Come noto, con la recente Risoluzione del 9 agosto 2018, n. 63/E (“Risoluzione”), l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito al dibattuto trattamento fiscale dall’emissione di azioni o quote da parte del soggetto conferitario italiano a fronte del conferimento del ramo di azienda condotto in Italia dal soggetto conferente UE, costituente uno dei due rami di azienda della stabile organizzazione italiana di quest’ultimo.
L’operazione oggetto della Risoluzione rientra pacificamente tra quelle richiamate dalla lett. c), del comma 1, dell’art. 178 e disciplinate dall’art. 179, comma 2, primo periodo, del D.P.R. 27 dicembre 1986, n. 917 (“Tuir”). Tale disposizione disciplina unicamente le ipotesi di conferimento di azienda intra-unionale in cui, alternativamente, il soggetto conferente o il soggetto conferitario siano fiscalmente residenti in Italia. La circostanza per la quale l’azienda oggetto di un tale conferimento possa coincidere con una stabile organizzazione del soggetto conferente localizzata all’interno dello Stato Membro di residenza fiscale del soggetto conferitario è stata definitivamente confermata dal legislatore dell’Unione attraverso la modifica apportata all’art. 10 della Direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/434/CEE (“Direttiva 1990”) ad opera della Direttiva del Consiglio 17 febbraio 2005, n. 2005/19/CE (“Direttiva 2005”). In particolare, il testo così emendato dell’art. 10, paragrafo 1, ultimo periodo, della Direttiva 1990 così recita: “Le presenti disposizioni [n.d.a.: di rinuncia alla potestà impositiva] si applicano anche qualora la stabile organizzazione si trovi nello Stato membro in cui è residente la società beneficiaria”. Si riportano di seguito per completezza le motivazioni a sostegno della predetta modifica incluse nel considerando n. 14 della Direttiva 2005: “Sussiste qualche dubbio circa l’applicazione della direttiva 90/434/CEE alla trasformazione di filiali in consociate. In queste circostanze, l’attivo collegato a una stabile organizzazione e che costituisce un «ramo di attività», ai sensi dell’articolo 2, lettera i), della direttiva 90/434/CEE, viene trasferito a una società appena costituita, che diventa una consociata della società conferente. Occorrerebbe quindi precisare che la direttiva copre il conferimento d’attivo da una società di uno Stato membro, sotto forma di una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, a una società di quest’ultimo”.
La conclusione a cui giunge la Risoluzione, considerata giuridicamente inaccettabile dagli scriventi, risulta poco chiara; ci si riferisce, inter alia, al paragrafo della Risoluzione in cui si afferma: “Qualora la partecipazione ottenuta a fronte del Conferimento venga assegnata alla stabile organizzazione “conferente” e poi trasferita alla sua casa madre ovvero venga assegnata direttamente (all’atto del Conferimento) alla casa madre ovvero manchi all’atto del Conferimento o venga successivamente a mancare la richiamata connessione funzionale, l’eventuale plusvalenza realizzata da detta stabile “conferente” sarà considerata esente (parzialmente) o, in alternativa, l’eventuale minusvalenza indeducibile, solo nel caso in cui la partecipazione in parola possieda i requisiti indicati dall’articolo 87 del Tuir”. Invero, nonostante la ribadita “fumosità” di tale periodo, sembra fuori dubbio che l’Agenzia abbia voluto riferirsi alle seguenti fattispecie suscettibili di generare plusvalenze imponibili, eventualmente parzialmente esenti, ovvero minusvalenze, eventualmente indeducibili:
stabile organizzazione costituita da due distinti rami di azienda, uno solo dei quali viene conferito – in tal caso la partecipazione ricevuta a seguito del conferimento:
in un primo momento verrebbe imputata nel “bilancio” della stabile organizzazione – che continuerebbe a qualificarsi come tale in quanto “contenente” il ramo di azienda non conferito; e
successivamente sarebbe (volontariamente) distolta dalla medesima, trasferendola all’head office estero (cfr. “Qualora la partecipazione ottenuta a fronte del Conferimento venga assegnata alla stabile organizzazione “conferente” e poi trasferita alla sua casa madre […]”);
stabile organizzazione costituita da un unico ramo o da più rami di azienda che vengono integralmente conferiti – in tale evenienza la partecipazione ricevuta verrebbe imputata per un istante al “bilancio” della stabile organizzazione, la quale tuttavia verrebbe meno subito dopo, in quanto in assenza di un’azienda non potrebbe continuare a qualificarsi come stabile organizzazione; ciò determinerebbe l’automatico (non voluto) trasferimento all’head office estero della partecipazione, che, pertanto, si considererebbe “direttamente” assegnata a quest’ultima (cfr. “[…] ovvero venga assegnata direttamente (all’atto del Conferimento) alla casa madre […]”);
stabile organizzazione costituita da due distinti rami di azienda, uno solo dei quali viene conferito – in tal caso la partecipazione ricevuta a seguito del conferimento:
in un primo momento verrebbe imputata nel “bilancio” della stabile organizzazione – che continuerebbe a qualificarsi come tale in quanto “contenente” il ramo di azienda non conferito; e
successivamente sarebbe (volontariamente o involontariamente) trasferita all’head office estero, in quanto, in seno alla stabile organizzazione, non risulterebbero allocati (ovvero, non più allocati) le funzioni ed i rischi necessari affinché tale partecipazione possa dirsi effettivamente connessa alla stabile organizzazione (cfr. “[…] ovvero manchi all’atto del Conferimento o venga successivamente a mancare la richiamata connessione funzionale […]”).
Le predette tre fattispecie sono accomunate dal fatto che, nella prospettiva dell’Agenzia delle Entrate, la partecipazione emessa in sede di conferimento si sposterebbe dalla stabile organizzazione italiana del conferente al suo head office estero. Tale spostamento, che darebbe origine ad (una eventuale parziale) imposizione sulla plusvalenza determinata sulla base di valori arm’s length, avrebbe quale presupposto il principio secondo il quale la integrale neutralità del conferimento di azienda intra-unionale sarebbe subordinata, inter alia, alla circostanza per la quale la partecipazione emessa a seguito del conferimento debba essere iscritta nel “bilancio” della stabile organizzazione italiana del conferente (in tale senso si esprime la Risoluzione: “La neutralità fiscale di un simile conferimento è, quindi, in radice condizionata al fatto che, per effetto di detta operazione, la partecipazione nella conferitaria confluisca nella medesima contabilità di cui all’articolo 14, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973 (della stabile organizzazione “conferente” […]”.). Tale presupposto deve ritenersi frutto di un ragionamento logico-giuridico non solo capzioso ma anche e, soprattutto, fondato su di una viziata interpretazione del combinato disposto degli artt. 176, comma 4, del Tuir (ai sensi del quale: “Le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui al presente articolo si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni di cui all’articolo 178, in regime di neutralità fiscale, si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio.”), richiamato dal primo periodo del comma 2 dell’art. 179 del Tuir, e 152, comma 1, del Tuir (ai sensi del quale: “Per le società e gli enti commerciali con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, il reddito della stabile organizzazione è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili, e secondo le disposizioni della Sezione I, del Capo II, del Titolo II, sulla base di un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigersi secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche.”).
Invero, come anche sostenuto da autorevole dottrina (cfr. M. Gusmeroli, L’attuazione in Italia delle modifiche del 2005 alla direttiva fusioni, in Boll. Trib., 2009, 765 ss.; R. Michelutti, Note critiche sulla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012 relativa al previgente regime fiscale in Italia dei conferimenti di attivo intracomunitari, in Riv. Dir. Trib., fasc.12, 2012, pag. 115), contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia – che, a nostro avviso, non valorizza adeguatamente la stratificazione normativa che ha condotto al testo attualmente vigente del citato Art. 179, comma 2, primo periodo, del Tuir operante il richiamo all’art. 176, comma 4, del Tuir, e di tale ultima norma – le disposizioni contenute nell’art. 176, comma 4, del Tuir, lungi da pretendere una materiale iscrizione della partecipazione nel bilancio della stabile, si limitano a disciplinarne il costo fiscalmente riconosciuto estendendo alla medesima quello dell’azienda conferita. Quanto poi alla capziosità del ragionamento seguito dall’Agenzia, basti pensare che la stessa, con Circolare n. 57/E del 25 settembre 2008 (“Circolare”), nel commentare a quali condizioni è subordinata la neutralità dei conferimenti di azienda domestici disciplinati dall’art. 176, del Tuir, aveva assunto una posizione diametralmente opposta affermando l’irrilevanza dell’iscrizione contabile del valore della partecipazione (in particolare ai sensi della Circolare: “Il regime di neutralità rende irrilevante ai fini fiscali l’eventuale iscrizione nelle scritture contabili del soggetto conferente […] di valori diversi da quelli fiscalmente riconosciuti.”).
Pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate, le fattispecie sopra menzionate comporterebbero l’imponibilità, eventualmente parziale (i.e. 1,20%/1,375%), della plusvalenza emergente dal trasferimento della partecipazione dalla stabile organizzazione italiana al conferente non residente (ovvero la deducibilità/indeducibilità della eventuale minusvalenza). A questo proposito, si rileva, tuttavia, che, contrariamente a quanto sostiene l’Agenzia, l’imponibilità della plusvalenza sarebbe fondata non già sull’art. 179, comma 6, del Tuir, letteralmente dedicato al patrimonio della stabile organizzazione della società estera beneficiaria dell’operazione, bensì sul combinato disposto di cui agli artt. 152, commi 1 e 3, 86, comma 1, lett. c), e comma 3 e 110, comma, 7, del Tuir.
Ciò premesso, si rileva come il sottostante (viziato) ragionamento logico-giuridico non possa dirsi applicabile alla diversa operazione individuata dall’art. 178, comma 1, lett. d) del Tuir (si rammenta che la Risoluzione riguarda un conferimento di azienda previsto dall’art. 178, comma 1, lett. c)). L’art. 178, comma 1, lett. d) del Tuir è dedicato alle operazioni straordinarie (i.e. fusioni, scissioni e conferimenti d’azienda) poste in essere tra persone giuridiche residenti in due distinti Stati Membri dell’Unione Europea (differenti dall’Italia) e comportanti il trasferimento di una stabile organizzazione italiana dall’una all’altra persona giuridica (dal dante all’avente causa). In particolare, per ciò che qui è di interesse, tale disposizione contempla anche il conferimento da parte di una società residente fiscalmente in uno Stato Membro dell’Unione nei confronti di una società fiscalmente residente in altro Stato Membro ed avente ad oggetto l’intera stabile organizzazione italiana del conferente. Diversamente rispetto ai conferimenti di azienda individuati dall’art. 178, comma 1, lett. c), del Tuir, la cui disciplina è regolata attraverso un apposito rimando da parte dell’art. 179, comma 2, primo periodo, del Tuir all’art. 176 del Tuir, i conferimenti intra-unionali di azienda in cui l’unico nesso con il territorio italiano è rappresentato dalla presenza in Italia dell’oggetto del conferimento (i.e. la stabile organizzazione italiana del conferente UE) sono disciplinati esclusivamente dagli artt. 172 e 173 del Tuir (riguardanti la disciplina di matrice domestica, rispettivamente, delle fusioni e delle scissioni), indifferentemente richiamati dall’art. 179, comma 1, del Tuir, a sua volta richiamato dal secondo periodo dell’art. 179, comma 2, del Tuir.
Tramite detto doppio richiamo normativo, l’art. 179, comma 2, secondo periodo, del Tuir ha la funzione di rinviare il trattamento fiscale di fusioni, scissioni e conferimenti di azienda tra persone giuridiche, entrambe residenti ai fini fiscali all’estero in due distinti Paesi dell’Unione Europea, qualora le medesime coinvolgano una stabile organizzazione italiana, ad un’unica disciplina, ossia alla disciplina prevista per le operazioni di fusione e scissione domestiche. Pertanto, i conferimenti di azienda di cui alla lett. d) dell’art. 178, comma 1, del Tuir sono disciplinati dagli artt. 172 e 173. Al fine di identificare la disciplina fiscale concretamente applicabile, tenuto conto delle differenze esistenti tra fusioni/scissioni e conferimenti di azienda, occorre procedere ad un richiamo selettivo delle disposizioni di cui agli articoli 172 e 173 al fine di disciplinare il trattamento fiscale dei conferimenti di azienda con le sole norme delle fusioni/scissioni che siano compatibili con i primi. L’effettiva individuazione delle norme concretamente applicabili ai conferimenti di azienda de quibus sarebbe risultato senz’altro più semplice ed immediato per l’interprete in assenza della stratificazione normativa che ha interessato le operazioni straordinarie intracomunitarie (cfr. gli artt. 1 e 2, comma 1 e comma 2, ultimo periodo, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544).
In particolare, l’unica “condizione” prevista per la neutralità fiscale delle fusioni/scissioni, che risulta applicabile ai conferimenti di azienda, è quella secondo cui i valori fiscali dei beni costituenti l’azienda (rectius stabile organizzazione) conferita siano ereditati dalla stabile organizzazione italiana della società estera avente causa. Tale condizione è individuata rispettivamente dagli articoli 172, comma 2, ultimo periodo del Tuir e 173, comma 2, ultimo periodo del Tuir. In particolare tali disposizioni prevedono che “i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti”. Ciò premesso e tenuto conto della necessarietà di un richiamo selettivo alle disposizioni citate, necessario in quanto lo stesso consente di salvaguardare l’effetto utile della norma richiamata, emerge con chiarezza come la condizione della “eredità dei valori fiscali” dei beni conferiti sia l’unica disposizione, tra le altre, applicabile ad un conferimento di azienda intra-unionale di cui alla lett. d).
Pertanto, la condizione che subordina la neutralità del conferimento di azienda all’iscrizione della partecipazione ricevuta nella contabilità della stabile organizzazione del conferente non è applicabile al conferimento di cui alla lett. d). Di conseguenza, la partecipazione emessa dalla conferitaria estera non assumerà alcuna rilevanza ai fini fiscali italiani (cfr. S. Mayr – G. Fort, Conferimento transnazionale di azienda, in G. Cristofori (a cura di), Operazioni di finanza straordinaria, Milano, 2010, pag. 412).
Del resto, la suesposta interpretazione deve ritenersi l’unica compatibile con l’indirizzo espresso dal legislatore dell’Unione Europea in seno all’art. 10, paragrafo 1, terzo periodo, della Direttiva del Consiglio 19 ottobre 2009, n. 2009/133/CE, secondo cui lo Stato in cui è localizzata la stabile organizzazione oggetto di una operazione straordinaria, posta in essere tra società residenti in due distinti Stati membri, rinuncia integralmente alla potestà impositiva (non subordinando, a tale fine, la non imposizione della plusvalenza ad alcuna iscrizione contabile della partecipazione emessa dalla società conferitaria nei conti della stabile organizzazione del conferente).
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