Il D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (nel seguito il “Decreto sanzioni”) ha recentemente riformato il sistema sanzionatorio tributario nazionale. La riforma si ispira ai “principi di effettività, proporzionalità e certezza della risposta sanzionatoria dell’ordinamento di fronte a condotte illecite, rilevanti tanto in sede amministrativa quanto in sede penale” (cfr. Relazione illustrativa al Decreto sanzioni) ed è stata recentemente emendata con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016”), che ne ha anticipato l’entrata in vigore, inizialmente prevista per il 1° gennaio 2017, al 1° gennaio 2016.
Per quanto attiene alle condotte sanzionabili in ambito IVA, è manifesta l’importanza delle modifiche introdotte per le violazioni connesse agli obblighi derivanti dall’applicazione dell’inversione contabile (o “reverse charge”). Nel sistema previgente, infatti, uno degli aspetti di maggiore incertezza riguardava la sanzionabilità dell’irregolare assolvimento dell’IVA per operazioni soggette al tributo in Italia, in quanto il previgente testo del D.lgs. n. 471/1997 non prevedeva alcuna sanzione specifica per l’errata applicazione del reverse charge in luogo dell’ordinario sistema della rivalsa e detrazione, di guisa che l’entità della sanzione sovente dipendeva dallo specifico approccio seguito dal ufficio accertatore (che nella maggior parte dei casi propendeva per una sanzione dal 100 al 200 per cento dell’IVA).
In merito all’ipotesi di irregolare assolvimento dell’IVA mediante inversione contabile (ex art. 17, comma 2 del Decreto IVA), si deve osservare che il Decreto sanzioni ha disposto l’introduzione del comma 9-bis2 dell’art. 6, D.lgs. n. 471/1997, il quale disciplina per l’appunto il regime sanzionatorio applicabile alle fattispecie di illegittima applicazione del regime del reverse charge ad operazioni soggette all’ordinario meccanismo di rivalsa e detrazione. La Relazione di accompagnamento al citato Decreto sanzioni precisa che il comma 9-bis2 si applica in tutte “le ipotesi in cui l’imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile […] per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione”.
Il comma citato stabilisce un regime per il quale, in caso di irregolare assolvimento dell’IVA, è applicata una sanzione, non proporzionata all’imposta, compresa tra € 250 e € 10.000, della quale rispondono solidalmente cessionario e committente, a condizione che l’errore non sia il frutto di un intento di evasione o fraudolento, nel qual caso tornerebbero applicabili le sanzioni più gravi previste dall’art. 6, comma 1, dello stesso D.lgs. n. 471/1997. Nelle situazioni non patologiche, dove l’acquirente gode del diritto alla detrazione integrale dell’IVA assolta sugli acquisti, la disposizione garantisce il pieno riconoscimento del diritto alla detrazione dell’imposta irregolarmente assolta dal cessionario/committente, senza che sia richiesta la regolarizzazione dell’operazione (“il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta”) in quanto non si è prodotto alcun danno per l’Erario in ragione dell’errata modalità di applicazione del tributo. Coerentemente, al cedente/prestatore non spetta alcun rimborso dell’IVA erroneamente versata.
Le norme risultano evidentemente ispirate ai principi sanciti in più occasioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) in relazione alla non punibilità (in misura tale da privare di fatto il contribuente del diritto alla detrazione) delle violazioni relative all’errato adempimento di obblighi documentali in assenza di danno per l’Erario (cfr., inter alia, cause riunite C-95/07 e 96/07, Ecotrade; causa C-590/13, Iddexx Laboratories, causa C-272/13, Equoland). Proprio in relazione alla giurisprudenza della CGUE, è doveroso evidenziare come nella causa C-111/14, GST, la Corte abbia affermato che, in caso di assolvimento mediante reverse charge dell’IVA dovuta su un’operazione effettuata da un soggetto stabilito in uno Stato Membro nei confronti di un altro soggetto stabilito nello stesso Stato (ed in assenza, dunque, dei requisiti prescritti per l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile), le disposizioni nazionali debbano in ogni caso salvaguardare il principio della neutralità dell’imposta. Ad avviso della Corte di Giustizia, infatti, sebbene una disposizione nazionale che neghi il diritto alla detrazione dell’imposta erroneamente assolta in reverse charge non sia di per sé incompatibile con il diritto dell’Unione europea, l’ordinamento nazionale deve garantire la neutralità dell’IVA attraverso il riconoscimento di un diritto al rimborso dell’imposta. Il caso all’esame della Corte riguardava l’errato assolvimento dell’IVA in reverse charge da parte di una società residente in Bulgaria in relazione all’acquisto di servizi effettuati dalla stabile organizzazione bulgara di una società tedesca il cui intervento nella prestazione era stato accertato, in un momento successivo all’effettuazione, dall’amministrazione finanziaria.
La sentenza testé menzionata sollecita una riflessione in merito all’interpretazione comunitariamente orientata dell’art. 6, comma 9-bis2 e, in particolare, dell’espressione “in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile”, la quale reca il requisito cui è subordinata l’applicazione della disposizione in parola. Si ritiene, in merito, che la norma recata dal comma 9-bis2 debba trovare applicazione anche nei casi in cui un soggetto residente abbia erroneamente applicato il tributo, ai sensi dell’art. 17, comma 2 del Decreto IVA, in relazione all’acquisto di beni e servizi da un soggetto asseritamente non residente e del quale, in un secondo momento, venga individuato l’effettivo stabilimento (residenza o stabile organizzazione) in Italia. In primo luogo, sotto il profilo testuale, si rileva come la predetta espressione sia sufficientemente lata da autorizzare l’interprete a sussumervi la fattispecie in cui il requisito fondamentale dello stabilimento estero del prestatore del servizio sia assente. In secondo luogo, sotto un profilo contestuale e sistematico, deve essere valorizzata la giustapposizione dei commi 9-bis1 e 9-bis2, i quali recano i due regimi che, mutuamente esclusivi, regolano le sanzioni amministrative applicabili in tutti i casi di illegittimo assolvimento dell’imposta mediante l’errata applicazione, ovvero l’errata non applicazione, del reverse charge: tertium non datur. Infine, sotto il profilo teleologico, la relazione illustrativa al Decreto sanzioni chiarisce l’intenzione del legislatore delegato di sistematizzare e coerenziare, attraverso l’introduzione dei commi da 9-bis a 9-bis3., “la disciplina sanzionatoria del reverse charge, introducendo una disciplina articolata e improntata a criteri di proporzionalità tra la misura della sanzione e la gravità della violazione”. In questa prospettiva non appare rilevante quale sia, nella fattispecie concreta, il requisito per l’applicazione dell’inversione contabile che risulti assente. Il legislatore valorizza esclusivamente (i) il fatto che l’imposta sia stata effettivamente assolta, sebbene mediante l’erronea applicazione di un meccanismo (reverse charge) in vece di quello previsto dall’ordinamento, e (ii) l’inesistenza di un intento fraudolento o evasivo, di cui il cedente o prestatore sia a conoscenza.
Tale interpretazione, peraltro, non appare confliggente con i principi elaborati dalla CGUE nella sentenza GST. Da un lato, detti principi non appaiono trasponibili sic et simpliciter nel nostro ordinamento, in ragione del fatto che l’art. 6, comma 9-bis2 salvaguarda espressamente il diritto alla detrazione dell’IVA. Dall’altro, la sentenza GST non statuisce un obbligo per gli Stati membri di negare la detrazione dell’IVA assolta mediante inversione contabile nel caso in cui l’errata applicazione del reverse charge sia conseguente al mancato accertamento dell’effettivo stabilimento del prestatore dei servizi nello Stato del committente, ma si limita ad affermare che – in linea di principio – non è contrario all’ordinamento dell’UE il diniego della detrazione qualora sia comunque garantita l’effettività del principio della neutralità dell’imposta (cfr. anche causa C-460/07, Puffer; causa C-153/11, Klub). Si deve infatti rammentare che, secondo il consolidato orientamento della CGUE, “il diritto spettante ai soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori […] in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni” (cfr. inter alia causa C-590/13, Iddexx Laboratories, punti 31-34), ad esclusione dei casi in cui il diritto medesimo sia invocato fraudolentemente. La norma italiana, a seguito delle modifiche recate dalla riforma in commento, appare rispettosa di tale principio, salvaguardano esplicitamente il diritto alla detrazione dell’IVA irregolarmente assolta (in buona fede) seppur in assenza dei presupposti per l’applicazione del reverse charge.
Da ultimo si rileva come, il sistema novellato appare rispettoso dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, principi che gli Stati membri devono comunque osservare in relazione delle materie non armonizzate, come appunto quello delle sanzioni tributarie. In tal senso, nei casi in cui la violazione non abbia generato un minor versamento di imposta (ad esempio nei casi in cui il soggetto che ha erroneamente applicato il reverse charge abbia un pieno diritto di detrazione dell’imposta) la sanzione applicabile dal 1 gennaio 2016, compresa tra € 250 e € 10.000, non dovrebbe risultare incompatibile con il diritto dell’Unione (cfr. causa C-188/09, Profaktor Kulesza). In tale contesto, si potrebbe forse muovere una critica all’impianto normativo solo in relazione ai cosiddetti “micro-acquisti” (ad esempio, gli acquisti con imponibile inferiore agli € 5) per i quali la sanzione minima (€ 250) potrebbe palesarsi comunque sproporzionata. Non ci si può che augurare che in, siffatte situazioni, gli organi dell’accertamento applichino unilateralmente le misure discrezionali di abbattimento delle sanzioni dovute in evidenti casi di sproporzione tra sanzione e comportamento erroneo o omissivo.
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