I ruling previsti dall’ordinamento tributario italiano in ottica di aiuti di Stato

IP-15-5880_IT:_Lussemburgo_FIAT

IP-16-42_IT: Belgio_Disciplina fiscale_sugli utili in eccesso

È noto che la Commissione Europea (di seguito “Commissione”) abbia avviato diverse procedure di indagine volte a stabilire la compatibilità con la disciplina in materia di aiuti di Stato dei ruling preventivi in materia di prezzi di trasferimento (cd. “APA”). Alcune di queste procedure si sono concluse con l’adozione di una decisione con cui la Commissione ha ordinato agli Stati membri coinvolti il recupero del presunto aiuto di Stato. Il testo finale di tali decisioni non è stato ancora pubblicato (cfr. i comunicati stampa del 21 ottobre 2015 La Commissione decide: i vantaggi fiscali selettivi concessi a Fiat in Lussemburgo e a Starbucks nei Paesi Bassi sono illegali ai sensi delle norme UE sugli aiuti di Stato e dell’11 gennaio 2016 Aiuti di Stato: la Commissione ritiene illegale il regime fiscale belga sugli utili in eccesso. Dovranno essere recuperati circa 700 milioni di euro da 35 multinazionali).

Ciò premesso, si intendono svolgere di seguito alcune considerazioni in merito alle procedure di ruling previste dall’ordinamento italiano alla luce della disciplina in materia di aiuti di Stato.

Come noto, l’aspetto maggiormente controverso degli aiuti di Stato – in particolar modo di quelli fiscali – è costituito dalla verifica del carattere selettivo della misura oggetto di esame. In proposito, secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (d’ora in avanti “Corte di Giustizia” o anche “Corte”), la qualificazione di una misura fiscale nazionale come «selettiva» presuppone, in un primo momento, l’identificazione e l’esame preliminari del regime fiscale ordinario applicabile nello Stato membro interessato. Successivamente, a fronte di tale regime tributario ordinario o «normale», si deve valutare e accertare l’eventuale selettività del vantaggio concesso dalla misura fiscale considerata, dimostrando che quest’ultima deroga a tale regime ordinario, in quanto introduce differenziazioni tra operatori che si trovano, sotto il profilo dell’obiettivo perseguito da detto regime, in una situazione fattuale e giuridica analoga (cfr., in tal senso, sentenze dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a., da C‑78/08 a C‑80/08, Racc., EU:C:2011:550, punti 50 e 54, nonché del 15 novembre 2011, Commissione e Spagna/Government of Gibraltar e Regno Unito, C‑106/09 P e C‑107/09 P, Racc., EU:C:2011:732, punto 75). Al termine di queste prime due fasi dell’esame una misura può essere qualificata come selettiva prima facie.

Per i tax ruling, tuttavia, la verifica della selettività sembra richiedere qualche ulteriore considerazione rispetto a quanto sopra evidenziato. Ciò in quanto nella sentenza MOL Magyar Olaj- és Gázipari Nyrt./Commissione europea del 4 giugno 2015 (Causa C-15/14) la Corte ha affermato che (punto 60) “il requisito della selettività è diverso a seconda che la misura di cui trattasi sia considerata un regime generale di aiuti oppure un aiuto individuale”, quale appunto l’aiuto di stato conseguente alla stipula di un accordo preventivo. “In quest’ultimo caso, l’individuazione del vantaggio economico consente, in linea di principio, di presumere la sua selettività. Per contro, nell’esaminare un regime generale di aiuto, è necessario stabilire se la misura in questione, nonostante la constatazione che essa conferisce un vantaggio di portata generale, lo faccia a beneficio esclusivo di talune imprese o di taluni settori di attività”.

La stessa Corte di Giustizia ha però escluso il carattere selettivo di una misura che, pur recando un vantaggio al suo beneficiario, sia giustificata dalla natura o dalla struttura generale del sistema nel quale si inserisce (sentenza dell’8 novembre 2001, Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke, C-143/99, Racc. pag. I-8365, punto 42). Secondo la Corte di Giustizia, affinché una tale misura – ancorché selettiva – possa considerarsi giustificata, è necessario che lo Stato membro interessato sia in grado di dimostrare che essa discenda direttamente dai principi informatori o basilari del sistema fiscale (ad esempio, è stata ritenuta tale la lotta all’abuso o l’imposizione fiscale in funzione della capacità contributiva) e non da principi esterni allo stesso sistema (ad esempio, è stato considerato esterno al sistema fiscale il risanamento economico delle imprese in crisi, cfr. sentenza del 4 febbraio 2016, Heitkamp BauHolding GmbH, T-287/11, non ancora nella raccolta, punto 165 e punto 166).

In questo contesto la Corte di Giustizia con la sentenza del 18 luglio 2013 pronunciata nella causa P OY (C-6/12) ha inoltre osservato come l’ottenimento di un’autorizzazione preventiva dell’amministrazione finanziaria per l’applicazione di un determinato regime fiscale di “favore” non è una circostanza che di per sé esclude l’esistenza di una giustificazione. La Corte ha tuttavia subordinato tale conclusione a due condizioni, ossia (i) il potere discrezionale dell’autorità competente (esercitato in via preventiva) deve essere limitato alla verifica delle condizioni e delle finalità della misura e (ii) i criteri applicati dall’amministrazione fiscale devono essere insiti nella natura del regime fiscale. Pertanto secondo i giudici comunitari, nel caso esaminato dalla sentenza succitata “l’applicazione di un sistema di autorizzazione che consenta di riportare le perdite agli esercizi fiscali successivi […] non può in linea di principio considerarsi selettiva se le autorità competenti, nel decidere sull’esito da riservare alla domanda di autorizzazione, dispongono soltanto di un potere discrezionale delimitato da criteri oggettivi che non sono estranei al sistema fiscale predisposto dalla normativa di cui trattasi, quali l’obiettivo di evitare il commercio delle perdite”.

Ciò premesso, la prassi decisionale della Commissione si è già occupata di accordi preventivi operando un distinguo tra gli accordi che hanno ad oggetto la mera interpretazione delle disposizioni fiscali e gli accordi che riguardano la materia dei prezzi di trasferimento. Si veda al riguardo la Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato alle misure di tassazione diretta delle imprese (98/C384/03) § 22 secondo cui “Le «administrative rulings», in quanto procedure destinate a fornire una semplice interpretazione delle regole generali, non danno luogo, di massima, ad una presunzione di aiuto. Tuttavia, la scarsa trasparenza delle decisioni adottate dalle amministrazioni e il margine di manovra di cui talvolta dispongono possono motivare la presunzione che tali pratiche abbiano questo tipo di effetto per lo meno in alcuni casi. Ciò non limita comunque le possibilità per gli Stati membri di fornire ai propri contribuenti certezza e prevedibilità del diritto in ordine all’applicazione delle norme fiscali generali”. Per tali accordi, il carattere di aiuto di Stato sarebbe escluso nella misura in cui l’accordo non si discosti dai precedenti giurisprudenziali o di prassi. Considerazioni differenti valgono per gli APA in materia di prezzi di trasferimento. Per questi ultimi la Commissione ha da sempre ribadito la piena legittimità valorizzandone la finalità, ossia assicurare la certezza del diritto in un settore, quale appunto quello dei prezzi di trasferimento, connotato dalla forte componente valutativa.

Tuttavia – secondo la Commissione – gli accordi in materia di prezzi di trasferimento potrebbero dar luogo ad un aiuto di Stato qualora configurassero l’esercizio di un potere discrezionale ravvisabile nella rinuncia dello Stato membro ad assoggettare a tassazione utili prodotti sul proprio territorio dal soggetto beneficiario del ruling. Tale requisito sussisterebbe qualora la metodologia prescelta (i) non rifletta i principi e le metodologie indicate dalle Linee Guida OCSE e (ii) addivenga ad una misura della base imponibile inferiore rispetto a quella che un soggetto indipendente sarebbe in grado di conseguire sul libero mercato. La Commissione ha così individuato un aiuto di Stato nei casi in cui l’APA consenta l’utilizzo di margini prestabiliti per il metodo del prezzo di costo maggiorato o del prezzo di rivendita. In simili circostanze, rinunciando ad assoggettare a tassazione gli utili che sarebbero altrimenti emersi da una corretta applicazione dei principi e dei criteri previsti dalle linee guida OCSE, uno Stato membro accorderebbe all’impresa beneficiaria – su base discrezionale – un regime di tassazione più favorevole rispetto al regime applicabile alle imprese indipendenti che non sono parte di un gruppo multinazionale e che determinano la base imponibile secondo le regole generali di tassazione societaria.

Si rammenta che ove si seguisse l’approccio individuato nella sentenza MOL sopra richiamata, il carattere selettivo dell’aiuto sarebbe “presunto” laddove fosse ravvisabile un vantaggio economico in capo al beneficiario dell’accordo preventivo. Ci si potrebbe quindi chiedere se l’esistenza di un vantaggio, ancorché di lieve entità, possa ritenersi sufficiente per ravvisare il requisito della selettività. A parere di chi scrive la risposta è negativa, come del resto chiarito dalla stessa Commissione nella decisione 2011/276/EU Umicore, al paragrafo 155, secondo cui l’esistenza di vantaggio economico è subordinata al soddisfacimento di una duplice condizione ossia (i) la manifesta sproporzione dell’aiuto e (ii) la dimostrazione che lo stesso trattamento favorevole sia negato agli altri contribuenti che si trovano in una situazione comparabile.

Ciò premesso, si prende spunto dalle considerazioni precedenti per svolgere alcune considerazioni sulle procedure di ruling previste dall’ordinamento italiano e riguardanti (i) l’interpretazione di una disposizione tributaria (cd. “interpello interpretativo”), (ii) la definizione preventiva del valore normale ai sensi dell’art. 110, comma 7 del TUIR, (iii) la disapplicazione di una norma antielusiva (cd. “interpello antielusivo”) e (iv) la qualificazione di una determinata fattispecie o la valutazione di un determinato profilo fattuale (cd. “interpello qualificatorio”).

Per gli interpelli a carattere “interpretativo” è essenziale che l’amministrazione finanziaria non si discosti dalla giurisprudenza e dalla precedente prassi amministrativa (ove sussistente). Queste considerazioni valgono, ad esempio, per il ruling di standard internazionale riguardante l’applicazione ad un caso concreto di una disposizione convenzionale (es. in materia di interessi) previsto dall’art. 31-ter del d.p.r. 600/1973 e per l’interpello ordinario “interpretativo” di cui all’art. 11, comma 1, let. a) dello Statuto del Contribuente.

Per i ruling aventi ad oggetto la definizione preventiva del valore normale, al fine di limitare una possibile censura comunitaria, è necessario che l’amministrazione finanziaria italiana si attenga esclusivamente alle metodologie previste dall’OCSE e limiti il più possibile l’utilizzo di tecniche valutative in conformità a quanto previsto dal paragrafo D.2.6.3 del nuovo capitolo 6 delle linee guida OCSE. Queste considerazioni valgono sia per il ruling internazionale previsto dall’art. 31-ter del d.p.r. 600/1973 (Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale), sia per il ruling previsto nell’ambito del regime di patent box.

Un discorso a parte meritano gli interpelli riguardanti la disapplicazione di norme antielusive. Il riferimento è (1) all’interpello di cui all’Art. 11, comma 1, let. b) riguardante la sussistenza delle condizioni e la valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali (es. interpello per la disapplicazione del regime CFC; interpello ACE), (2) all’interpello di cui all’art. 11, comma 1, let. c) relativo alla disciplina sull’abuso del diritto ad una specifica fattispecie e (3) all’interpello di cui all’art. 11, comma 2, relativo alla disapplicazione di specifiche norme tributarie, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie gli effetti elusivi non possono verificarsi (quali, ad esempio, quelle relative alle limitazioni al riporto delle perdite su base “stand alone”). Ad avviso di chi scrive, i criteri per “testare” la compatibilità di tali ruling con la normativa in materia di aiuti di Stato sono stati fissati dalla Corte nella sopra citata sentenza P OY, che si è pronunciata con riferimento al sistema finlandese di riporto delle perdite nei casi di mutamento della proprietà. In tale pronuncia, la Corte ha preso in considerazione la finalità del sistema finlandese di riporto delle perdite, ossia “evitare che le perdite delle imprese diventino oggetto di commercio o di abuso”. La Corte ha quindi chiarito che non viola la normativa comunitaria un sistema di accordi preventivi nel quale il potere discrezionale dell’autorità competente sia “limitato alla verifica delle condizioni stabilite per perseguire finalità fiscali identificabili e i criteri che tale autorità è chiamata ad applicare siano insiti nella natura del regime fiscale” e sia “delimitato da criteri oggettivi che non sono estranei al sistema fiscale predisposto dalla normativa di cui trattasi, quali l’obiettivo di evitare il commercio delle perdite”. Orbene, per gli interpelli antielusivi va da sé che la finalità sia quella di verificare il carattere elusivo di una determinata fattispecie. Risulta perciò dirimente – affinché non sussista un esercizio illegittimo di discrezionalità – che il potere dell’amministrazione finanziaria sia delimitato da criteri oggettivi. In talune fattispecie l’individuazione di tali criteri oggettivi risulta più agevole (si pensi all’interpello ACE per il quale il criterio dirimente è la dimostrazione che non sussista il cd. “effetto di moltiplicazione” del beneficio). In altre fattispecie, tuttavia, la valutazione dell’elusività di un’operazione è invece rimessa ad una disamina dei profili fattuali ed è perciò connotata da un maggiore grado di “soggettività” (si pensi, ad esempio, alla valutazione delle qualifiche tecniche del personale effettuata per definire il profilo funzionale di una CFC).

Queste problematiche sono in parte riferibili anche all’ultima tipologia di ruling, riguardante la qualificazione di una determinata fattispecie o la valutazione di un determinato profilo fattuale. Mi riferisco, ad esempio, al ruling di standard internazionale riguardante la valutazione preventiva della sussistenza di una stabile organizzazione, al nuovo interpello ordinario qualificatorio introdotto dal decreto “interpelli e contenzioso tributario” (D.Lgs. n. 156/2015) in seno all’art. 11, comma 1, let. a) dello Statuto del Contribuente ed, infine, (quanto meno per alcuni aspetti) al ruling per i nuovi investimenti previsto dall’art. 1 del decreto internazionalizzazione.

Per tali ruling il rischio che possa palesarsi l’esercizio di un potere discrezionale è per molti aspetti analogo a quello dei ruling antielusivi. I ruling qualificatori richiedono infatti un accertamento di circostanze fattuali che non può prescindere da una valutazione tipicamente soggettiva, in quanto tale difficilmente delimitabile dal riferimento a criteri oggettivi. Si pensi, ad esempio, alla valutazione dei profili fattuali richiesta nel ruling di standard internazionale riguardante la valutazione preventiva della sussistenza di una stabile organizzazione. Per la verità, quest’ultimo ruling solleverebbe probabilmente anche un’ulteriore criticità, riguardante la conformità della risposta all’interpello a quanto suggerito nel Commentario OCSE contro le doppie imposizioni. Nel caso in cui la risposta all’interpello confermasse l’assenza di una stabile organizzazione ne conseguirebbe la rinuncia all’imposizione in Italia degli utili realizzati dal non residente. Se la posizione dell’amministrazione finanziaria espressa nella risposta all’interpello non fosse conforme al Commentario OCSE, lo sviamento dai principi OCSE configurerebbe un’ulteriore ipotesi di aiuto di Stato?

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