La Corte Suprema di Cassazione, VI sezione civile, con ordinanza n. 20435 del 25 agosto 2017, ha confermato l’orientamento già espresso in passato (cfr. Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 4775 dell’11 marzo 2016) in merito all’inapplicabilità all’Irap della disciplina del raddoppio dei termini di decadenza per la notifica degli accertamenti vigente ratione temporis, ovvero fino al periodo di imposta 2015, in quanto in riferimento all’imposta sulle attività produttive non sono previste sanzioni penali.
Come noto, prima della modifica introdotta con la L. 208/2015, il 3 comma dell’art. 43 del D.p.r. n. 600/1973, disciplinava i casi di raddoppio dei termini dell’accertamento, prevedendo espressamente che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione”.
L’inapplicabilità di tale termine “lungo” all’Irap discende dal mancato inserimento delle violazioni relative all’imposta regionale tra le ipotesi delittuose previste dal D.lgs. n. 74/2000, testo che ricomprende in modo espresso solamente i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto: la disciplina penale tributaria risulta pertanto non applicabile all’Irap in quanto le violazioni riferibili a tale imposta non sono idonee a porre in essere fatti penalmente rilevanti ed una diversa interpretazione si pone in contrasto con il divieto di analogia, ai sensi di quanto espressamente previsto dal comma 2, art. 25 Cost.
Al riguardo la Corte di Cassazione, Sez. III, con sentenza n. 12810 del 30 marzo 2016, ha rideterminato il quantum del profitto confiscabile escludendo da detto calcolo proprio l’importo evaso relativo all’Irap, poichè “ai fini della quantificazione del profitto del reato è irrilevante l’evasione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), che non è un’imposta sui redditi in senso tecnico (cfr Cass., Sez. III, n. 11147 del 22 marzo 2012)”. “L’ipotizzato reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 tutela il bene giuridico patrimoniale della percezione del tributo ed è alla mancata percezione d’imposta (sui redditi e dell’IVA), derivante dall’omessa presentazione di “una delle dichiarazioni relative a dette imposte” che deve farsi riferimento per l’individuazione del “profitto” del reato, quando sia stata superata la soglia di punibilità prevista dalla fattispecie incriminatrice”.
Tra l’altro è la stessa amministrazione finanziaria nella circolare n. 154/E del 4 agosto 2000, a precisare che sono escluse dalla fattispecie criminosa le dichiarazioni ai fini Irap (oltre che le dichiarazioni periodiche Iva e le dichiarazioni di successione) e che nel caso in cui la dichiarazione sia presentata in forma unificata, acquistano rilievo (penale) solamente le violazioni in materia di imposte dirette ed Iva.
In altri termini, in presenza di una condotta che comporti il superamento delle soglie di punibilità dei delitti previste dal D.lgs n. 74/2000 sia ai fini delle imposte dirette ed Iva, sia ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, l’applicabilità del termine “lungo” si verifica esclusivamente per le prime imposte, in quanto le eventuali violazioni in ambito Irap non hanno, appunto, rilevanza penale.
In tal senso si sono espresse anche diverse commissioni regionali e provinciali, come ad esempio la Comm. Trib. Reg. di Cagliari sentenza n. 365 del 13/12/2016, Comm. Trib. Prov. di Lecce, sentenza n. 3736 dell’ 11 novembre 2015, Comm. Trib. Reg. di Milano, sentenza n. 255 del 21 gennaio 2014, Comm. Trib. Prov. di Milano, sentenza n. 6464 del 2 luglio 2014. Di diverso avviso è la Comm. Trib. Reg. Lazio che, con sentenza n. 1224 del 22 febbraio 2014, ha respinto l’eccezione sollevata dal contribuente relativamente alla decadenza dell’azione fiscale per decorso dei termini di notifica dell’accertamento e alla non applicabilità all’Irap del c.d. ” raddoppio dei termini ” e ha ritenuto applicabile anche a tale imposta la disciplina di cui al 3 comma dell’art 43 D.p.r. n. 600/1973.
La Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha colto l’occasione per ribadire ancora una volta l’ambito di applicazione dello jussuperveniens di cui all’art. 1 comma 130, 131, 132 della L. 208/2015, ritenendo che “la disciplina transitoria, per conseguenza, è articolata su due piani: a.– qualora gli avvisi di accertamento, sia pure relativi a periodi di imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, non siano stati ancora notificati, si applica la disciplina dettata dal comma 132 dell’art.1, legge 208/15; b.- qualora,invece, gli avvisi di accertamento relativi a periodi di imposta precedenti a quello in corso alla data dl 31 dicembre 2016 siano stati già notificati, si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs 128/15″.
Di conseguenza e considerato che solamente l’ultimo regime transitorio introdotto dalla L. 208/2015 subordina la legittimità del termine “lungo” alla presentazione o trasmissione della denuncia nei termini ordinari, per il passato – ovvero nel caso in cui sia stato notificato un atto impositivo entro il 2 settembre – il raddoppio del termine opera anche quando la denuncia sia stata trasmessa oltre detti termini.
Le Suprema Corte precisa dunque che le due norme (D.lgs 128 e legge stabilità 2016) non sono in conflitto, in quanto la nuova disciplina, contenuta nella legge di stabilità, ha regolato tutte le ipotesi non incluse nel precedente regime transitorio.
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