 per cento del reddito di cui all’art. 84 del TUIR. Si precisa che l’inciso “intera SO” sembra riferirsi – quantomeno ad una prima lettura, si veda infra – all’intero complesso aziendale idoneo a costituire una SO in Italia del soggetto non residente.
Con riferimento, invece, al trasferimento di attivi di una SO italiana di cui all’art. 166, comma 1, lett. d), del TUIR, la plusvalenza è pari alla differenza tra il valore di mercato e il costo fiscale degli attivi trasferiti (non sembrerebbero rilevare a questo specifico fine, sulla base di una interpretazione letterale della disposizione, le passività trasferite); in assenza di una previsione derogatoria, le perdite possono essere utilizzate nei limiti previsti dall’art. 84 del TUIR.
È d’uopo rilevare che la particolare disciplina fiscale riservata dal legislatore al trasferimento di attivi sembra esser stata delineata con riferimento al caso in cui la SO si qualifichi come tale non solo al momento del trasferimento, ma anche successivamente. Ad esempio, la mancanza di una deroga espressa all’applicazione dei limiti all’utilizzo delle perdite (in abbattimento della plusvalenza calcolata sui beni trasferiti alla sede centrale estera) si giustifica facilmente alla luce della circostanza per la quale la SO non cessa di esistere e, quindi, potrà ancora utilizzare le perdite fiscali residue in abbattimento del reddito d’impresa di successivi periodi d’imposta[6].
Tanto premesso, ad una prima analisi il regime di exit tax previsto ai sensi dell’art. 166 per i casi di trasferimento dell’intera SO e di attivi della SO non sembra disciplinare l’ipotesi per la quale, a seguito di un conferimento di azienda propria di una SO italiana, le attività e le passività non conferite non siano idonee a configurare in Italia una SO (residua) del conferente[7]. Infatti, adottando una interpretazione letterale dell’art. 166, il trasferimento di tali attività e passività alla sede centrale non pare assimilabile alle ipotesi di cui alle lett. c) e d), stante l’inidoneità del patrimonio che residua dopo il conferimento a configurare una SO[8].
Cionondimeno, pare ragionevole affermare che, in caso di “chiusura” di una SO (anche in occasione diversa dal trasferimento dell’intera azienda propria della SO alla sede centrale estera), le plusvalenze latenti relative al patrimonio residuale – non idoneo a configurare una SO – siano comunque rilevanti ai fini della determinazione del reddito imponibile della SO, per più ordini di motivi.
Innanzitutto, la cessazione dell’attività d’impresa in Italia da parte del soggetto non residente sembra idonea a recidere la connessione funzionale tra il suddetto patrimonio residuale e la SO, in ossequio al principio del functionally separate entity approach di cui all’art. 152, comma 2, del TUIR[9]. Pertanto, tale patrimonio pare doversi intendere come, alternativamente, trasferito alla sede centrale estera (trasferimento imponibile a valore normale ex art. 152, comma 3, del TUIR[10]), ovvero destinato a finalità estranee all’impresa (atto di destinazione idoneo a generare una componente reddituale tassabile ai sensi degli artt. 85, comma 2 e 86, comma 1, lett. c), del TUIR).
Circa l’imponibilità delle plusvalenze latenti in caso di “chiusura” di SO, l’Agenzia delle Entrate ha già avuto modo di ritenere imponibile il trasferimento all’estero di attività (aziendali) a seguito di “chiusura” della SO, in vigenza di una precedente versione dell’art. 166[11] (Ris. del 7 novembre 2006, n. 124/E); nonostante non fosse chiara la disposizione in concreto applicabile, la dottrina che si è occupata del tema in esame ha comunque condiviso l’approccio adottato in quell’occasione dall’Amministrazione finanziaria[12].
Del resto, riteniamo debba escludersi l’adozione di una interpretazione della normativa domestica attualmente vigente non allineata al Considerando n. 10 dell’ATAD, che impone ad ogni Stato Membro di assoggettare a tassazione le plusvalenze ivi maturate (ancorché non realizzate) per le quali lo stesso perde potestà impositiva a seguito di trasferimento di residenza fiscale ovvero di attivi. Peraltro, dall’analisi della relazione illustrativa al d.lgs. 142/2018 emerge chiaramente come la modifica del disposto di cui all’art. 166 del TUIR fosse esclusivamente volta a fornire una disciplina più completa ed organica del regime di imposizione in uscita[13].
In altri termini, l’intenzione del legislatore era, da un lato, introdurre nell’alveo dell’art. 166 fattispecie già disciplinate aliunde (e.g. l’exit tax prevista dall’abrogato art. 179, comma 6, del TUIR) e, dall’altro lato, di disciplinare espressamente il trattamento fiscale da riservare, inter alia, al trasferimento di beni da SO a casa madre. A ben vedere, come anticipato, le ipotesi sull’imposizione in uscita considerate dall’art. 166, comma 1 – i.e., il trasferimento di SO (lett. c)) e di attivi della SO (lett. d)) – potrebbero in ipotesi essere considerate ai fini della disciplina fiscale del trasferimento in commento (pur tuttavia non essendo quest’ultimo perfettamente sussumibile nelle predette fattispecie astratte). In particolare, la scelta legislativa di isolare queste due specifiche ipotesi di trasferimento alla sede centrale estera, lungi dal creare un vuoto normativo[14], sembra soltanto volta a differenziare le modalità di calcolo della plusvalenza tassabile e di utilizzo delle perdite nei casi, rispettivamente, di “chiusura” ovvero di permanenza della SO[15]. Per completezza, si evidenzia che, non a caso, tale distinzione non è rinvenibile in seno all’art. 5(b) dell’ATAD[16], dal momento che non sono oggetto della citata Direttiva né il calcolo della plusvalenza tassabile né le modalità di utilizzo delle perdite.
In sintesi, da un lato, la mancata previsione del caso in esame fra le ipotesi di cui all’art. 166 non lascia dubitare circa la necessità di assoggettare a tassazione l’eventuale plusvalenza latente; dall’altro lato, tuttavia, occorre verificare le concrete modalità di calcolo di tale plusvalenza, nonché i limiti all’utilizzo delle perdite.
Come in precedenza accennato, le plusvalenze in oggetto potrebbero essere considerate assoggettate a tassazione sia ricorrendo alla finzione del trasferimento di beni fra SO e sede centrale estera (in questo caso cercando di comprendere a quale ipotesi dell’art. 166 fare riferimento), sia ipotizzando una destinazione di beni a finalità estranee all’impresa, idonea a generare una componente reddituale tassabile ai sensi degli artt. 85, comma 2 e 86, comma 1, lett. c), del TUIR.
Sul punto, si è dell’avviso che per il caso in analisi possa trovare applicazione il trattamento fiscale riservato al trasferimento della intera SO, attraverso una interpretazione estensiva dell’art. 166, comma 1, lett. c). Vero è che, come anticipato, ad una prima lettura per trasferimento della “intera SO” sembra intendersi il trasferimento dell’intero complesso aziendale idoneo a costituire una SO in Italia del soggetto non residente. Tuttavia, ad uno sguardo più approfondito, lo stesso potrebbe essere inteso anche come il trasferimento dell’intero patrimonio della SO (i.e., a prescindere dalla verifica della composizione di tale patrimonio e, in particolare, dalla circostanza che taluni insiemi di beni facenti parte della SO non sarebbero idonei, presi singolarmente, a costituire tale SO). Così interpretando la norma, il trattamento fiscale riservato all’evento di cui all’art. 166, comma 1, lett. c) potrebbe esser fatto valere, in principio, ogniqualvolta la SO italiana di un soggetto non residente cessi di esistere, come nel caso in esame in cui il patrimonio residuale non è idoneo a costituire una SO del soggetto non residente. In altri termini, ipotizzando che l’art. 166, comma 1, lett. c) si riferisca al trasferimento dell’intero patrimonio della SO, la disciplina ad esso riservata riguarderebbe anche il caso in cui, al conferimento dell’azienda propria della SO (al momento T-0) faccia seguito il trasferimento alla sede centrale estera del patrimonio residuale della SO (al momento T-1) il quale costituisce, appunto, l’intero patrimonio della SO al momento T-1, intendendosi tale trasferimento come l’ultimo atto della SO comportante la sua “chiusura”.
Al contrario, non sembra sul punto conferente né la disciplina prevista dall’art. 166 per le ipotesi di cui alla lett. d) – i.e., trasferimento di attivi (la quale sembra essere stata congeniata appositamente per il caso in cui la SO continui a configurarsi come tale a seguito del trasferimento di attivi[17]), né il regime di tassazione della destinazione di beni a finalità estranee all’impresa.
A tal riguardo, pare utile precisare che applicando al trasferimento in esame, in modo letterale, il regime di exit tax enucleato con riferimento al trasferimento di singoli attivi, ne seguirebbe che i limiti recati dall’art. 84 del TUIR non potrebbero essere derogati e si porrebbe la questione della rilevanza di eventuali passività trasferite.
A simili conclusioni si arriverebbe anche rigettando l’ipotesi del trasferimento di attivi alla sede centrale estera ed argomentando a favore della destinazione a finalità estranee all’impresa. Difatti, il calcolo della plusvalenza ex art. 86, comma 1, lett. c), del TUIR (e dei ricavi ex art. 85, comma 2 del TUIR) non avviene in modo unitario, ossia tenendo altresì conto delle eventuali passività trasferite[18]. Inoltre, sarebbe preclusa al contribuente residente in uno Stato Membro dell’Unione Europea (ovvero in uno Stato appartenente allo Spazio Economico Europeo) la possibilità di esercitare, da un lato, l’opzione per la rateazione in cinque rate annuali dell’imposta dovuta a seguito dell’applicazione del regime di exit tax (opzione prevista, a certe condizioni, dall’art. 166, comma 9, del TUIR), e, dall’altro lato, l’opzione prevista dall’art. 86, comma 4, del TUIR per la diluizione in più anni (non più di 5) del concorso alla formazione del reddito da parte delle plusvalenze in esame (dal momento che la SO cessa di esistere ai fini fiscali italiani).
Ciò chiarito, si sottolinea come l’applicazione di una di queste ultime due discipline al caso in esame (i.e., art. 166, comma 1, lett. d); artt. 85, comma 2 e 86, comma 1, lett. c) del TUIR) sia irragionevole per più ordini di motivi.
Innanzitutto, ciò potrebbe essere idoneo a determinare una ingiustificata restrizione della libertà di stabilimento del soggetto residente in uno Stato Membro che cessi di operare in regime di impresa in Italia, dal momento che le società residenti possono utilizzarle integralmente laddove cessino di svolgere attività di impresa in Italia a seguito di (i) liquidazione[19], (ii) trasferimento di residenza, ovvero (iii) operazioni straordinarie in uscita[20]; inoltre, nei casi (ii) e (iii) non vi è dubbio che le passività incidano sul calcolo unitario della plusvalenza relativa ai beni che fuoriescono dal regime di impresa[21]. Sul punto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) ha già chiarito che una disciplina interna che limiti l’utilizzo delle perdite della SO di un soggetto residente in uno Stato Membro, che non sia applicabile parimenti ad una società residente, è idonea a limitare l’esercizio della libertà di stabilimento, risultando quindi incompatibile con le disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)[22].
Inoltre, sembra possibile far valere l’utilizzo integrale delle perdite in caso di “chiusura” della SO italiana di un soggetto non residente anche in virtù del principio di non discriminazione di cui all’art. 24, comma 3, della rilevante convenzione contro le doppie imposizioni – conforme al Modello di convenzione OCSE del 2017 (“Modello OCSE”) – di volta in volta applicabile[23].
Per quanto attiene specificamente alle perdite fiscali, si osserva, più in generale ed in via assorbente, che una interpretazione sistematica delle nuove ipotesi di pieno utilizzo delle perdite ex art. 166, comma 6, corrobora la convinzione che i limiti di cui all’art. 84 del TUIR debbano essere disapplicati ogniqualvolta cessi il regime di impresa in Italia; tali limiti, infatti, sono esclusivamente volti a garantire all’Erario un mero beneficio di natura finanziaria, ossia la diluizione dell’impatto negativo che produrrebbe, sul gettito, un immediato utilizzo integrale delle perdite[24].
Infine, si evidenzia come anche le passività possono essere, in principio, latrici di plusvalenze latenti, laddove il loro valore di mercato sia minore rispetto a quello fiscale. Tuttavia, in sede di “chiusura” della SO, applicando (soltanto) la disciplina di cui all’art. 166, comma 1, lett. d) ovvero quella recata dagli artt. 85, comma 2 e 86, comma 1, lett. c), del TUIR le eventuali plusvalenze maturate sulle passività non assumerebbero, in principio, alcuna rilevanza. Pur concordando sulla necessità di approfondire ulteriormente il tema dell’eventuale imponibilità in Italia delle plusvalenze latenti relative alle passività trasferite dalla SO alla sede centrale estera, si può sin da ora rilevare che una eventuale non imposizione svilirebbe lo sforzo comunitario, sotteso all’ATAD, di prevedere che l’imposta sia versata nello Stato in cui gli utili e il valore sono stati generati[25].
In conclusione, più argomenti militano a favore dell’applicazione della disciplina prevista per l’ipotesi di trasferimento della intera SO ai fini del calcolo della plusvalenza dovuta a seguito del trasferimento degli attivi in esame. Pertanto, in caso di “chiusura” della SO, da un lato, la plusvalenza dovrebbe essere determinata in modo unitario quale differenza tra il valore di mercato e il costo fiscale delle attività e passività della intera SO e, dall’altro lato, non dovrebbero operare i limiti recati dall’art. 84 del TUIR all’utilizzo delle perdite in diminuzione del reddito dell’ultimo periodo di imposta della SO e, per la parte eccedente, della plusvalenza in esame. Inoltre, non dovrebbe essere preclusa al contribuente la possibilità di ottenere la rateazione dell’imposta dovuta alle condizioni stabilite dall’art. 166, comma 9, del TUIR.
Tuttavia, anche laddove si dovesse ritenere più corretta l’adozione del regime previsto per l’ipotesi di trasferimento di attivi ovvero della destinazione dei beni a finalità estranee all’impresa, la tutela della libertà di stabilimento di matrice comunitaria, nonché il principio convenzionale di non discriminazione, depongono a favore sia della rilevanza delle passività nel calcolo della plusvalenza, sia dell’utilizzo integrale delle perdite, sia, infine, della rateazione ex art. 166, comma 9 (ove disponibile), analogamente agli altri casi previsti dall’art. 166 in cui l’attività d’impresa viene meno (e.g. trasferimento di residenza; operazioni straordinarie in uscita di un residente). Invero, per le ragioni sistematiche suesposte, la deroga all’applicazione dei limiti di cui all’art. 84 del TUIR dovrebbe trovare sempre attuazione, a prescindere dal paese in cui il soggetto con SO italiana risiede ai fini fiscali[26].
[1] Gli Autori ringraziano il Dottor Antonfortunato Corneli, l’Avv. Alberto Fuccio e il Dottor Paolo Ruggiero per gli utili suggerimenti.
[2] Per semplicità espositiva, il presente studio si concentrerà sull’analisi del conferimento sopra descritto; tuttavia, i ragionamenti sviluppati nel presente elaborato possono essere fra l’altro estesi, mutatis mutandis, ai seguenti casi: (a) cessione a terzi dell’unico ramo d’azienda costituente la SO italiana di un soggetto non residente; (b) cessione a terzi di singoli beni in precedenza attribuiti alla SO; (c) scissione parziale coinvolgente la SO italiana del soggetto non residente scisso; (d) trasferimento di singoli beni in precedenza attribuiti alla SO alla sede centrale estera o ad altra SO stabilita in diverso Stato; (e) trasferimento dell’unico ramo d’azienda costituente la SO italiana di un soggetto non residente alla sede centrale estera o ad altra SO stabilita in diverso Stato, sempreché, in tutte queste ipotesi, le attività non trasferite al cessionario/beneficiario non continuino a qualificarsi come SO in Italia del cedente/scisso (e considerando altresì che, nel caso c), il beneficiario è potenzialmente destinatario di perdite fiscali).
[3] Ed infatti, l’applicazione del regime di imposizione in uscita è espressamente limitata, in base all’art. 166, comma 1, lett. e), alle ipotesi in cui soggetti che esercitano imprese commerciali siano fiscalmente residenti in Italia e: (i) vengano incorporati da parte di una società non residente; (ii) siano oggetto di scissione a favore di una o più beneficiarie non residenti; ovvero (iii) abbiano effettuato il conferimento di (un ramo di) una SO situata all’estero a favore di un soggetto fiscalmente non residente. In tali casi, la plusvalenza, unitariamente determinata, è pari alla differenza tra il valore di mercato complessivo e il corrispondente costo fiscalmente riconosciuto delle attività e passività che, prima dell’operazione straordinaria, facevano parte del patrimonio del soggetto residente e che, successivamente all’operazione straordinaria, non confluiscono nel patrimonio di una SO di un soggetto non residente. Viceversa, le disposizioni di cui all’art. 166 non disciplinano espressamente il trattamento fiscale della “chiusura” della SO in Italia di un soggetto fiscalmente non residente per effetto di operazioni straordinarie. Si rammenta altresì che l’introduzione del nuovo regime di exit tax è stata accompagnata dall’abrogazione dell’art. 179, comma 6, del TUIR ai sensi del quale si consideravano realizzati al valore normale i componenti dell’azienda o del complesso aziendale oggetto delle operazioni indicate all’art. 178, comma 1, lett. da a) a d), del TUIR, non confluiti in seguito a tali operazioni in una SO italiana ovvero successivamente distolti dalla stessa (inoltre, al fine di tutelare la potestà impositiva italiana l’ambito di applicazione della norma era da intendersi esteso ad altre operazioni straordinarie in principio neutrali con profili internazionali, e.g. al conferimento d’azienda italiana fra soggetti “extra-UE” ex art. 176, c. 2, del TUIR – si rimanda a P. Ceppellini, R. Lugano & Associati (a cura di), Operazioni straordinarie, Ipsoa, I ed., 2018, Cap. X, sez. 4.3.2.a.; M. Confalonieri, Trasformazione, fusione, conferimento, scissione e liquidazione delle società, Gruppo 24 Ore, 2018, XXXIII ed., 349). A nostro avviso l’abrogazione tout-court dell’art. 179, comma 6, del TUIR rientra in un piano legislativo non attuato in modo ottimale, atteso che le ipotesi dapprima previste dall’art. 179, comma 6, del TUIR non sono state del tutto trasfuse nel nuovo art. 166 del TUIR. Pur non essendo oggetto del presente lavoro, vale la pena osservare che l’eventuale estensione alle SO del regime di exit tax previsto nei confronti dei soggetti residenti coinvolti in operazioni straordinarie (immaginando che, nell’ambito di tale norma, la posizione delle SO di soggetti non residenti sia sostanzialmente da equiparare a quella dei soggetti residenti) potrebbe al più riguardare il trattamento fiscale delle plusvalenze relative ai beni facenti parte del patrimonio della SO che sono oggetto di una operazione straordinaria (i.e., quei beni propri della SO che vengono trasferiti dal soggetto non residente ad un altro soggetto) laddove tali beni vengano distolti dal regime di impresa (e.g. non confluendo ab origine nel patrimonio della SO italiana di detto soggetto ricevente non residente) – in deroga all’applicazione dell’eventuale regime di neutralità fiscale in principio riservato a tale operazione. Tuttavia, non sembrerebbe pienamente corretta l’applicazione di tale disciplina alle plusvalenze latenti relative ai beni che, come nel caso oggetto di studio, sono esclusi dal perimetro dell’operazione straordinaria (i.e., permangono nel patrimonio della SO del soggetto non residente “trasferente”), la cui possibile imposizione sembra invero connessa, come vedremo, alla “chiusura” della SO a seguito della cessazione dell’attività di impresa in Italia da parte del soggetto non residente. Cionondimeno, il regime fiscale riservato alle ipotesi di cui all’art. 166, comma 1, lett. e), del TUIR non è dissimile da quello assegnato al trasferimento dell’intera SO ex art. 166, comma 1, lett. c), del TUIR (i.e., della disciplina che, nel prosieguo dell’elaborato, si riterrà corretto applicare al caso in esame).
[4] Nel prosieguo del lavoro si farà riferimento soltanto al trasferimento di SO e di attivi verso la sede centrale estera.
[5] In aderenza alla scelta lessicale operata dal legislatore all’interno dell’art. 166 del TUIR, si utilizzerà il termine “plusvalenza” anche per indicare i plusvalori latenti (i.e., maturati ma non ancora realizzati dal soggetto non residente).
[6] Tale osservazione pare condivisa, fra gli altri, da G. Ascoli-M. Pellecchia, Prospettive di ampliamento delle ipotesi di applicazione, in Il fisco 2018, n. 38, 1-3621; R. Michelutti, Exit tax, doppio binario sul regime delle perdite, in IlSole24Ore, 19 settembre 2018; nonché, indirettamente, da E. Zanetti, La stabile in Italia del soggetto estero post fusione incide sulle perdite del residente, in Eutekne.info – Il punto – operazioni straordinarie, 23 aprile 2019, ai quali si rimanda per maggiori chiarimenti circa le modalità di utilizzo delle perdite in seno alle ipotesi di cui all’art. 166 del TUIR.
[7] Per chiarezza, si precisa che scopo del presente elaborato non è la (altrettanto interessante) verifica, alla luce della nuova exit tax (e dell’abrogazione dell’art. 179, comma 6, del TUIR), del trattamento fiscale delle plusvalenze di quei beni che, nel contesto di operazioni fiscalmente neutrali (e.g. conferimento di ramo d’azienda, scissione parziale), pur essendo trasferiti dalla SO di un soggetto non residente ad un altro soggetto non residente, non confluiscono nella SO italiana di quest’ultimo (la precedente nota 3 prova a delineare una succinta risposta a tale quesito).
[8] Si rammenta nuovamente che, stando alla lettera della disposizione, l’ipotesi presa in considerazione dall’art. 166, comma 1, lett. c) è il trasferimento di una intera SO; al contrario, il caso richiamato dall’art. 166, comma 1, lett. d) prevede il trasferimento dei beni di una SO.
[9] Nel dettaglio, è possibile sostenere che l’interruzione dello svolgimento di attività di impresa in Italia da parte del soggetto non residente comporterebbe la necessità di distogliere dalla medesima SO le funzioni, i rischi e quindi gli attivi ivi precedentemente allocati in relazione allo svolgimento della citata attività di impresa, alla stregua del c.d. functionally separate entity approach di cui all’art. 152, comma 2, del TUIR (come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147). In altri termini, atteso che su tali beni la SO non può più esercitare una economic ownership (per come definita all’interno del Report on the Attribution of Profits to Permanent Establishments pubblicato dall’OCSE il 22 luglio 2010 – “Report”, si veda infra), pare ragionevole sostenere che gli stessi siano automaticamente trasferiti alla sede centrale estera. A conferma di tale interpretazione milita la circostanza per la quale i principi elaborati in sede OCSE ai fini dell’attribuzione del reddito alla SO sono altresì richiamati dal Commentario all’art. 13 del Modello di convenzione OCSE del 2017 (“Modello OCSE”), norma in base alla quale lo Stato in cui è stabilita la SO può assoggettare ad imposta le plusvalenze derivanti dall’alienazione di beni mobili attribuiti alla SO ovvero dell’intera SO stessa. Sul punto, il paragrafo 10. del Commentario OCSE all’art. 13 del Modello OCSE chiarisce, sostanzialmente, che quest’ultimo articolo non è idoneo a limitare la potestà impositiva dello Stato in cui è stabilita la SO con riguardo alle plusvalenze latenti sui beni “trasferiti” dal patrimonio della SO alla sede centrale estera, nella misura in cui tale potestà impositiva sia esercitata nel rispetto del disposto di cui all’art. 7 del Modello OCSE, ossia, fra l’altro, in ossequio a quanto elaborato in sede OCSE in tema di allocazione del reddito alla SO (“In some States the transfer of an asset from a permanent establishment situated in the territory of such State to a permanent establishment or the head office of the same enterprise situated in another State is assimilated to an alienation of property. The Article does not prevent these States from taxing profits or gains deemed to arise in connection with such a transfer, provided, however, that such taxation is in accordance with Article 7”). Peraltro, la verifica dell’esistenza di tale “trasferimento” deve essere svolta proprio alla luce dei chiarimenti forniti dal Report; difatti, il paragrafo 27.1 del medesimo Commentario precisa quanto segue: “For the purposes of the paragraph, property will form part of the business property of a permanent establishment if the “economic” ownership of the property is allocated to that permanent establishment under the principles developed in the Committee’s report entitled Attribution of Profits to Permanent Establishments (see in particular paragraphs 72 to 97 of Part I of the report) for the purposes of the application of paragraph 2 of Article 7. In the context of that paragraph, the “economic” ownership of property means the equivalent of ownership for income tax purposes by a separate enterprise, with the attendant benefits and burdens (e.g. the right to any income attributable to the ownership of that property, the right to any available depreciation and the potential exposure to gains or losses from the appreciation or depreciation of that property)”.
[10] Ai sensi dell’art. 152, comma 3, del TUIR i componenti di reddito attribuibili alle SO relativamente alle transazioni e alle operazioni intercorse, inter alia, tra la SO e la sede centrale estera sono determinati a valore di mercato secondo i principi stabiliti in tema di transfer pricing ai sensi dell’art. 110, comma 7, del TUIR.
[11] Versione che non disciplinava l’imponibilità del trasferimento di attivi o di tutto il patrimonio della SO alla sede centrale estera nel caso di “chiusura” della SO.
[12] Per una esaustiva disamina della risoluzione in commento, nonché delle posizioni dottrinali espresse sulla tematica dell’imponibilità delle plusvalenze latenti in caso di “chiusura” di SO, si rimanda a S. Mayr-B. Santacroce (a cura di), La stabile organizzazione delle imprese industriali e commerciali, IPSOA, I edizione, 2013, 117 e ss.. Più recentemente, nella risoluzione del 9 agosto 2018 n. 63/E (resa in vigenza della vecchia versione dell’art. 166 del TUIR), avente ad oggetto i profili fiscali del conferimento di uno dei ramo d’azienda condotto in Italia da conferente residente in altro Stato Membro dell’Unione Europea, l’Agenzia delle Entrate ha affermato, inter alia, che rappresenta evento impositivo in capo alla SO italiana del conferente la mancanza – all’atto del conferimento o successivamente – della citata connessione funzionale fra le partecipazioni ottenute dal soggetto non residente a fronte del conferimento e il patrimonio della SO; per una analisi critica della risoluzione in commento, si rimanda a A. Fuccio-R- Villa, Spunti critici sul regime discale applicabile al conferimento di azienda effettuato da “stabile organizzazione” italiana, in Rivista di Diritto Tributario – supplemento online, 12 novembre 2018.
[13] A commento del Capo II – disposizioni in materia di imposizione in uscita – del d.lgs. 142/2018, nella citata relazione illustrativa viene affermato, fra l’altro, quanto segue: “con gli articoli 2 e 3 [del d.lgs. 142/2018, N.d.AA.] è recepito l’articolo 5 della Direttiva ATAD concernente “Imposizione in uscita”. A tal fine è sostituito l’articolo 166 del TUIR, con una disposizione che fornisce una disciplina completa della materia”.
[14] Del resto, il trasferimento di intera SO e di attivi sarebbe comunque imponibile a valore normale ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 152 del TUIR.
[15] Ad ulteriore conforto di tale osservazione, si può fare riferimento ad alcune locuzioni utilizzate nel medesimo art. 166 del TUIR. Ad esempio, nel caso di trasferimento dell’intera SO alla sede centrale estera, l’art. 166, comma 6, prevede la deroga all’applicazione dei limiti di cui all’art. 84, comma 1, del TUIR per quanto attiene alle “perdite realizzate fino al termine dell’ultimo periodo d’imposta di esistenza in Italia della stabile organizzazione [enfasi aggiunta, N.d.AA.].
[16] Sia il trasferimento di singoli attivi, sia il trasferimento dell’intera SO sembrano rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 5, comma 1, lett. b), dell’ATAD (i.e., trasferimento di attivi da una SO alla sede centrale o a un’altra SO situata in altro Stato Membro o terzo). Si precisa che la diversa ipotesi di cui all’art. 5, comma 1, lett. d), dell’ATAD (trasferimento di attività svolte da una SO) non coincide con quella prevista all’art. 166, comma 1, lett. c), del TUIR, atteso che il trasferimento di attività svolte da una SO preso in considerazione dall’ATAD può essere soltanto verso un altro Stato Membro o terzo, non già verso la sede centrale. Peraltro, ai sensi dell’art. 2, n. 8, dell’ATAD il “trasferimento di un’attività svolta da una SO” indica “l’operazione mediante la quale un contribuente cessa di essere presente a fini fiscali in uno Stato membro e nel contempo acquisisce tale presenza in un altro Stato membro o in un paese terzo senza diventare residente a fini fiscali in tale Stato membro o paese terzo [enfasi aggiunta]”; ebbene, risulta chiaro che non può essere acquisita una presenza fiscale (senza acquisire al contempo la residenza) nello Stato Membro in cui il soggetto è già residente.
[18] Invero, laddove si sostenesse che nel caso in esame gli attivi della SO non sono trasferiti alla sede centrale estera, bensì destinati a finalità estranee all’impresa, allora, per coerenza, neanche le passività potrebbero essere considerate come trasferite alla sede centrale estera.
[19] Per quanto attiene alla liquidazione, vale la pena sottolineare che, nonostante il nostro ordinamento tributario non contempli una deroga espressa all’applicazione dei limiti dell’art. 84 del TUIR per una società in liquidazione, tale possibilità è unanimemente riconosciuta dalla dottrina; non si registrano, per quel che ci consta, posizioni contrarie da parte dell’Amministrazione finanziaria. Si rammenta che è incompatibile con l’ordinamento comunitario anche quella disposizione di legge nazionale – di per sé neutra – che venga interpretata e applicata in sede amministrativa (ovvero da una parte significativa degli organi giurisdizionali) in modo tale da violare gli obblighi comunitari che incombono sullo Stato Membro (CGUE, sentenza 9 dicembre 2003, causa C-129/00, Commissione delle Comunità europee contro Italia). Pertanto, laddove l’Amministrazione finanziaria dovesse disconoscere la possibilità di derogare all’applicazione dei limiti di cui all’art. 84 del TUIR nella determinazione del reddito dell’ultimo periodo di imposta soltanto nei confronti delle SO in Italia di soggetti non residenti (e non delle società italiane in liquidazione), sarebbe comunque possibile sostenere che, per le ragioni sopra esposte, l’ordinamento italiano sia inadempiente rispetto all’obbligo di garantire la libertà di stabilimento del soggetto residente in uno Stato Membro dell’Unione Europea (ovvero in uno Stato appartenente allo Spazio Economico Europeo).
[20] Ai sensi dell’art. 166, comma 6, del TUIR. Per inciso, in merito alle operazioni di cui all’art. 166, comma 1, lett. e), si rileva che, nonostante la disciplina sull’utilizzo delle perdite faccia riferimento soltanto alle operazioni di cui all’art. 178, comma 1, lett. da a) a b-bis), del TUIR (i.e., fusioni, scissioni totali e scissioni parziali UE), non vi sembrano essere preclusioni di principio – si veda infra – a che la deroga all’applicazione dei limiti di cui all’art. 84 del TUIR sia osservata – a parità di condizioni – anche con riguardo alle altre operazioni straordinarie cross-border (e.g., fusioni “extra-UE”).
[21] Ai sensi dell’art. 166, comma 3, lett. c) ed e), del TUIR. Si osserva altresì che in tali casi il calcolo unitario della plusvalenza sembra riguardare i beni che non confluiscono in una SO a seguito di trasferimento di residenza all’estero o di operazione straordinaria, prescindendo dall’eventuale esistenza di una SO del soggetto trasferente a seguito di tali eventi (i.e., la rilevanza delle passività non pare subordinata alla completa cessazione dell’attività di impresa in Italia).
[22] CGUE, 6 settembre 2012, causa C-18/11, par. 15-16 – Philips Electronics UK Ltd.
[23] In tema di determinazione del reddito di una SO, il paragrafo 34. del Commentario all’art. 24 del Modello OCSE specifica che una prassi amministrativa di determinazione del reddito delle SO non può violare il principio di non discriminazione delle SO di soggetti non residenti, nella misura in cui tale prassi amministrativa rispetti i principi elaborati in sede OCSE circa l’attribuzione del reddito alle SO (poiché già a monte tali principi vietano un trattamento fiscale delle SO di soggetti non residenti deteriore rispetto a quello delle imprese nazioni che svolgono attività analoghe). Da ciò sembra evincersi che una contestazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’utilizzo integrale delle perdite in sede di “chiusura” della SO violerebbe l’art. 24, comma 3, del trattato conforme al Modello OCSE, qualora la medesima deroga all’applicazione dei limiti di cui all’art. 84 del TUIR fosse, invece, riconosciuta in seno alla procedura di liquidazione di società italiane (pur in assenza di una disposizione legislativa espressa, si veda la precedente nota 19).
[24] Cfr. nota di lettura di Luglio 2011, n. 108 alla legge 15 luglio 2011, n. 111, p. 155; Assonime, Circ. del 22 dicembre 2011, n. 33, p. 17.
[25] Pur non sottacendo il fatto che l’art. 5 e il Considerando n. 10 dell’ATAD prendono espressamente in considerazione l’obbligo per gli Stati membri di assoggettare a tassazione le plusvalenze latenti sui beni relativi all’attività di impresa, ma non quello di considerare imponibili le plusvalenze maturate su eventuali passività, è altrettanto vero che l’ATAD mira a che l’imposta sia versata nel luogo in cui gli utili e il valore sono generati (Considerando 1 dell’ATAD), attraverso norme contro, inter alia, il trasferimento degli utili al di fuori del mercato interno, fra cui rientra, ovviamente, il regime di imposizione in uscita (Considerando 5 dell’ATAD).
[26] Al contrario, il soggetto non residente in uno Stato Membro e che, al contempo, non possa far valere il principio convenzionale di non discriminazione potrebbe non essere in grado di ottenere il riconoscimento delle passività nel calcolo della plusvalenza. Sul punto, è appena il caso di ricordare che il TFUE non impone agli Stati membri di garantire la libertà di stabilimento dei soggetti residenti in Paesi terzi. Ulteriori approfondimenti meriterebbe la verifica circa la possibilità, per il soggetto “extra-UE”, di ottenere il riconoscimento delle passività nel calcolo della plusvalenza invocando la violazione della libertà di movimento dei capitali (libertà che, ai sensi dell’art. 63, comma 1, TFUE, deve essere riconosciuta anche a favore del soggetto residente in un Paese terzo). Per quanto attiene al caso specifico in esame, inoltre, l’analisi dovrebbe anche tener conto della giurisprudenza della CGUE espressa in merito a casi coinvolgenti le SO in Paesi terzi di soggetti residenti in uno Stato Membro (situazione speculare a quella in esame). In particolare, una normativa nazionale che discrimini le imprese “extra-UE” che investano in uno Stato Membro attraverso SO potrebbe non essere censurabile alla luce della violazione della libertà di movimento dei capitali, dato che tale normativa “pregiudica in maniera preponderante” ovvero “incide in modo decisivo sull’esercizio della libertà di stabilimento” (rispettivamente: CGUE, 6 novembre 2007, causa C-415/06, Stahlwerk Ergste Westig; CGUE, 20 maggio 2007, C-102/05, A e B), la cui violazione, come detto, non può essere invocata nella situazione in oggetto. Per una più esaustiva disamina del rapporto fra la libertà di movimento di capitali e la libertà di stabilimento, pare doveroso rimandare ad P. Arginelli, In tema di applicabilità della libera circolazione dei capitali a dividendi provenienti da Stati terzi e relativi a partecipazioni di controllo o di collegamento, in Rivista di diritto tributario, 2013, n. 5, parte IV, p. 114; P. Arginelli, La tassazione dei dividendi di fonte estera: i problemi di compatibilità con le libertà fondamentali e la normativa secondaria, in Rivista di diritto tributario, 2007, n. 9, parte IV, p. 237.
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